martedì 23 agosto 2022

Come Yu Kung NON rimosse le montagne

 


Durante il congresso del Partito Comunista del giugno 1943, Mao Zedong citò un'antica favola cinese che grazie a lui divenne celebre come esempio di perseveranza e di tenacia nel perseguire uno scopo senza mai deflettere. Lasciamogli la parola:

Una antica favola cinese, intitolata Come Yu Kung rimosse le montagne, racconta di un vecchio che viveva tanto, tanto tempo fa nella Cina settentrionale ed era conosciuto come il "vecchio sciocco delle montagne del nord". La sua casa guardava a sud e davanti alla porta due grandi montagne, Taihang e Wangwu, gli sbarravano la strada. Yu Kung decise di spianare con l'aiuto dei figli, le due montagne a colpi di zappa. Un altro vecchio, conosciuto come il "vecchio savio", quando li vide all'opera scoppiò in una risata e disse: "Che sciocchezza state facendo! Non potrete mai, da soli, spianare due montagne così grandi". Yu Kung rispose: "Io morrò, ma resteranno i miei figli; morranno i miei figli, ma resteranno i nipoti, e così le generazioni si susseguiranno all'infinito. Le montagne sono alte, ma non possono diventare ancora più alte; ad ogni colpo di zappa, esse diverranno più basse. Perché non potremmo spianarle?" Dopo aver così ribattuto l'opinione sbagliata del vecchio savio, Yu Kung continuò il suo lavoro un giorno dopo l'altro, irremovibile nella sua convinzione. Ciò impietosì il Cielo, il quale inviò sulla terra due esseri immortali che portarono via le montagne sulle spalle.

Una conclusione alquanto sorprendente per un materialista dichiarato, ma Mao si affrettò a precisare:

Dobbiamo essere perseveranti e lavorare senza tregua, e noi pure commuoveremo il Cielo, e questo cielo non è altro che il popolo di tutta la Cina. Se esso si solleverà per spianare con noi le montagne, perché non potremmo riuscirci?

Una bella metafora, non c'è che dire, ma forse ce n'è un'altra più adatta a esprimere il fallimento sanguinoso di tante rivoluzioni e utopie, non solo quella cinese. È una metafora che mi era venuta in mente da molto tempo, quando improvvisamente mi era balenata l'idea di un'altra conclusione possibile per la favola, che aveva trascurato un particolare importante ma decisivo:

E così Yu Kung continuò a lavorare, un giorno dopo l'altro, un anno dopo l'altro. E dopo di lui, ammirevolmente, i suoi discendenti per novemila generazioni. Fino a quando, trasparente e chiara, sorse l'alba dell'ultimo giorno, e l'ultimo discendente dette l'ultimo colpo di zappa a quello che ormai era un piccolo, insignificante pugno di terra. Tutto quello che restava delle immense montagne. La strada era libera, e davanti a lui si apriva finalmente un panorama di sconfinata bellezza. Troppo emozionato per parlare, incredulo di aver portato a termine un lavoro così immane cominciato trecento secoli prima, l'uomo si asciugò il sudore e contemplò a lungo in silenzio il paesaggio davanti a lui. Poi si voltò per tornare a casa. E fu allora che vide...

O meglio, non vide quasi più nulla perché i detriti che lui, il suo avo Yu Kung e le novemila generazioni avevano accumulato erano alti, altissimi fino al cielo. Due montagne spaventose che chiudevano di nuovo l'orizzonte, stavolta dietro di lui. La strada di casa era scomparsa, e lui improvvisamente si sentì immensamente stanco e svuotato. Mai avrebbe avuto l'energia di riprendere quel lavoro inutile, né lui né i suoi discendenti. Si sedette sulla prima pietra che trovò, all'ombra di quelle nuove montagne, e non disse nemmeno una parola.

Giovanni Romano

lunedì 1 agosto 2022

"Silence": un fim girato dalla parte dei persecutori


Non ho visto il film di Scorsese e non penso che lo farò, perché le scene di tortura mi fanno molta impressione, e in questa pellicola certamente non mancano. Sono dunque costretto a scrivere, per così dire, di seconda mano e per sentito dire, ma mi è parso di capire che il film è stato salutato con grande entusiasmo dalla maggioranza dei commentatori anche cattolici, e accolto con scetticismo da una esigua minoranza. Per una più ampia presentazione del film e della trama, suggerisco l'articolo di Brad Miner pubblicato l'11 gennaio 2017 sul sito La Nuova Bussola Quotidiana (www.lanuovabq.it) al link http://tinyurl.com/hvdkzg4.

Credo sia necessario fare tre premesse.

In primo luogo, il film viene a colmare una secolare lacuna storica, anzi una vera e propria congiura del silenzio sulle persecuzioni e i massacri dei cattolici giapponesi nel secolo XVII, persecuzioni che furono addirittura giustificate e applaudite nientemeno che dall'Apostolo della Tolleranza, Voltaire (vedi alla voce «Giappone» nel suo «Dizionario filosofico»). Proprio su questo punto, tra parentesi, il titolo del film si rivela in tutta la sua pregnanza: le persecuzioni furono così feroci da ridurre effettivamente al silenzio la cristianità giapponese per oltre due secoli. Silenzio poi, quando non aperta connivenza (come nel caso del sopracitato Voltaire) degli intellettuali illuministi in Europa (e ne vedremo la ragione più profonda che non fu certo motivata dalla paura). Silenzio infine dalla stessa Chiesa Cattolica che forse volle nascondere lo smacco più cocente della sua attività missionaria ed esorcizzare la domanda posta dal film: è proprio vero che il cristianesimo è positivo, è un bene per tutti gli uomini, per tutte le nazioni, per tutte le culture, o è piuttosto un fattore di divisione, di turbativa delle coscienze, di ribellione all'ordine costituito e di infiacchimento dello stato? (Gibbon docet!).

Seconda premessa: siamo sicuri che il film prenda realmente le parti dei perseguitati o piuttosto giustifica indirettamente i loro persecutori attraverso il trionfo dell'apostasia? Per meglio dire: a giudicare dalla trama, il film sembra propendere a favore di coloro che abiurarono sotto la tortura o la minaccia della tortura, e tratta da fanatici irresponsabili quelli che rimasero fermi nella fede perché attirarono l'ira delle autorità sulla loro comunità ed esposero sé stessi, le loro famiglie e i loro amici a violenze di ogni genere in nome della loro "ostinazione".

Terza premessa: la misericordia. In questo film, se ne ho capito bene la trama, la misericordia e il perdono vanno non tanto ai persecutori quanto a coloro che hanno rinnegato la fede o peggio ancora tradito i loro fratelli.

Intendiamoci: qui non si tratta di giudicare nessuno, meno che mai gli uomini e le donne che dovettero affrontare quelle situazioni spaventose e i drammi di coscienza che comportavano. Si può invece, anzi si deve, prendere posizione nei confronti di chi ha girato il film, di come abbia letto quella vicenda storica e soprattutto di quale messaggio ha voluto far passare.

Cominciamo innanzitutto con il constatare che la persecuzione in Giappone fu condotta con una determinazione assolutamente spietata e con criteri quasi scientifici per l'epoca, e a differenza delle persecuzioni in Occidente, ebbe un successo quasi completo. Questo per due ragioni: in Occidente il cristianesimo riuscì a fare propria la filosofia greca che già apparteneva al mondo classico, e si trovò a operare in una struttura statuale ancora regolata dal diritto romano che temperava l'assolutismo dell'imperatore (che ad esso anzi si richiamava apertamente). Nessuno di questi due elementi esisteva in Giappone. Sotto questo aspetto Voltaire aveva ragione, a modo suo: il cristianesimo possiede effettivamente una carica di destabilizzazione sociale (sarebbe più corretto dire: di rifondazione dei rapporti umani), una carica tanto più dirompente in una società come quella giapponese in cui l'obbedienza cieca all'imperatore e alle autorità, il conformarsi all'armonia sociale mascherava il più crudo dispotismo e i rapporti sociali più iniqui. Non è un caso che al cristianesimo aderirono non solo esponenti delle classi alte ma numerosi contadini poveri e sfruttati, che per la prima volta in vita loro vedevano riconosciuta la loro dignità di esseri umani e figli di Dio.

Il cristianesimo, inoltre, desacralizzava la figura dell'imperatore (e dunque tutta la piramide sociale che ne dipendeva) trasformandolo agli occhi dei cristiani in un essere umano dotato certamente di autorità ma sottoposto anch'egli alla legge e al giudizio di Dio.

Non so se il film colga questi punti, ma a giudicare dalla trama direi che si metta piuttosto dalla parte dell'ordine costituito. Ad esempio, uno dei protagonisti del film è un ex cristiano o sacerdote che non solo ha apostatato, ma si è trasformato nel più accanito e spietato persecutore dei cattolici (il contrario di San Paolo!). Le pressioni che costui è capace di esercitare sui fedeli sono incredibili. Oltre alle più barbare torture fisiche, usa metodi di pressione più raffinati, come ad esempio la tortura psicologica contro il sacerdote che non vuole abiurare e che viene costretto ad assistere alle sevizie e all'uccisione dei suoi parrocchiani. L'inquisitore non esita a rinfacciargli la sua fede: «Perché ti ostini tanto stupidamente con il tuo orgoglio? Cosa ti costa sfiorare appena appena col piede questa immagine di Cristo?1 Fallo, e noi cesseremo le torture e lasceremo andare i tuoi amici. Se invece moriranno tra i tormenti sarà solo colpa tua!».

Un sistema degno della Gestapo e dell'NKVD, che sarebbero venute ben tre secoli dopo! Non credo che il regista, in nessun punto del film, faccia osservare che tanta crudeltà dipende dalla libera volontà dei persecutori, non certo dai perseguitati, e che non si può accettare un ricatto morale tanto grossolano. Nessuno può scaricare sugli altri la responsabilità della sofferenza che ha scientemente deciso di infliggere ai suoi simili.

Un altro argomento che probabilmente compare di frequente nel film è che il cristianesimo non sarebbe adatto alla civiltà giapponese, sarebbe anzi un corpo estraneo, un'imposizione venuta dall'esterno e teleguidata dal Vaticano. Questo naturalmente è un sofisma: se le cose stessero veramente così non sarebbe stato necessario perseguitarlo con tanta violenza, perché l'appello dei missionari non avrebbe trovato proseliti e sarebbe caduto nel vuoto come quello di San Paolo all'Aeropago. Ho già mostrato quale carica dirompente avesse il cristianesimo nei confronti di una delle società più chiuse, conformiste e repressive del mondo, una società in cui l'individuo semplicemente non esiste come persona ed è sempre spendibile nell'interesse della comunità (o meglio del potere). Qui mi interessa affermare che la vulgata del film è una piena giustificazione del relativismo e delle culture a compartimenti stagni, senza possibilità di interazione reciproca. O meglio: secondo questa vulgata sono sempre i cristiani che devono «aprirsi» alle altre culture, ma il viceversa sarebbe sempre prevaricazione e imposizione. Questo finisce per avere due conseguenze: ghettizzare il cristianesimo entro la cultura occidentale (e sappiamo quanto questa cultura sia capace di auto-denigrazione, come disse a Subiaco l'allora Card. Ratzinger nel settembre del 20052), e negare che esso sia capace di parlare all'uomo in quanto tale, sotto qualsiasi latitudine, comprendendo e abbracciando le esigenze più fondamentali del cuore umano che è il medesimo in tutti.

In ultimo la misericordia dei cristiani. Forse è questo il punto più toccante e umano del film. Uno dei protagonisti è un traditore apostata che ha fatto imprigionare e torturare un sacerdote suo amico fraterno. Continua a tradire ma torna sempre da lui a chiedere l'assoluzione perché ogni volta ammette la sua colpa, e ogni volta viene perdonato e assolto. Questo è un punto importante. La misericordia opera quando c'è almeno il riconoscimento di quello che si è e di quello che si è fatto. La misericordia invece è vana verso chi compie il male rivendicandolo come suo diritto o peggio ancora come suo merito. Se poi il film volesse insinuare che l'idea che qualunque comportamento sarà comunque perdonato, ne lascio l'eventuale responsabilità al regista e soprattutto all'autore del libro da cui il film è tratto.

Permettetemi dunque, alla fin dei conti, di non unirmi al coro di tante voci, anche cattoliche, che hanno subito gridato al capolavoro. Può esserlo quanto alla superba recitazione degli attori, ma dal punto di vista del contenuto ne sono molto meno sicuro.

Giovanni Romano

1 . Si allude al calpestamento del Crocifisso o di una immagine sacra per provare la propria rinuncia al cristianesimo.


2 . Vedi http://tinyurl.com/z4feu42