martedì 30 gennaio 2007

"Mi vuole insegnare?..."

E' la risposta del presuntuoso castellano spagnolo nei "Promessi Sposi". Ma è banale ridurre questa risposta alla spocchia di un provinciale. Quanti di noi avranno sentito un moto di ribellione quando si sono sentiti riprendere su qualcosa d'importante che non sapevano, e che invece avrebbero dovuto sapere? E ancora più, dalla mia esperienza d'insegnante: i ragazzi oggi sono disposti ad apprendere qualcosa?

Bisogna distinguere nettamente due tipi d'insegnamento, quello scolastico e quello universitario. Con buona pace di tante pedagogie centrate sul ragazzo, nella scuola si dà l'istruzione a chi non sa, nell'università invece si perfezionano le conoscenze di chi è disposto a imparare e già possiede delle nozioni per assimilare autonomamente quanto va apprendendo. Il caratere facoltativo e liberale dell'università esenta il docente da un problema che ogni inseganante sente invece tormentosamente: la riottosità dei propri alunni. Nella scuola non potrà mai passare un discorso autenticamente "culturale", perché i discenti (tranne forse quelli delle ultime classi, e in ogni caso i più dotati) non hanno ancora gli strumenti per comprenderlo.

Paradossalmente, in certi casi questo è un bene. Un Toni Negri insegnante sarebbe stato un frustrato tra tanti, perché le sue pretese intellettuali avrebbero dovuto arrendersi di fronte all'istintività cieca di ragazzi che quando aprono bocca lo fanno solo per ascoltare se stessi o imporsi da bulli agli altri. I ragazzi sono immuni dalle sofisticherie intellettuali perché sono al di sotto della cultura. Da questo punto di vista gli studenti universitari sono più vulnerabili. Solo il docente universitario, a pensarci bene, ha il privilegio di essere tradito dai propri allievi.

Questo non significa, però, che gli studenti di scuola superiore siano immuni dalle ideologie. Se è vero che, nonostante gli sforzi di insegnanti ben intenzionati, le copie destinate alla scuola della Repubblica e del Corriere della Sera giacciono in enormi pile non lette, il trucco sta nel presentare idee aberranti in un linguaggio comprensibile all'istintività: i suoni, le immagini, i video, la pubblicità, i film. Mi ha fatto veramnte paura quando i miei alunni di quarta mi hanno chiesto se volevo vedere il video dell'impiccagione di Saddam Hussein che avevano scaricato sui loro cellulari. Gli ho risposto che stiamo diventando barbari quanto i romani che andavano a veder morire la gente nei circhi (secondo me, quando una civiltà arriva a questo raggiunge il punto di non ritorno). Non so se mi hanno dato retta, sinceramente non credo. Nel mio rifiuto avranno letto la paura, ma probabilmente non avranno intuito che ho paura dell'imbarbarimento, non della violenza in sé.

E' probabile che abbiano pensato semplicemente che provassi la paura di chi non ha "stomaco" per guardare certe immagini (eppure una volta, da giudice popolare, mi è toccato vedere le immagini di una bambina assassinata e poi la sua autopsia). In ogni caso mi avranno visto come una voce esterna, che non s'imponeva alla loro coscienza.

"Mi vuole insegnare", appunto?... Ma, scrivendo questo, non dimostro forse di essere lontano io anni luce dai miei alunni?

Giovanni Romano

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