sabato 22 giugno 2013

Un tributo controcorrente a Tommaso Moro

Forse “Utopia” appartiene a quella categoria di libri che vengono molto più citati che letti. Nemmeno io, lo ammetto, ne ho fatto una lettura particolarmente approfondita, e quello che sto per scrivere non ha nessuna pretesa di completezza né -purtroppo- di rigore scientifico. Voglio però soffermarmi su alcune caratteristiche di quest'opera che salterebbero senz'altro agli occhi di un lettore di media cultura come me.
Innanzitutto la radicale divisione del libro in due parti. Nella prima, un gruppo di uomini autorevoli discute delle condizioni non certo prospere dell'Inghilterra sotto il regno di Enrico VIII: povertà, vagabondaggio, malavita, gravissimi squilibri sociali (che la rottura con la Chiesa Cattolica aveva contribuito a esasperare). È una critica a fondo, una denuncia impietosa dei mali cui stava conducendo il dispotismo cinico, capriccioso e senza scrupoli del monarca Tudor. Alla discussione assiste uno Straniero che alle uscite degli altri non nasconde un'aria di ironica, divertita superiorità, come a dire: “Eh, ma se sapeste come si fa dalle mie parti...”. Dal momento che le soluzioni proposte dai vari personaggi si rivelano fallaci, inique o insufficienti, lo Straniero viene sollecitato a rompere il suo ironico riserbo e a dire da dove viene, e quale regime politico governi la sua terra, se lui afferma di esserne tanto soddisfatto e se ne vanta la perfezione su tutti gli altri.
Inizia così la seconda parte del libro con la descrizione dell'isola di Utopia, che in pratica è tutta un interminabile monologo dello Straniero. Quanto la prima parte era vivace e puntuale nella descrizione di una situazione di fatto vista dalle molteplici angolazioni dell'esperienza, tanto la seconda è pedante, monocorde, stucchevole nella sua pignoleria teorica, e soprattutto quasi angosciosa nella descrizione di un mondo assolutamente simmetrico più che armonico, un canovaccio senza smagliature dove l'errore, la varietà, l'imperfezione, e soprattutto l'imprevisto e l'amore sono aboliti alla radice. Tutti si alzano di buon mattino (non vi ricorda l'ora legale?), tutti vanno a lavorare, tutti partecipano alle feste, tutti vestono più o meno alla stessa maniera (non vi ricorda niente anche questo?), tutti nascono, vivono e muoiono secondo un copione immutabile. E soprattutto – caratteristica davvero agghiacciante – tutti sono felici. Un ingranaggio talmente perfetto che può funzionare – e funziona – per secoli e secoli senza la minima deviazione. Thomas More è disposto ad ammettere che esisterà sempre una minoranza, per quanto ridicolmente esigua, di disadattati che non vorranno saperne di essere felici, virtuosi e produttivi a comando, ma niente paura: per loro ci sono i lavori forzati. A giusto titolo Aleskandr Solzenicyn, nel suo romanzo Il primo cerchio, lo accusava di essere stato l'antesignano dei lager.
Stupisce che, a differenza della prima parte, nessuno quasi interloquisca, nessuno faccia domande allo Straniero. Il dibattito si spegne completamente, tutti ascoltano in religioso silenzio. Può darsi che Thomas More l'abbia fatto per due ragioni: per dare la maggiore completezza possibile all'esposizione delle proprie idee, e perché totalmente scettico verso i rimedi politici tradizionali. In ogni caso, con questo procedimento il libro perde molto in mordente e vivacità.
La seconda caratteristica è l'assoluta mancanza dei nomi in Utopia. Non ci viene tramandato il nome di un solo sovrano, di un solo ministro, di un solo cittadino. Nemmeno lo Straniero ha un nome. Questo è molto significativo. Da un lato può essere una polemica dell'autore contro i “grandi della storia” che lasciano un nome quando si lasciano dietro una scia di lutti, di sangue e di distruzione. Ma dall'altro rivela il limite in assoluto più grave del libro: l'automatismo dei meccanismi sociali priva le persone del loro volto, le cancella come esseri umani. Avere un nome nella storia significa essere capaci di decidere e di agire, nel bene o nel male. Significa avere introdotto una novità, significa essere capaci di far fronte all'imprevisto, significa prendersi delle responsabilità. Nulla di tutto questo troviamo in Utopia. Bertholt Brecht scriveva a gran torto: “Beato il popolo che non ha bisogno di eroi”. Possiamo interpretarlo nel senso migliore se teniamo presente che per lui era il popolo che doveva diventare una specie di “eroe collettivo”, dove ciascuno, in un'emergenza, avrebbe saputo prendere il proprio posto e sacrificarsi senza bisogno di eroi vicari. Ma la storia lo ha ampiamente smentito. Anche in una società ipercollettivista c'è bisogno di qualcuno che prenda l'iniziativa, che col suo esempio scuota la massa dalla sua apatia. Anzi sono proprio le società più collettiviste quelle che coltivano in modo più esasperato il culto degli eroi, perché chiedono all'uomo comune delle prestazioni che vanno oltre le sue possibilità. Anche all'osservatore più simpatetico, penso, l'isola di Utopia appare come una galleria di manichini anonimi e perfettamente intercambiabili, nessuno dei quali ha valore o interesse di per sé.
Che questa opera sia stata scritta da un pensatore di sicura fede cattolica non può non stupire. Saranno state forse le condizioni tutt'altro che ottimali del regno di Enrico VIII, le ferite che lui aveva inferto al tessuto sociale inglese con lo scisma anglicano a suggerire a More la fuga nella sua Utopia? Non mi sentirei di escluderlo. Quel che è certo è che la Chiesa ha canonizzato Thomas More per la sua fedeltà a Roma e al matrimonio cattolico a costo della vita, non per la deprimente, monotona esposizione della perfezione di Utopia. Che tra parentesi in nessun momento dà spazio al peccato originale e alla salvezza cristiana.
Giovanni Romano

mercoledì 12 giugno 2013

Il bavaglio alla famiglia - La lettera mai pubblicata del Forum delle Associazioni Familiari

Da tempo penso che sarebbe opportuno uno studio sulle strategie di neutralizzazione della volontà popolare maggioritaria in nome dei "nuovi diritti". Tali strategie sono essenzialmente due: gli interventi della magistratura che "creano" diritti e smontano il risultato dei referendum (basta ricordare cosa accadde in California con il referendum sulla Proposition 8 che riconosceva come legittimo solo il matrimonio tra uomo e donna, approvato a larghissima maggioranza e annullato dai giudici) e la censura mediatica. Un esempio è la lettera molto chiara che il Forum delle Associazioni Familiari ha inviato al Corriere della Sera che aveva pubblicato con molto zelo gli interventi a favore delle "nozze" gay. Va da sé che il Corriere si è ben guardato dal dare voce all'opinione contraria. Pubblico qui questo intervento sperando che qualcuno lo legga e lo rilanci, da sotto i massi della censura laica.

Giovanni Romano

Per far sentire la voce delle famiglie sul tema dei diritti delle persone omosessuali a seguito degli interventi di Stefania Prestigiacomo (9 giugno), di Barbara Pollastrini (10 giugno) e di Ivan Scalfarotto (11 giugno), tutti ospitati dal Corriere della sera, il Forum inviato una lettera, a firma del presidente Francesco Belletti, al direttore De Bortoli.

La lettera, che è stata con molta cortesia respinta, diceva:

Gli interventi pubblicati dal Corriere erano tutti orientati a caldeggiare l’urgente riparazione di un ipotetico torto, subìto dalle persone omosessuali per i cosiddetti diritti civili negati. In base a tali illuminati interventi, l’Italia, in quanto cattolica, impedirebbe l’avanzare della civiltà dominante del nord Europa, che ha concesso la gioia del matrimonio alle coppie omosessuali. Quasi che il nostro Paese sia una landa incivile e arretrata perché gli omosessuali non possono sposarsi. Anche la citazione del card. Martini appare strumentalizzata, per convertire alla più moderna fede omosessualista quella “parte reazionaria del popolo cattolico” che non l’ha ancora abbracciata.
 Ma sono davvero negati, questi diritti? E quali? Il diritto ad amarsi? Il diritto a convivere? Il diritto a non avere i propri redditi assommati nel computo delle imposte? Il diritto a nessun obbligo giuridico di mantenimento verso alcuno? Sarebbe invece più serio evidenziare che oggi le coppie omosessuali hanno molti meno obblighi rispetto alle coppie sposate: possono avere due prime case senza problemi fiscali, sono trattate con inusuale riguardo da fisco, pubbliche amministrazioni, aziende, mass media, istituzioni. Anche la richiesta di estensione di strumenti come la reversibilità delle pensioni o la quota di “legittima”, in termini di eredità, sono connessi, nelle proposte in discussione oggi, come nuovi diritti, totalmente scollegati da quei doveri di reciprocità, di stabilità, di fedeltà, di assistenza e cura, che la famiglia invece esige. Il progetto di legge Galan per le “unioni omoaffettive”, per esempio, chiede tutto ciò, ma consente di sciogliere tale unione dopo soli tre mesi di separazione. Bell’impegno, per chi poi pretende reversibilità permanente della pensione!
 Stupisce che questi “paladini” dei cosiddetti diritti civili siano gli stessi che rimangono drammaticamente e costantemente silenziosi di fronte all’urgenza di dare finalmente una mano alle famiglie che ogni giorno costruiscono l’Italia, curano i propri figli, li preparano ad essere cittadini di domani, assistono i propri anziani e disabili, garantiscono la coesione sociale, subiscono sistematicamente un fisco che penalizza i carichi familiari, mentre sono abbandonate nei loro bisogni, senza nulla in cambio che una quotidiana diffamazione, perché la famiglia pare solo il luogo della violenza.
 È invece evidente a tutti che l’Italia ha retto alla crisi soprattutto grazie alle famiglie, che hanno saputo gestire di generazione in generazione i propri risparmi a beneficio dei figli e dei nipoti, sostenere i propri giovani disoccupati, accudire i propri figli disabili e genitori anziani. Altro che Italia arretrata, reazionaria, etc., Proprio sulla centralità della famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna si fonda questa meravigliosa rete di solidarietà che tiene insieme il Paese.
 Come opportunamente ricordava Francesco D’Agostino (Avvenire, 8 giugno) “il matrimonio non esiste per garantire la sensibilità dei coniugi, ma per consentire la costruzione di comunità familiari, alle quali la società (per mezzo dello Stato) affida i progetti intergenerazionali di convivenza”. Custodire i diritti individuali delle persone si può e si deve, con gli strumenti giuridici necessari. Attaccare la famiglia eterosessuale e genitoriale per questo è invece pessima scelta, che i movimenti di persone omosessuali per primi dovrebbero riconoscere come perdente. E anche il prezioso tema della lotta all’omofobia e a ogni discriminazione non deve essere brandito come un’arma per gli interessi di pochi, ma diventare terreno di confronto e di condivisione per il bene di tutti.

Bari - Roma, 11.6.2013

martedì 11 giugno 2013

Il leone di Philadelphia e i giochetti di Obama

L'arcivescovo Charles J. Chaput di Philadelphia dice che gli americani devono svegliarsi di fronte alle minacce contro la libertà religiosa, date le nuove rivelazioni sull'attività dell'IRS (1) che prende di mira i gruppi religiosi, nonché sulle continue vessazioni imposte dall'obbligatorietà dell'HHS (2).

“I giorni in cui gli americani potevano dare per scontata la libertà religiosa come la intendevano i padri fondatori sono finiti. C'è bisogno che ci svegliamo”, ha dichiarato l'arcivescovo Chaput nella sua rubrica del 24 maggio per il sito Catholicphilly.com.

“La pressione mirata dell'IRS sugli individui e le organizzazioni religiose ha attirato ben poca attenzione dai media. Né dovremo aspettarcene nessuna nel prossimo futuro”, ha detto.

“Ma l'ultima porcheria dell'IRS è una avvisaglia del trattamento di sfavore che i gruppi religioso dovranno affrontare in futuro, se resteranno addormentati durante il dibattito nazionale sulla libertà religiosa che si sta svolgendo ora”.

Sebbene la controversia sull'IRS si fosse all'inizio focalizzata sulle accuse all'agenzia di aver preso di mira in modo selettivo i gruppi conservatori del “Tea Party” con richieste vessatorie, sono state portate alla luce ulteriori irregolarità contro altri gruppi e individui.

Anne Henderschott, una docente universitaria e scrittrice cattolica, ha dichiarato che la verifica fiscale a suo carico dell'IRS si è concentrata sui suoi scritti che criticavano il Presidente Obama e la legislazione sanitaria del 2010 [questa legislazione ha introdotto l'assicurazione sanitaria obbligatoria a carico dei datori di lavoro che copre anche le spese per aborto, contraccezione ecc. senza fare eccezione per le organizzazioni religiose, N.d.T.]. Ha detto che la verifica l'ha scoraggiata dal criticare il Presidente.

L'IRS ha chiesto ai gruppi pro-life di presentare grandi quantità di scartoffie. L'agenzia ha chiesto ai gruppi di promettere che non avrebbero protestato contro la Planned Parenthood (3) o di dichiarare di avere intenzione di educare il pubblico su entrambi gli aspetti della questione abortista. Un impiegato dell'IRS, a quanto risulta, passò di nascosto una lista confidenziale di donatori della National Organization for Marriage alla Human Rights Campaign, sostenitrice del “matrimonio gay”, il cui presidente è stato nominato co-presidente della campagna elettorale di Obama.

L'arcivescovo Chaput ha detto che gli obblighi del Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani (HHS) esercitano pressioni simili sui gruppi religiosi.

Sebbene i vescovi cattolici abbiano da lungo tempo appoggiato l'accesso alla copertura assicurativa sanitaria per adeguate cure mediche, ha detto, “l'assicurazione sanitaria si è trasformata in una battaglia di libertà religiosa provocata per intero – e senza alcun motivo – dall'attuale amministrazione della Casa Bianca”.

Ha detto che l'amministrazione Obama, nonostante “alcune piccole concessioni”, si rifiuta di fare marcia indietro o di “modificare ragionevolmente” l'obbligo che richiede la copertura assicurativa per le sterilizzazioni, i contraccettivi e le droghe abortive. L'arcivescovo Chaput dice che questo obbligo “viola le convinzioni morali e religiose di molti individui, dei datori di lavoro privati e di organizzazioni affiliate e ispirate religiosamente”.

Ha detto che l'obbligo “può essere inteso soltanto come una forma di coercizione”.

“L'accesso alla contraccezione gratuita non è un problema in nessuna parte degli Stati Uniti”, ha detto l'arcivescovo. L'obbligo è dunque una dichiarazione ideologica di principio, l'imposizione di una opzione preferenziale per l'infertilità. E se milioni di americani dissentono da questi princìpi – peggio per loro”.

Ha dichiarato che queste controversie mostrano che il dibattito sulle questioni di morale sessuale ha bisogno di “una parallela e vigorosa difesa della libertà religiosa”.

La conferenza episcopale degli Stati Uniti terrà un'altra Quindicina [di giorni] per la Libertà dal 21 giugno al 4 luglio. Come l'anno scorso, comprenderà manifestazioni pubbliche, veglie di preghiera e messe per la difesa della libertà religiosa.

(c) Catholic News Agency, 2013
Unauthorized translation by
Giovanni Romano

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1. Internal Revenue Service: l'agenzia delle entrate USA.
2. US Department of Health and Human Services: corrisponde al nostro Ministero della Salute.
3. La più potente organizzazione abortista e contraccettiva degli USA.