venerdì 4 marzo 2011

Gli USA di Obama: indifferenti alla libertà religiosa


L'arcivescovo Chaput critica l'inazione americana

sulle questioni relative alla libertà religiosa


Washington D.C., 1 marzo 2011 / 01:31 pm – L'inazione e la noncuranza americana verso la promozione della libertù religiosa impediscono agli Stati Uniti di esportare “una delle sue più grandi qualità” e impacciano una “onesta discussione” sul rapporto tra l'islam e i capisaldi della democrazia, ha detto l'arcivescovo Chaput il 1 marzo.

“C'è bisogno di ribadire che la libertà religiosa – il diritto di adorare, predicare, insegnare e praticare liberamente quello in cui si crede, incluso il diritto di cambiare o cessare liberamente la propria fede religiosa sotto la protezione della legge – è la prima pietra nella fondazione della libertà umana”, ha commentato. “Nessuno, o che agisca nel nome di Dio o nel nome di qualche programma o ideologia politica, ha l'autorità di interferire con questo basilare diritto umano”.

L'arcivescovo di Denver, che ha servito dal 2003 al 2006 come membro della commissione statunitense sulla libertà religiosa internazionale, ha pronunciato queste osservazioni in un discorso inaugurale alla Georgetown University sponsorizzato dal Berkeley Center for Religion, Peace and World Affairs. La sua conversazione ha avuto per tema la questione se il ruolo della religione nella politica e nella società americana sia un modello per altri paesi.

Gli Stati Uniti hanno una storia come luogo di rifugio per le vittime della persecuzione religiosa, ha precisato l'arcivescovo. Al tempo stesso, “Proprio ora in America non ci stiamo comportando come se riverissimo questa eredità, o volessimo condividerla, o persino se la comprendessimo realmente. E penso che un giorno potremmo svegliarci per vedere che questa è una tragedia per noi, e per innumerevoli altre persone”.

L'arcivescovo, prendendo spunto dalla propria esperienza come commissario alla libertà religiosa, ha espresso la preoccupazione che le minoranze cristiane in Africa e Asia stiano sopportando il peso principale della violenza religiosa.

“Quasi il 70 per cento della popolazione mondiale vive oggi in nazioni – triste a dirsi, molte di loro a maggioranza musulmana, ma anche la Cina e la Corea del Nord – dove la libertà religiosa subisce gravi restrizioni”, ha detto, citando un rapporto del Pew Forum risalente al 2009,

L'arcivescovo ha avanzato l'ipotesi che molti leaders governativi, nei media, nell'università e nel mondo degli affari non sembrino più considerare la fede religiosa come “un fattore sociale salutare o positivo”. Ha criticato “l'ambivalenza” dell'amministrazione Obama verso “le diffuse violazioni della libertà religiosa in tutto il mondo” e anche l'inadeguatezza e la mancanza di interesse dei media nel riferire queste cose.

Ha detto che il modello americano di religione all'interno della società può e deve essere adattato ad altri paese, perché tocca un desiderio universale di libertà e di dignità umana. “Questi desideri sono innati dentro tutti noi”, ha aggiunto, richiamando l'attenzione sui “movimenti democratici che stanno ora attraversando il Medio Oriente e il Nord Africa”.

Tuttavia, l'arcivescovo Chaput ha sottolineato che gli stessi valori americani non possono essere capiti senza riconoscere che derivano da “una visione del mondo prevalentemente cristiana”.

“Far cadere dall'alto questo modello sopra culture non cristiane – come il nostro paese ha appreso per amara esperienza in Iraq – diventa un esercizio molto pericoloso”, ha avvertito. “Uno degli errori più gravi della politica americana in Iraq è stato sopravvalutare il potere della fede religiosa nel formare la cultura e la politica”.

L'arcivescovo di Denver ha detto che al cuore del modello americano di vita pubblica c'è “una visione cristiana dell'uomo, del governo e di Dio”. Ha chiarito di non affermare che l'America sia “una nazione cristiana”, o che l'eredità protestante sia positiva in blocco. Tuttavia, il modello americano ha fornito “una società aperta, libera e non settaria” precisamente a causa dei suoi capisaldi morali.

Questi capisaldi hanno un fondamento religioso in “una visione cristiana della santità e del destino della persona umana”. Nel modello americano, la persona umana non è un prodotto della natura o dell'evoluzione o una creazione delle condizioni economiche, o lo schiavo di un “paradiso impersonale”.

“L'uomo è in primo luogo e fondamentalmente un essere religioso con un valore intrinseco, una libera volontà e dei diritti inalienabili. E' creato a immagine di Dio, da Dio e per Dio. Perché siamo nati per Dio, apparteniamo a Dio. E qualunque rivendicazione Cesare possa avanzare nei nostri confronti, benché importante, è secondaria”, ha detto.

Date le nostre origini, l'arcivescovo Chaput ha detto che la libertà religiosa è “la prima e più importante” libertà per l'uomo perché è creato per uno scopo religioso e con un destino religioso. Nonostante “un'intera legione di inesattezze” dei Padri Fondatori, la logica americana di una società basata sulla sovranità di Dio e sulla dignità umana si è dimostrata “rimarchevolmente capace” di autocritica, di pentimento e di rinnovamento.

Negli Stati Uniti, ha spiegato, la religione è più di un affare privato tra l'individuo e Dio. E' essenziale per le “virtù richieste a un popolo libero” e dai gruppi religiosi ci si aspetta che contribuiscano alla struttura della società.

“Gli americani hanno imparato dal proprio passato”, ha concluso l'arcivescovo Chaput. “La genialità dei documenti fondativi degli Stati Uniti è il bilanciamento che hanno raggiunto nel creare una vita civile che sia non settaria e aperta a tutti, ma anche dipendente per la sua sopravvivenza dal mutuo rispetto tra l'autorità religiosa e quella secolare. Il sistema funziona. Dovremmo esserne orgogliosi come di uno dei contributi storici che questo paese ha dato allo sviluppo morale dei popoli di tutto il mondo”.

Il testo integrale del discorso dell'arcivescovo Chaput può essere letto qui:

http://www.catholicnewsagency.com/document.php?n=1000




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Unauthorized translation by

Giovanni Romano

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