venerdì 12 gennaio 2007

Erba: un perdono concesso troppo presto?

Come tutti, sono sconvolto dall'efferata crudeltà di quanto è accaduto a Erba. I due assassini ora in carcere hanno, penso, il triste privilegio di essere i detenuti più odiati d'Italia. Verso di loro, poi, ho una ragione personale di antipatia, perché mi hanno fatto vergognare del cognome che porto.

Ma non è dei dettagli di cronaca che voglio scrivere, roba da far impallidire "Apocalypto". I giornali hanno già rimestato a sufficienza. Non voglio nemmeno addentrarmi in scontate analisi psico-sociologiche. Quello su cui vorrei riflettere è la prontezza quasi eccessiva con cui il padre di Raffaella Castagna ha concesso il perdono.

Di fronte a una strage così efferata, così premeditata, di fronte a un male così caparbiamente voluto, il perdono stona. Quali che possano essere le intenzioni e la nobiltà d'animo del Signor Castagna, un annuncio del genere, in questo momento, manda probabilmente il segnale sbagliato: rassegnazione al male, paura, quasi indifferenza verso la vita delle vittime dilaniate in un modo così atroce.

Perdonare senza nemmeno una parola né un pensiero di pentimento da parte degli assassini è una cosa che ha fatto solo Gesù Cristo. Penso che la statura morale del Sig. Castagna sia infinitamente superiore a quella di chi invoca e promette vendetta, ma io, perdonate anche me, non so che farmene della "superiorità morale" se questo significa sacrificare l'autorità della giustizia umana. Altrimenti la punizione passa per arbitrio, e il colpevole, che mai come in questo caso ha voluto il male, passa per vittima.

Capisco -direi quasi condivido- più la rabbia e la voglia di vendetta di Azouz che non l'atteggiamento troppo "angelico" del Sig. Castagna. Forse sarebbe stato meglio mantenere il silenzio, un lungo silenzio fino a quando il tempo avesse decantato l'orrore e il rancore.

Giovanni Romano

P.S: Strano che a Erba "Avvenire" abbia intervistato tutti, anche i sacerdoti, meno che Padre Livio, il fondatore di Radio Maria. Sinceramente la cosa mi è dispiaciuta. Poco male, però. Padre Livio non ha bisogno della pubblità di "Avvenire". Se mai il contrario.

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