giovedì 22 settembre 2005

"Tendere la mano agli studenti immigrati". Ma se la mano è scomparsa?

Il nostro benemerito Presidente Ciampi ci ha ammannito l'ennesimo discorsetto politically correct quando ha esortato gli studenti italiani a "tendere la mano ai vostri compagni immigrati". Da tempo ormai ho rinunciato alla speranza di trovare, nelle parole del presidente, un accento, una parola, anche solo una virgola che si discostino coraggiosamente dal verbo del politicamente corretto.

Avrebbe potuto ricordare, ad esempio, che se noi tendiamo -com'è giusto- la mano agli studenti immigrati (molto spesso clandestini, quindi invasori), anche loro dovrebbero essere tenuti a fare altrettanto, e non chiudersi in ghetti culturali come è avvenuto a Milano nella scuola di Viale Quaranta (a dire il vero il Presidente, anni fa, aveva accennato alla reciprocità, ma non è tornato molte volte sull'argomento, e certamente non stavolta).

Inoltre, si è dimenticato di un piccolo particolare. Quest'anno, per la prima volta nella storia italiana, in una classe di scuola elementare non sono presenti alunni italiani, ma solo stranieri. Quindi, anche volendo, come farebbero a tendere la mano i figli degli italiani, che ormai non ci sono più? Quanti, in quella classe totalmente multietnica, si sentiranno italiani? La scuola, da sola, riuscirà a creare un senso di appartenenza?

Anche qui, il Presidente aveva fatto tempo fa un intervento giusto quando aveva accennato al numero troppo basso delle nascite. Purtroppo sembra che sia lui, sia soprattutto i mass-media abbiano messo la sordina su questo argomento, uno degli spunti più interessanti e validi del suo settennato. Speriamo nel prossimo presidente. Io mi auguro Pera, ma lo stato italiano non ha certo il coraggio del Vaticano che ha eletto Ratzinger!

Giovanni Romano

martedì 6 settembre 2005

Una riflessione su Matteo 18, 19-20

Domenica 4 settembre 2005 è iniziata la XXIII settimana del Tempo ordinario. Siamo in quella sezione del Vangelo di Matteo che “La Bibbia di Gerusalemme” chiama “discorso ecclesiastico”, in cui Cristo definisce molto concretamente i rapporti che devono vigere tra i suoi. Tuttavia, come sempre nel Vangelo, una lettura puramente “etica” di questi insegnamenti non solo sarebbe inopportuna, ma è impossibile. Perdonare sempre e comunque, avere il coraggio di correggere i fratelli, mettersi all’ultimo posto non sono delle “istruzioni” che uno possa mettere in pratica solo che si applichi con la necessaria diligenza. Finirebbe tutto nell’ipocrisia o in un cinico fiasco. Vi è un altro fattore che rende possibile tutto questo, e che l’uomo non può darsi da sé. Ce lo ricorda in particolare il passaggio apparentemente incongruo dei due versetti che chiudono la lettura evangelica di oggi:

19 In verità vi dico ancora se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà. 20 Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”.

Prima di tutto, quindi, l’atteggiamento da cui Cristo invita a partire i suoi non è la coerenza etica, ma una domanda continua. “Senza di me non potete far nulla”, sarà ricordato ai discepoli nell’Ultima Cena (cfr. Gv 15,5). Non è solo, e non è tanto la constatazione di un limite: bensì l’invito a fare sempre memoria del Padre, a ricordare che tutto è dono di un Altro.

Perché Gesù parla di “accordo” e di “qualunque cosa”? Non dobbiamo certo intendere quel “qualunque cosa” in senso arbitrario: non si può pregare nemmeno in diecimila per ottenere la riuscita di un attentato o di un sequestro! La chiave è la parola “voi”. Voi, i miei amici, i miei discepoli, quelli che seguite Me, che date fiducia a Me, che accettate di essere cambiati da Me. L’accordo, e la domanda, è possibile solo a condizione di seguire Cristo, di accettare la Sua amicizia e la sua guida. In questo modo, è possibile domandare “qualunque cosa”, perché chi fa memoria di Cristo non può chiedere cose cattive. Ed è necessario l’accordo, perché essere in due più a domandare fa uscire dal proprio soggettivismo, rende necessario tenere conto delle esigenze reciproche, mortifica un egoismo che assumerebbe altrimenti la maschera molto pericolosa di una devozione tanto individuale quanto interessata.

Ma c’è un’altra apparente incongruenza, un “salto logico” ancora più notevole, che forse sfugge a una lettura superficiale. Nel primo versetto Gesù parla del Padre. Nel secondo, che con il primo costituisce un blocco indissolubile, Gesù mette Se stesso in primo piano, anche qui in unione indissolubile con il Padre. E’ Lui dunque l’ “Altro fattore” che rende possibile l’esaudimento della domanda umana. Si può capire l’irritazione degli ebrei osservanti nell’udire parole come queste, perché intuivano chiaramente che in questo modo Gesù ribadiva di essere "una cosa sola" con il Padre, in ultima analisi lasciava balenare la propria natura divina (cfr. Gv 5,18 e anche Gv 10,30).

Certo, è possibile dare anche di queste profondissime parole una lettura puramente “orizzontal-solidaristica” come va di moda oggi: Cristo sarebbe soltanto un “input” in più rispetto a un gruppo che si forma per conto proprio, magari per nobili fini. Ma sarebbe travisare gravemente la lettera e lo spirito di questo passo evangelico. Quello che Gesù indica è un rapporto ontologico, non organizzativo. Non è Gesù che aggiunge qualcosa a un gruppo, è l’esistenza di una compagnia umana autentica a diventare possibile perché c’è Lui. La compagnia umana cambia forma e natura perché, invocando Lui, diventa Lui, la Sua presenza incontrabile nel mondo.

Giovanni Romano

lunedì 5 settembre 2005

Edmondo Peluso: come la sinistra si autoassolve

In un paio di giorni ho letto con enorme interesse il libro di Didi Gnocchi "Odissea rossa" (Eianudi, 2001) dedicato a Edmondo Peluso, comunista italiano fucilato dalla NKVD nel 1942 (per i dettagli biografici, vedi http://gariwo.net/giusti/peluso.php ).

A dire il vero, non ero completamente impreparato alla sua storia, perche' prima ancora della Gnochi ne aveva scritto Giancarlo Lehner in "La tragedia dei comunisti italiani" (Mondadori). Tuttavia, il libro della Gnocchi aggiunge molto agli accenni necessariamente brevi di Lehner, e presumibilmente nasce da una gestazione molto piu' lunga (nove anni, secondo quanto afferma l'autrice).

La Gnocchi ha anche saputo collocare opportunamente la vicenda di Peluso nel contesto della Russia post-comunista, sullo sfondo della miseria e dello squallore materiale e morale che il crollo del comunismo ha portato con se' (i suoi rapporti con gli interpreti, l'intervista coi condannati a morte, i viaggi attraverso le campagne e i villaggi).

Per una marxista dichiarata, e per una casa editrice dichiaratamente marxista, non e' affatto poco, e bisogna dargliene atto. Eppure io credo che attraverso la biografia di Peluso l'autrice abbia tentato una esplicita auto-assoluzione della sinistra. Ad esempio, sono taciute le enormi responsabilita' di Togliatti nella morte di almeno duecento comunisti uccisi dall'NKVD. La Gnocchi, al contrario, cerca di "riabilitarlo" osservando che Peluso fu l'unico (!) a favore del quale Togliatti cerco' di intervenire. Questo significa ammettere implicitamente che non intervenne per nessun altro, e diventa agghiacciante se si tiene presente il totale delle vittime italiane scomparse nelle purghe (il totale compare in Lehner, non nella Gnocchi). Inoltre si tace completamente il ruolo attivo di delatore che Togliatti ebbe nei riguardi di piu' d'uno dei suoi compagni. Devo ammettere che la Gnocchi e' stata molto brava: ha detto tutto, anche con una scrupolosa e ottima documentazione, per non ammettere niente.

Soprattutto, la Gnocchi non pone mai esplicitamente a tema la domanda che mi ha sempre tenuto lontano dalla sinistra: ma la causa era davvero buona? Non parlo delle aberrazioni, parlo della causa in se'. Valeva la pena costruire un mondo come quello preconizzato da Marx e Lenin, anche senza la violenza e il terrore che l'hanno storicamente accompagnato? Senza contare che l'URSS di Stalin era gia' contenuta nei Soviet di Lenin, come hanno ammesso anche alcuni politologi comunisti. Ma niente di tutto questo compare nel libro.

Secondo me il pensiero di sinistra, anche quello piu' blando, impoverisce gravemente l'umano, gli toglie orizzonte e significato. Mi ha colpito l'esempio dei coniugi Lafargue, (il genero di Marx e sua figlia Laura) che si suicidarono perché sentivano arrivare la vecchiaia. Antesignani dell'eutanasia? Una scelta piu' radical-borghese che proletaria. Ma vale la pena battersi per un mondo che finisce soltanto nella morte? Rivendicazione della liberta' di scegliere la propria fine, si dira'. E che liberta' e' questa, che si esprime solo con l'annientamento di se'? Il mondo nuovo sara' quello dove dovremo ammazzarci tutti (o dove ci elimineranno come parassiti se ci ostineremo a vivere e a gustare l'esistenza anche a 100 anni).

Di sinistra forse si nasce, non si diventa. Strano come io non abbia mai provato la minima attrattiva ne' la minima soggezione intellettuale verso il marxismo o la sinistra. Istintivamente, mi sono schierato sempre contro la pretesa dell'uomo di essere assoluto padrone e manipolatore della storia, del destino, del significato stesso dell'esistenza. Una tirannia molto peggiore di qualunque altra sia venuta prima. Inoltre, da decenni ormai il marxismo somiglia all'astrologia: non fa altro che inventare spiegazioni plausibili per gli errori delle sue previsioni.

Il libro e' scritto con stile scorrevole e con grande passione, i fatti sono scrupolosamente documentati e ben approfonditi. Bene ha fatto la Gnocchi a mettere in rilievo come, poco prima del suo arresto, Edmondo Peluso sentisse una viva nostalgia per le sorelle e i nipoti. Probabilmente aveva compreso che l'impegno politico e la fede rivoluzionaria non esauriscono le dimensioni della persona, che non si puo' rimodellare la realta' come ci pare e piace.

Più la vicenda umana di Peluso si avvia verso la sua tragica conclusione, più diventa evidente che la salvezza dal totalitarismo passa dal pre-politico o dall'anti-politico: la famiglia, le amicizie che si scelgono liberamente, le simpatie al di la' di ogni schieramento (a proposito, penso che Peluso mi sarebbe stato molto simpatico se l'avessi conosciuto personalmente. Idem per la Gnocchi). Alla sinistra manca l'umano, quali che siano le acrobazie storiche o dialettiche escogitate per coprire questo vuoto.

Giovanni Romano