mercoledì 24 settembre 2014

"Above & Beyond the Call of Duty"...

Negli Stati Uniti, la Congressional Medal of Honor (l'equivalente della nostra medaglia d'oro al valor militare o civile) viene conferita per atti "Above & Beyond the Call of Duty": "Al di sopra e oltre della consegna del dovere".

Da molto tempo mi veniva in mente questa definizione a proposito del sacrificio di Salvo D'Acquisto di cui ieri ricorreva il 71° anniversario. Il suo sacrificio volontario andava ben "al di sopra e oltre della consegna del dovere". E tuttavia non mancò chi attaccò la Chiesa dalle colonne del laicissimo quotidiano "La Nazione" per avere iniziato la sua causa di beatificazione, sostenendo che il gesto del brigadiere rientrava, appunto, nei suoi normali doveri. Una nterpretazione alquanto stiracchiata e capziosa (per non dir altro) di Luca 17, 7-10.

Io non so se sia possibile trovare un esempio più eclatante di meschinità. Nessun soldato è un robot, nemmeno i kamikaze che andavano a sacrificarsi contro le navi americane. A nessuno, nemmeno ai carabinieri, è chiesto di sacrificare la vita come se niente fosse. Il gesto di Salvo d'Acquisto fu doppiamente eroico perché era rimasto al suo posto quando l'intero esercito italiano si era dissolto e perché decise liberamente e autonomamente di sacrificare la propria vita al posto di ostaggi innocenti.

Ma cosa c'è in realtà dietro gli attacchi a D'Acquisto? Non a caso ho citato "La Nazione" (oggi confluita nel "Quotidiano Nazionale", se ben ricordo), un giornale tutto imbevuto di laicismo. Per la cultura laica l'uomo non ha valore di per sé, è semplicemente una rotella spendibile dell'ingranaggio dello stato. Non esistono la generosità e l'eroismo, è già tutto compreso nel mansionario. Un sistema sociale che funziona così perfettamente da rendere inutile la bontà, direbbe T.S. Eliot. È chiaro che in questo sistema non si può concepire un gesto così libero come quello di D'Acquisto.

C'è inoltre un'altra ragione psicologicamente più profonda. Il tono malmostoso della lettera contro Salvo D'Acquisto fa pensare a una persona scontenta della vita, forse invidiosa della fama altrui sia pure ottenuta a un prezzo così atroce. Un uomo per cui la vita è un continuo grigiore, per cui nulla può mai realmente accadere. Ma temo che siano proprio questi ipocondriaci che ce l'hanno in permanenza con la vita siano i primi a lamentarsi terrorizzati e a rimpiangere troppo tardi le occasioni perdute quando arriva anche per loro il redde rationem. Le persone che amano realmente la vita, come D'Acquisto, possono realmente arrivare al sacrificio perché forse sanno che tutto ha un senso e un compimento, sanno di aver impiegato bene il loro tempo, e possono guardare in faccia il loro destino sapendo che si lega al destino del mondo.

Per questo oggi dedico il mio sommesso omaggio alla figura gigantesca di Salvo D'Acquisto, brigadiere dei Carabinieri e martire cristiano.

Giovanni Romano

martedì 16 settembre 2014

Alcune osservazioni sulla riforma della scuola

Nonostante il mio lavoro, sulla riforma della scuola ammetto di essere un dilettante e di non sapere niente di più di quel che dicono gli organi di informazione. Tuttavia, grazie a un corso di autoformazione tenuto da un collega particolarmente bravo, competente e pacato, mi si sono chiarite (diciamo così) alcune idee. Questo mi ha stimolato alcune riflessioni che espongo di seguito senza nessuna pretesa di completezza o di precisione. Eventuali osservazioni saranno benvenute.

  • Il metodo plebiscitario della consultazione diretta genitori-alunni-insegnanti mi sembra più demagogico che altro, perché scavalca deliberatamente i sindacati (a parte gli inevitabili colli di bottiglia della partecipazione perché Internet taglia fuori tutti quelli che non possono adoperarla). Per quanti difetti possano avere i sindacati, sono pur sempre delle "formazioni sociali" che secondo l'articolo 2 cost. dovrebbero poter fare argine allo strapotere dello stato. Gli insegnanti sono l'unica categoria che più aumenta di numero più diminuisce di forza contrattuale, perché il numero rende tutti sostituibili e spendibili;
  • Si prevede di assumere docenti a tonnellate (il che pulviscolarizza ancora di più la categoria) ma non si affronta in alcun modo il problema delle classi-pollaio. Anziché scagliarsi quasi istericamente contro le supplenze, sarebbe forse stato meglio impiegare il nuovo personale per creare classi più piccole e gestibili;
  • Per quanto riguarda la modernizzazione delle attrezzature, si ricorre ancora al metodo superatissimo dell'acquisto anziché del leasing, ingrassando i fornitori e condannando i laboratori delle scuole professionali a una rapida obsolescenza;
  • Non è chiaro il sistema della valutazione degli insegnanti (a parte l'aver ulteriormente ampliato i poteri dei dirigenti), quali criteri si seguiranno, se ci sono garanzie di indipendenza e imparzialità di giudizio. Inoltre l'assurda regola dei 2/3 rischia di creare gravi discriminazioni legate al merito e di deprimere gli istituti “di punta”;
  • Si parla della possibilità per gli insegnanti di fare ricerca, ma questo non li mette in contatto con l'Università, e resta da chiarire quanto tempo abbiano per studiare, viaggiare e fare ricerca dei travets che si trovano ad avere di fatto l'orario di lavoro molto aumentato (la “banca oraria”, il che significa trattare gli insegnanti da ladri e fannulloni a prescindere, per non parlare del diluvio di corsi di aggiornamento obbligatori che si annuncia);
  • La formazione dovrebbe essere “tra pari”. Questo è positivo perché l'esperienza di un insegnante è radicalmente diversa da quella di un docente universitario, ma di fatto isola i due mondi e fa dell'università un mondo ancor più autoreferenziale;
  • Molto positiva la reintroduzione di una materia come Storia dell'Arte, dissennatamente cancellata dai curricola di scuole come gli Istituti per la Moda. Un miglioramento che apprezzo senza riserve. Voto parzialmente positivo all'introduzione dell'economia in tutte le scuole. Vorrei sapere anche che fine ha fatto Geografia;
  • Dulcis in fundo, il governo non dice come e dove reperire le risorse per un progetto tanto ambizioso... forse dall'aumento dell'IVA sui generi di prima necessità?
Giovanni Romano

sabato 13 settembre 2014

Il sacrario di Redipuglia e una chiesetta in Val Badia


Il drammatico, potente discorso di Papa Francesco oggi al sacrario militare di Redipuglia mi ha fatto tornare alla memoria un episodio di molti anni fa, quando sono stato in vacanza a Corvara in Val Badia.

Durante una passeggiata, mi ero imbattuto in una chiesetta e ci ero entrato per visitarla. Quando sono uscito mi sono accorto che, secondo un'usanza più umana di quella napoleonica, i morti erano stati ancora seppelliti nel giardino intorno alla chiesa. Incuriosito, mi avvicinai e quello che vidi mi diede una forte emozione.

Per la maggior parte erano tombe di giovani soldati austriaci caduti in combattimento contro gli italiani nella prima guerra mondiale, quando la Val Badia faceva ancora parte dell'Impero Austro-Ungarico. Vidi dei volti esattamente simili a quelli dei giovani italiani caduti dall'altra parte delle trincee, giovani forti che sarebbero potuti diventare padri di famiglia, lavoratori, medici, professori, sacerdoti. Solo le divise erano diverse, ma l'espressione degli occhi -quella fiducia e al tempo stesso quella timidezza indefinibile che si accompagna alla gioventù- era la stessa.

Mi sentii profondamente addolorato perché mi venne da pensare che li avevamo uccisi noi, gli italiani. E non avevamo scuse, eravamo stati noi a dichiarargli guerra. Quei giovani erano partiti dalle loro valli per non tornare più. Li avevamo uccisi noi. Provai quasi un senso di colpa a stare lì, e me ne andai più consapevole del male che due popoli possono infliggersi a vicenda con la guerra.

Paragonai quella visita a un viaggio fatto qualche anno prima a Trieste dove ebbi l'occasione di visitare il sacrario militare di Redipuglia. Un'imponenza sconfinata che scoraggia il raccoglimento, ma gli architetti avevano in un certo senso "espropriato" la morte, l'avevano glorificata, avevano trasformato un cimitero in un'adunata bellicosa dove i caduti, loro malgrado, venivano quasi incitati a fomentare nuove guerre. Tutto il contrario di quella chiesetta dove i giovani erano potuti almeno tornare a casa, vicini a chi gli aveva voluto bene.

Con questo non voglio assolutamente sminuire il valore di Redipuglia, solo suggerire un modo diverso di visitarlo e di meditare. Forse ci farebbe bene visitare i cimiteri militari "dell'altra parte", e farebbe bene agli altri visitare i nostri. Emergerebbe la tragica domanda di Dio a Caino: "Cosa hai fatto di tuo fratello?".

Il Papa ha richiamato il mondo intero alla sua responsabilità proprio nel momento in cui incombe la minaccia di altre guerre, di un'altra inutile strage (la Chiesa fu l'unica che levò la sua voce nel pieno del massacro, e fu attaccata e derisa per questo). Dio voglia che questa voce oggi sia più ascoltata di allora, Dio voglia che il coraggio e la fermezza di Papa Francesco tocchino il cuore di chi sta già freddamente pianificando un altro massacro.

Giovanni Romano

venerdì 12 settembre 2014

Non ci era arrivato nemmeno George Orwell...

George Orwell non fu mai tenero verso la Chiesa cattolica e il cristianesimo in generale. Da un capo all'altro della sua opera si susseguono polemiche, attacchi, sarcasmi e frecciate. I suoi riconoscimenti di un ruolo positivo del cristianesimo nella storia sono estremamente rari. 

Indagare sui motivi della sua polemica antireligiosa e sul modo in cui essa finì per sviare e sminuire la portata della sua lotta al totalitarismo è argomento che supera di gran lunga le possibilità di un blog. Qui mi limiterò a una sua osservazione che ha direttamente a che vedere con quello che sta avvenendo all'interno della Chiesa cattolica oggi.

In uno dei suoi saggi più imporanti, Literature and Totalitarianism, Orwell rende un omaggio impensato alla coerenza della Chiesa cattolica:

“Ci sono parecchie importanti differenze tra il totalitarismo e tutte le ortodossie del passato, sia in Europa che in Oriente. La più importante è che le ortodossie del passato non cambiavano, o almeno non cambiavano rapidamente. Nell'Europa medievale la Chiesa vi imponeva cosa dovevate credere, ma almeno vi permetteva di mantenere le medesime convinzioni dalla nascita alla morte. Non vi diceva di credere a una cosa il lunedì e a un'altra il martedì. E lo stesso oggi vale più o meno per ogni ortodosso cristiano, indù, buddista o musulmano. In un certo senso i suoi pensieri sono circoscritti, ma egli passa la vita intera all'interno della medesima struttura di pensiero. Le sue emozioni non vengono manipolate.” [Il neretto è mio, N.d.T.] (1)

È chiaro che, scrivendo queste parole, Orwell aveva in mente il voltafaccia dell'URSS che si era alleata con la Germania Nazista mediante il patto Molotov-Ribbentrop, e le disinvolte, ciniche capriole della propaganda comunista per giustificare quella manovra. Nondimeno la sua osservazione va oltre il motivo occasionale che l'ha generata. Poteva odiare la Chiesa ma almeno la rispettava perché non aveva mai cambiato bandiera e dottrina, né cercato di mistificare il passato a differenza dei totalitarismi atei del XX° secolo.

Nemmeno lui, però, avrebbe forse potuto immaginare che anche la Chiesa, o quantomeno qualcuno dei suoi esponenti più importanti, si sarebbe esibita in piroette e capriole ancora più disinvolte, e su delicatissime questioni etiche. È quanto ha fatto il Cardinale Dolan a New York per la festa di San Patrizio, e peggio ancora per l'esclusione dei pro-life dalla medesima parata nel momento stesso in cui, per la prima volta, sono state ammesse ufficialmente le associazioni gay.

Probabilmente alla sua avversione si sarebbe aggiunto anche un non infondato disprezzo.

Giovanni Romano

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1. The Collected Letters, Journalism and Letters of George Orwell, Vol. II, Harmondsworth 1984, p.163.

giovedì 11 settembre 2014

È informazione questa?

"Tutto ciò che esiste 'non esplicitamente'
è come se non esistesse"
(Ryszard Kapuscinski)



La foto di sinistra si riferisce a una manifestazione pro-gay tenuta a Olbia il 18 maggio scorso.

Quella a destra si riferisce all'incontro sul libro "Voglio la Mamma" del giornalista e deputato Mario Adinolfi, tenutosi a Modena un paio di giorni fa.

Secondo voi, su quale dei due incontri si è dilungata la stampa, e su quale ha completamente taciuto?

Un aiutino: andate a leggere questo link...

E poi chiedetevi se viviamo ancora in un paese libero.

Giovanni Romano

mercoledì 10 settembre 2014

Conferenza sul gender - 22 agosto 2014

Pubblico qui il testo della conferenza che ho tenuto a Castellaneta Marina (TA) il 22 agosto scorso. È stato per me un grande onore introdurre la corposa, documentatissima relazione del professor Boscia. La sig.ra Antonacci purtroppo è stata trattenuta da impegni non rinviabili.


La nostra conversazione inizia da una contrapposizione presente già nel titolo di questa conferenza: "Famiglia – Famiglie". Questo plurale, introdotto di recente, indica un arricchimento o piuttosto un'ambiguità, una forzatura, un voler trattare come equivalenti delle forme di convivenza che equivalenti non sono affatto?

Possiamo trovare una traccia per rispondere a questa domanda già nella seconda parte del titolo: si cerca di inculcare l'idea che essere maschio o femmina non sia un dato di "natura" ma una costruzione "culturale" imposta dalla società. (Ecco perché vi invito a non cadere in un'altra trappola: usate il termine "famiglia naturale" anziché "famiglia tradizionale").

Non credo di dovermi attardare molto a descrivere una situazione che ormai probabilmente già conoscete. Siamo diventati familiari con parole come "omofobia", “transfobia”, "gay pride", "unioni civili", "nuovi diritti", “fecondazione eterologa” e via dicendo.

Ma cosa c'è dietro queste parole che ci vengono martellate quasi quotidianamente dai media? Abbiamo davvero più diritti per tutti? Viviamo davvero in una società più aperta, più tollerante, più democratica, più genuinamente aperta all'altro, o stiamo piuttosto  assistendo al suo contrario, a una sistematica campagna di falsificazione, di intimidazione, di soffocamento di ogni voce non dico di critica ma di semplice perplessità, di minacce e discriminazioni verso chi la pensa diversamente, soprattutto contro i cristiani che vogliono vivere coerentemente la propria fede? Il cristianesimo è soltanto un'anticaglia superata, una sopravvivenza di superstizioni medievali, un ammasso di proibizioni sessuofobe che discriminano e opprimono i “diversi”? A voler essere caritatevoli, è una dottrina umanitaria bene intenzionata ma superata che avrebbe urgente bisogno di un “aggiornamento”? Oppure può indicare ancora oggi, così come è sempre stato e così com'è, la strada per una “vita buona” a livello individuale, familiare e sociale, e viene osteggiato perché ricorda verità scomode a una mentalità che non tollera più limiti, giudizi o critiche?

Sono domande che non possono essere trattate esaurientemente in questa sede, e alla quali, del resto, il magistero della Chiesa ha sempre risposto, specialmente a partire da San Giovanni Paolo II. Io mi limiterò a trattare la questione dal punto di vista giuridico. È soprattutto sul piano giuridico, infatti, che si può comprendere a fondo la trappola della contrapposizione natura/cultura, cosa ci aspetta e cosa si sta cercando davvero di realizzare.

Attraverso le leggi, si sta cercando di scardinare il dato di natura. Come ho detto prima, si pretende che non si nasca più maschi o femmine, ma che si possa diventarlo, o diventare qualsiasi altra cosa uno voglia. Questo è evidente già nella manipolazione del linguaggio giuridico, che punta all'alterazione del linguaggio comune, perché noi pensiamo, ci raffiguriamo, viviamo il mondo attraverso il linguaggio. In tutti i paesi che hanno introdotto il “matrimonio” omosessuale, sono state eliminate dai documenti dell'anagrafe e dalle leggi le parole “padre” e “madre”, sostituite da “genitore 1” e “genitore 2”. La parola “genere” sta gradualmente soppiantando il termine “sesso” tanto che in Australia un uomo è riuscito a ottenere che sulla sua carta d'identità non comparisse l'appartenenza all'uno o all'altro sesso. Negli USA si sta andando anche oltre: l'amministrazione Obama starebbe seriamente valutando se considerare “hate crime” (istigazione all'odio) l'uso dei termini “padre” e “madre”. È una notizia che proviene da una fonte poco attendibile, ma data la mentalità che si sta cercando di diffondere, non mi sentirei di considerarla del tutto infondata.

In Italia si è seguita una strategia più indiretta: “anticipare” le leggi con semplici provvedimenti burocratici (e quindi non soggetti a controllo democratico), confidando nella disattenzione del pubblico ponendo i cittadini di fronte al fatto compiuto. Ad esempio, all'inizio di quest'estate i moduli per l'iscrizione alle scuole di Milano erano stati alterati, sostituendo le parole “padre” e “madre” con le definizioni gelidamente burocratiche che ho citato prima. Solo la rivolta dei genitori, che hanno cancellato manualmente quegli obbrobri , ha indotto le scuole a ritirare quei moduli che non erano stati autorizzati da nessuno. Oppure l'introduzione nelle scuole, all'insaputa dei genitori – e degli stessi insegnanti non coinvolti nel progetto – di opuscoli di aperta propaganda omosessuale. Questo ve lo illustrerà a fondo la Signora Antonacci. Immaginate come deve sentirsi un insegnante di diritto che deve deve spiegare ai ragazzi che un atto amministrativo è una fonte secondaria, tenuta a seguire le indicazioni della legge, e poi constatare che nella realtà questo principio viene sistematicamente violato dalle stesse istituzioni! Ma sto ancora insegnando diritto ai miei alunni, o solo parole vuote?

In effetti, siamo in presenza di un deficit di democrazia su tutti i fronti. Il primo fronte è l'inconsistenza dei politici cattolici o semplicemente pro-famiglia all'interno delle istituzioni. I pochi coraggiosi vengono sconfessati e lasciati soli dai loro stessi partiti. Ricordiamo la fine che ha fatto la sottosegretaria Biancofiore, costretta alle dimissioni per essersi espressa contro il “matrimonio” omosessuale. Tutti cercano di adeguarsi al linguaggio “politicamente corretto”, e se per caso sgarrano di una linea scatta il linciaggio mediatico, che termina più o meno come i processi-farsa nella Corea del Nord o nella Cina di Mao: le pavide scuse della vittima, che comunque non viene risparmiata e resta marchiata per tutta la vita. Come nel caso del sig. Barilla contro il quale si è scatenata una campagna mondiale di odio e di menzogne, costretto a rimangiarsi tutte le sue convinzioni e a piegarsi in modo abbietto di fronte alle ingiunzioni della lobby gay.

Un altro strumento giuridico che distrugge la democrazia sono le sentenze. La legge 40 vieta la fecondazione artificiale? Niente paura, basta una sentenza per annullarla in un attimo! Un referendum votato a larghissima maggioranza rifiuta le nozze gay, come è avvenuto in California con la famosa “Proposition 8” (e la California è uno degli stati più “liberal” degli USA, badate bene!)? Anche qui è bastato un solo giudice per cancellare la volontà di milioni di persone. Come pure è stata annullata dai giudici la volontà popolare in ogni stato degli USA che ha cercato di definire il matrimonio come l'unione stabile tra uomo e donna. Una vera e propria guerra asimmetrica, ed è facile immaginare che dietro questo sistematico annullamento, che ci ha resi irrilevanti come cittadini, c'è una precisa strategia di marginalizzazione di ogni opinione dissenziente, così da spingerle sempre di più verso l'area dei comportamenti penalmente perseguibili.

Il terzo fronte è quello della repressione sempre più dura del dissenso. È notizia dell'altro ieri che in Spagna un vescovo cattolico, Mons. Juan Antonio Reig Pia, è stato assolto dal tribunale di Madrid dall'accusa -promossa dalle associazioni gay- di “violare i diritti umani” e di “mettere in pericolo la vita di molti omosessuali”. La sua colpa? Aver pronunciato queste testuali parole: «Tu sei un figlio di Dio. Sei stato creato ad immagine e somiglianza di Dio e sei stato creato come uomo e come donna. (...) Molte leggi hanno dimenticato questo, sono state recentemente approvate, andando a sminuire la sacralità della persona, la grandezza dell’amore, ed a dimenticare la differenza sessuale tra uomo e donna!». (…) «Non si rispetta la sacralità della vita umana perché si è dimenticato Dio e quello che 
han detto i Profeti. La vita non è riconosciuta nella sua origine e nel suo termine, le normative chiamano “morte degna” l’eutanasia per anziani e per chi viva situazioni difficili. Allo stesso modo si vareranno leggi, che non approveranno, né rispetteranno la grandezza di quel che è l’uomo e la differenza sessuale a lui intrinseca rispetto a ciò che viene chiamato “transessualità”.

Ditemi un po' voi cosa c'è di criminale in queste parole! Ditemi un po' voi se in questo momento, in Spagna o in qualsiasi altro paese occidentale è più in pericolo la vita degli omosessuali o quella dei bambini che ancora devono nascere!

Infine, si vuole creare a tutti i costi un'atmosfera di panico e di allarme, perché con il pretesto dell'emergenza è più facile far passare leggi liberticide. Ricordate il caso del ragazzo romano che si suicidò perché “vittima del bullismo omofobico”? E ricordate l'incendio doloso al liceo Socrate di Roma “In prima linea contro le discriminazioni basate sulla differenza di genere”? Entrambe le notizie furono sparate in prima pagina con grande enfasi per convincerci che ci si trovava di fronte a a una “emergenza omofobia”. Ma “L'omofobia” non c'entrava in nessuno dei due casi: nel primo, il ragazzo si era ucciso perché depresso, e nel secondo i colpevoli erano quattro teppisti che si erano vendicati della loro bocciatura (il che fa capire quanto poco ormai la scuola riesca a educare o almeno a fermare i violenti). Naturalmente le smentite non furono certo pubblicate con lo stesso rilievo delle accuse. L'importante era aver creato l'atmosfera giusta.

Nel documentatissimo dossier Omofobia o eterofobia? pubblicato nel gennaio di quest'anno, l'Avv. Gianfranco Amato dimostra che in Italia una “emergenza omofobia” non esiste:

Nel giugno 2013, l'istituto demoscopico SWG pubblicava il sondaggio “Scenari di un'Italia che cambia”, dal quale emergeva, su un campione di 1.500 italiani, un'aperta ostilità (al punto di essere definiti “nemici”) nei confronti degli evasori fiscali per il 47%, delle mafie per il 46%, dei politici per il 32%, delle banche per il 31%, dei criminali per il 27%, dei poteri forti per il 19%, dei lobbisti per il 18%, per i fannulloni per il 19%, degli immigrati per il 12%, delle persone incivili per il 10%, dell'Unione Europea per il 5%, dei ricchi per il 3%, dei grandi imprenditori per il 2%, per i manager per il 2%, per i meridionali per l'1%, dei settentrionali per l'1%, per i piccoli imprenditori dello 0,3%. Nessuno si è espresso contro gli omosessuali o i transessuali, o li ha dichiarati “nemici”.

Tuttavia i nostri politici si stanno dimostrando totalmente impermeabili all'evidenza e al buon senso. La prova più inquietante è il cosiddetto disegno di legge Scalfarotto (dal nome del suo promotore, il deputato del PD Ivan Scalfarotto da sempre promotore dei “diritti” della lobby omosessuale). Questo disegno di legge, già approvato dalla Camera e in fase di imminente approvazione al Senato, dov'era stato temporaneamente fermato (ma ripartirà a settembre, come ha fatto sapere l'on. Giovanardi), prevede l'introduzione del reato di “omofobia” come specifica aggravante dei crimini commessi per motivi di odio razziale e religioso, una pena massima di 18 mesi di reclusione e un periodo di “rieducazione” obbligatoria presso una associazione LGBT. Da cattolico, attendo fiduciosamente un'analoga proposta di legge che preveda una rieducazione obbligatoria dei bestemmiatori presso Radio Maria...

Di fronte alle critiche che gli sono state mosse (non esiste una definizione scientificamente accettabile di “comportamento omofobico”, il disegno di legge contrasta sia l'articolo 21 della Costituzione sulla libertà di opinione, sia l'articolo 3 sull'uguaglianza di tutti di fronte alla legge), l'on. Scalfarotto si è difeso affermando che la legge “protegge espressamente il diritto di opinione”. 

Effettivamente il testo licenziato dalla Camera e presentato al Senato è piuttosto annacquato rispetto a quello originalmente presentato dallo stesso Scalfarotto il 13 marzo 2013. Ma il merito non è certamente suo, perché nella stesura originale e nella sua relazione di accompagnamento non accennava minimamente a nessuna libertà di opinione. Al contrario alcune delle sue affermazioni erano decisamente pericolose. Ad esempio, il disegno di legge proponeva di sostituire all'espressione propaganda di idee discriminanti (di cui al decreto legge 26 aprile 1993 n.122) la mera diffusione. Chiunque può vedere che questo è un concetto interpretabile con larghissimo arbitrio: sotto questa mannaia l'omelia di un sacerdote, la citazione di un versetto biblico, il rifiuto di partecipare a una festa di matrimonio gay o la semplice espressione del proprio disagio di fronte a una coppia omoparentale sarebbero tutti da considerare “diffusione di idee discriminanti” e come tali da punire con la reclusione fino a un anno e sei mesi. Altrettanto dicasi per la sostituzione della parola finalità con la ben più vaga motivi, e istigazione (comportamento definito con molta precisione dal Codice Penale, ad esempio nell'art.414) con incitamento. Inoltre l'art. 5 del disegno di legge stabiliva che la circostanza aggravante dell'”omofobia” “è sempre considerata prevalente sulle ritenute circostanze attenuanti”. Come difesa della libertà di espressione non c'è male.

Infine, il diritto viene sempre più calpestato da una legislazione che definire spionistica, invasiva e tendenziosa è poco. L'avv. Amato ci mette in guardia ancora un volta sul progetto di “monitoraggio dell'omofobia” che dovrebbe avvenire, secondo l'Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni (UNAR), coinvolgendo a livello locale

(…) le reti di prossimità quali ad esempio i centri regionali antidiscriminazione, i nodi provinciali, le antenne UNAR e le altre strutture messe in campo agli organismi del decentramento amministrativo (circoscrizioni, municipi eccetera) con l'obiettivo di intercettare e raggiungere in modo capillare le sacche di discriminazione omofoba presenti nel nostro paese. 

Commenta l'Avv. Amato: 

Poiché non è precisato, occorre chiedersi cosa siano le "antenne UNAR: uffici, sportelli, organismi di controllo, delatori sotto copertura, spie? 

E c'è di peggio: 

"... è stato attivato un indirizzo di posta elettronica dedicato (...) cui possono essere inviate, anche in forma anonima, segnalazioni di atti discriminatori".

Ma vi rendete conto delle conseguenze? Introdurre le denunce anonime significa, ad esempio, che se mi volessi sbarazzare di un rivale scomodo sul lavoro dovrei semplicemente inviare una email anonima e denunciarlo per “omofobia”. In Inghilterra, la valutazione dell'esistenza di una comportamento “omofobico” è rimessa... alla vittima, che così potrà aggravarlo o attenuarlo a piacimento. Provvedimenti come questi deteriorano la convivenza sociale, perché mettono la libertà, i diritti, il coraggio di esprimere le proprie idee in mano all'arbitrio di una minoranza e agli interessi di pochi. Mi sembra che mai gli esseri umani siano così distanti tra loro come in quest'epoca dove si parla tanto di “amore”!

Penso che possiamo fermarci qui, e mi scuso per non essere stato più esauriente o più chiaro. 

Permettetemi di concludere citando un brano di Albert Camus che medita su un aforisma di Eràclito. Credo sia la migliore sintesi del tema di questo incontro, del costo che comporta staccarsi dalla nostra natura e inseguire il sogno folle che la realtà debba piegarsi al nostro arbitrio. Scriveva Eràclito: “Il Sole non oltrepasserà i suoi limiti, altrimenti le Erinni, custodi della giustizia, sapranno scoprirlo”.

 E Camus commenta: 

“Noi, che abbiamo scardinato l’universo e lo spirito, ridiamo di quella minaccia. Accendiamo in un cielo ebbro i Soli che vogliamo. Ma questo non toglie che i limiti esistano, e noi lo sappiamo. All’estremo delle nostre demenze, fantastichiamo di un equilibrio che ci siamo lasciati alle spalle e che ingenuamente crediamo di ritrovare in fondo ai nostri errori. […] La nostra ragione ha fatto il vuoto. Finalmente soli, portiamo a compimento il nostro dominio su un deserto.
 (Albert Camus, L’Estate, 1948)

Grazie.

Giovanni Romano

martedì 9 settembre 2014

Educazione cercasi...


Nell'imminenza dell'inizio dell'anno scolastico, posto un po' polemicamente questa immagine. I grandi discorsi e gli auguri delle autorità o di scrittori famosi mi lasciano freddo per non dir altro. Alla massima parte di loro non toccherà logorarsi giorno per giorno alle prese con bulli che fanno perdere tempo ed energie e soffocano chi vuole veramente imparare.

Ma chiediamoci: la scuola oggi trasmette realmente conoscenze? E i genitori sono effettivamente in grado di dare un'educazione ai propri figli? Comincerei dalla seconda domanda, e direi che la risposta è in gran parte negativa. Per come è organizzato oggi il lavoro (orari sempre più lunghi per una retribuzione sempre più bassa) direi che alle famiglie si vuole impedire quasi deliberatamente di educare i figli. E poi, quali sono i contenuti di questa educazione? Inutile ripetere quello che già tutti sanno. La famiglia resta ancora un punto di riferimento imprescindibile ma rischia di diventare un contenitore sempre più vuoto in maniera direttamente proporzionale alla diffusione dell'"amore" e dei "nuovi diritti".

La scuola, a sua volta, può limitarsi a trasmettere semplicemente conoscenze? Certamente no. L'insegnante educa (o dis-educa) con la sua semplice presenza. L'ambiente scolastico educa con la sua stessa esistenza. Ma a che cosa educhiamo i ragazzi? Siamo in grado di lanciare proposte "forti"? Siamo in grado di far capire che la scuola è in grado di far rigare dritto i prepotenti? Oppure ci limitiamo a rincorrere i ragazzi, cercare di accattivarci a ogni costo le loro simpatie senza fornirgli alcun reale modello di comportamento, di convinzioni, di coerenza?

Prepariamoci, tutti, una bella valigia di educazione prima di cominciare l'anno scolastico. Ho l'impressione che ne avremo bisogno.

Giovanni Romano

325 anni prima di Lincoln...

Tutti noi siamo abituati a considerare il proclama di emancipazione di Abraham Lincoln (22 settembre 1862) come il documento che fece cessare la schiavitù. Nessuno però ricorda che la Chiesa Cattolica, nella bolla Sublimis Deus emanata da Papa Paolo III il 2 giugno 1537, aveva già proclamato solennemente la libertà e l'emancipazione degli Indios da ogni e qualsiasi forma di schiavitù, scomunicando chiunque contravvenisse a quelle disposizioni.

È commovente leggere il cuore di questa bolla, emanata da uno dei pontefici più controversi della storia, tutt'altro che un modello di virtù nella vita personale, eppure così fermo, energico, chiaro e senza compromessi nel difendere la dignità umana dei popoli del Nuovo Mondo, senza nessuna delle riserve mentali di Lincoln, il quale era convinto -e non esitò a dichiararlo anche dopo la pubblicazione del suo proclama - che i neri fossero pur tuttavia inferiori ai bianchi sotto molti aspetti. Ecco quanto dichiarò il Pontefice (i neretti sono miei):

« Noi, sebbene indegni, … consideriamo tuttavia che gli stessi indios, in quanto uomini veri quali sono, non solo sono capaci di ricevere la fede cristiana, ma, come ci hanno informato, anelano sommamente la stessa; e, desiderando di rimediare a questi mali con metodi opportuni, facendo ricorso all'autorità apostolica determiniamo e dichiariamo con la presente lettera che detti indios e tutte le genti che in futuro giungeranno alla conoscenza dei cristiani, anche se vivono al di fuori della fede cristiana, possono usare in modo libero e lecito della propria libertà e del dominio delle proprie proprietà; che non devono essere ridotti in servitù e che tutto quello che si è fatto e detto in senso contrario è senza valore; che i detti indios ed altre genti debbono essere invitati ad abbracciare la fede in Cristo a mezzo della predicazione della parola di Dio e con l’esempio di una vita edificante, senza che alcunché possa essere di ostacolo ».

Parole che non hanno nulla da invidiare, quanto a nobiltà ed energia, al proclama di Lincoln. Con la differenza che furono scritte solo 325 anni prima della Guerra di Secessione.

Giovanni Romano

sabato 6 settembre 2014

Scacchi vs Sudoku: segno dei (passa)tempi...

Confrontare il sudoku con gli scacchi non ha evidentemente senso. Gli scacchi sono una competizione (fosse pure da soli contro il computer), il sudoku è un semplice passatempo, per quanto ingegnoso nella sua semplicità, e per quante sofisticate strategie siano disponibili per venire a capo della soluzione.

Perché allora scrivere una breve riflessione accostando due giochi che hanno scopi e applicazioni così diversi? Mi sembra interessante confrontarli precisamente dal punto di vista del puro passatempo. Provate a guardare la scacchiera a sinistra e il sudoku a destra (vi avverto, è molto difficile...). Un bravo scacchista osserverebbe la posizione, troverebbe le debolezze di ciascuno dei due colori (è evidente, ad esempio, che il Nero è in vantaggio di materiale e ha ben due pedoni passati sulla colonna "A"), individuerebbe le strategie più opportune sia per il Bianco che per il Nero. Senza contare che uno dei due contendenti potrebbe sbagliare e far ribaltare inaspettatamente la situazione. Ma probabilmente non esiste un modo univoco di vincere, di conseguenza sarebbe possibile impostare più di un ordine di mosse, specialmente per il colore in vantaggio (anche perché questa è una posizione, non un problema, dove la chiave deve essere una e una sola).

Anche il solutore del Sudoku dovrà impostare una strategia, andando ad esempio alla ricerca del singolo nascosto, ma nel suo caso la soluzione è univoca, la via da seguire è unica. Ogni numero posizionato correttamente facilita il posizionamento degli altri secondo regole precise e non eludibili.

Non è questa però la differenza più importante. La differenza decisiva è in quello che accade alla fine di una partita a scacchi o dopo che lo schema del Sudoku è risolto. Quest'ultimo perde ogni attrattiva, diventa una semplice gabbia di numeri ormai collocati definitivamente al loro posto. Per risvegliare l'interesse del solutore servirebbe un altro schema, e poi un altro e un altro ancora... Con gli scacchi invece non è così, ogni partita presenta spunti di approfondimento e di discussione a distanza di anni o addirittura di secoli. Una partita a scacchi non è mai propriamente "finita", ha sempre qualcosa da dire a chi la studia. La meccanicità ripetitiva del sudoku può generare dipendenza, l'infinita creatività degli scacchi no.

Questa differenza ha qualcosa da dire anche a noi, Il Sudoku è davvero il passatempo per il nostro tempo, un esercizio usa-e-getta che impegna a fondo la mente ma non la spinge realmente a riflettere.

Giovanni Romano

giovedì 4 settembre 2014

Non chiamateli "donatori"!

Colpisce il tono quasi esultante con cui i TG nazionali (pagati con le nostre tasse) riportano lo smantellamento completo dei divieti all'eterologa e il via libera al Far West procreativo.

A parte l'ennesima dimostrazione dell'irrilevanza della volontà popolare, con un referendum assolutamente disatteso; a parte la demolizione pezzo per pezzo di quel poco che restava della legge 40 per via giudiziaria; a parte le regioni che si buttano a corpo morto nell'iniziativa legiferando al posto dello stato, colpisce l'uso di termini deliberatamente falsi e fuorvianti per mistificare la realtà.

Se noialtri cittadini siamo impotenti a fermare questa deriva, evitiamo almeno di usare la parola "donatore" che nobilita indebitamente coloro che non intendono assumersi alcuna responsabilità genitoriale. Chiamiamoli con il loro vero nome. Chiamiamoli fornitori. Fornitori e basta.

Giovanni Romano