lunedì 31 agosto 2009

Chi vuole imbavagliare i cattolici?

Su una cosa, ammettiamolo, Silvio Berlusconi ha ragione: in Italia esiste davvero una giustizia ad orologeria. In questi giorni ne sta facendo tristemente le spese un grande giornalista che ammiro da molti anni per l’equilibrio, la preparazione, la pacatezza e il coraggio di sfidare il “politicamente corretto”. E’ Dino Boffo, il direttore di “Avvenire”.

Difficilmente un uomo è stato scelto con tanta lungimiranza al posto giusto nel momento giusto. Boffo ha trasformato quel che sembrava un noioso bollettino parrocchiale distribuito solo in abbonamento, pieno di editoriali prolissi che non leggeva quasi nessuno, in un quotidiano dinamico, pieno di notizie fresche e aggiornate, ben illustrato, elegante nel design e molto leggibile tipograficamente, soprattutto una tribuna libera dove si sono sempre potute confrontare le diverse anime del cattolicesimo italiano.

Soprattutto, “Avvenire” è diventata gradualmente la voce di molti cattolici (e non dei soli vescovi, come alla stampa laicista piace insinuare) che non nutrono alcun complesso d’inferiorità né di subordinazione culturale verso un secolarismo che si crede totalmente autoreferenziale. Non ha avuto paura di battersi su temi eticamente e politicamente scottanti. Ha saputo difendere la Chiesa da attacchi ingiusti e immotivati. Pian piano la sua circolazione è aumentata, anche se troppi cattolici, è doloroso dirlo, lo hanno snobbato o sottovalutato. Il segno più evidente della sua autorevolezza era sentirlo citare sempre più spesso nelle rassegne della stampa laica. L’opinione di “Avvenire” aveva preso un peso che non si poteva più ignorare. Dino Boffo ha dimostrato che si può essere ottimi giornalisti, uomini colti e al tempo stesso cattolici fedeli alla Chiesa senza chiudersi in un ghetto di sacrestia. Di più: ha dimostrato che seguendo gli insegnamenti della Chiesa è possibile realizzarsi sia nel proprio lavoro che nella propria umanità.

A molti questo dava fastidio, a sinistra come a destra. Mi accorgo però di aver usato due termini che da molto tempo non hanno più senso, particolarmente in relazione ai cattolici. Quando il potere laicista rifiuta di fare riferimento a Dio, la reazione contro la Chiesa è identicamente furibonda, perché destra e sinistra condividono il postulato che l’uomo basti a sé stesso.

“Avvenire”, e non il solo Boffo, è stato attaccato su almeno tre fronti. I laicisti e i radicali non gli hanno perdonato di avergli fatto fallire il referendum sulla manipolazione genetica, né la difesa della famiglia, della vita e del matrimonio. La destra non gli ha perdonato di aver difeso l’unità del paese contro forme di localismo miope e ottuso, i diritti dei più poveri e la dignità umana dei migranti. La magistratura, infine, non gli ha perdonato le forti critiche alle sentenze “creative” con cui taluni magistrati si sono arrogati un potere para-legislativo senza controllo, introducendo di fatto l’eutanasia, distruggendo le tutele a difesa dell’embrione, declassando l’insegnamento della religione cattolica scelta dalla stragrande maggioranza delle famiglie italiane.

Gli attacchi erao già nell'aria, numerosi e inquietanti. In primis, la falsa copertina di "Avvenire" pubblicata da "La Stampa", senza che l’altezzoso foglio laicista si sentisse in dovere di scusarsi (ci si scusa coi musulmani che possono sparare e sgozzare, non certo quando si offendono i cattolici!); Poi, lunedì 24, su “Il Giornale”, un attacco bilioso e a testa bassa dall'ex presidente Cossiga. Ma il colpo finale è stato tirato a freddo da un giornalista indescrivibilmente cinico e spregiudicato come Vittorio Feltri, non nuovo a operazioni mediatiche pilotate, aggressive e demagogiche di bassissimo profilo. La data non poteva essere più signficativa: il 28 agosto, la Festa della Perdonanza cui sarebbe dovuto intervenire lo stesso Presidente Berlusconi. Non c’è bisogno di dire che tanto tempismo nel divulgare un fatto accaduto otto anni prima (se è accaduto!) ha fatto immediatamente saltare l’incontro del capo del governo con il Cardinale Bertone. E sarebbe stato un incontro di portata storica.

Non era, e non è, il solo Boffo a essere il bersaglio di una campagna mediatica condotta con glaciale cinismo. Non era, e non è, solo “Avvenire” a essere preso di mira come giornale libero e indipendente dagli schieramenti. Si è voluto colpire un avvenimento altamente simbolico come la Perdonanza perché si vuole impedire a tutti i costi che lo stato riconosca nella Chiesa e nei cattolici dei valori ai quali esso stesso può fare riferimento per il bene comune. In Francia lo ha capito il non praticante Sarkozy; in Italia invece con questo episodio si è reintrodotto nel modo più brutale e subdolo il principio non della laicità, ma del laicismo delle istituzioni, dell’estraneità e dell’emarginazione definitiva dei cattolici dalla vita pubblica e culturale del paese. E ci meravigliamo che la disaffezione per la politica sia in aumento? Non se ne meraviglia di certo chi conta su questo per comandare senza rendere conto a nessuno!

Prima che i “puri” e i pauperisti alla Enzo Bianchi si mettano a strillare contro “l’alleanza tra il trono e l’altare”, vorrei osservare che la questione si pone esattamente al contrario. E’ lo stato laico che in questo momento ha bisogno della Chiesa. Intervenendo alla Perdonanza, Berlusconi avrebbe dato un segnale estremamente chiaro: il cattolicesimo non è un corpo estraneo all’Italia, non è un accidente storico, non è una religione accanto alle altre, intercambiabile col l’islam, il buddismo, lo scintoismo, l’animismo e compagnia bella. E’ parte del tessuto del nostro popolo, segno di un ethos che, appunto, rende possibile anche il perdono. La partecipazione a un gesto del genere da parte di una delle massime autorità dello stato era qualcosa che le autoreferenziali élites laiciste non potevano in nessun modo tollerare. Bisogna sradicare ogni appartenenza, eliminare la tradizione o al massimo ridurla a folklore, a fatto esclusivamente privato.

Non è solo l’episodio della Perdonanza che dovrebbe richiamare la nostra attenzione. E’ solo una coincidenza che Boffo sia stato attaccato nel momento in cui il presidente della Camera Fini sta esternmando sempre più apertamente contro la Chiesa e premendo per allargare le maglie del “testamento” di fine vita? E’ solo una coincidenza che si voglia far tacere “Avvenire” mentre si vuol diffondere la psicosi delle aggressioni “omofobe”? E’ solo una coincidenza che in questo periodo l’UE stia premendo per far rimuovere i crocifissi dagli edifici pubblici? E’ solo una coincidenza che da destra e da sinistra si minacci in continuazione la revisione del Concordato? A chi conviene questa situazione, a Berlusconi o piuttosto a chi, da dietro le quinte, si prepara a prenderne il posto e dopo aver voltato gabbana sui valori propugnati fino al giorno prima sta seguendo corsi accelerati di laicismo per arrivare sempre più in alto?

Cosa voglia ottenere “l’affaire Boffo” è chiaro: si vuole colpire al cuore la strategia tanto indovinata del Cardinale Ruini di una presenza autonoma dei media cattolici nella società. “Avvenire” dovrà essere neutralizzato. I cattolici dovranno essere in ogni modo imbavagliati, emarginati, ghettizzati, ridicolizzati impunemente. La Chiesa dovrà essere ricacciata o in un ghetto “spirituale” dove sarà libera di occuparsi di questioni “dalle nuvole in su”, oppure al massimo fare da tappabuchi con il volontariato ai fallimenti e ai disastri umani provocati dal secolarismo. Una volta zittito il quotidiano cattolico, l’Italia, potrà “finalmente” essere omologata a forza al laicismo e al nichilismo imposti da Bruxelles.Non a caso, qualche vescovo spagnolo dichiarò a mezza voce che se la società spagnola è precipitata senza contrasto nella secolarizzazione è stato anche perché le è mancato un quotidiano della levatura e della diffusione di “Avvenire”.

Io credo che in questo momento nessun altro giornalista cattolico abbia la statura, la competenza, l'autorevolezza di Dino Boffo. Eliminato lui, non solo sarebbe un vuoto incolmabile per “Avvenire”, non solo sarebbe una perdita per tutta la stampa libera in Italia, ma verrebbe a mancare un punto di riferimento decisivo per un giudizio equilibrato e sereno, cioè cattolico, sull’attualità. E più ancora sarebbe la morte della pietà. Tolta la presenza cattolica dai media, si entrerà in un mondo dove il giornalismo e la politica si ridurranno a una guerra di bande. Senza ritorno, e senza più avvenire.

Giovanni Romano

giovedì 27 agosto 2009

Un vescovo coraggioso contro i "cattolici adulti"

Riporto qui un articolo comparso il 25 agosto sul sito www.catholicnewsagency.com con un magnifico intervento di Mons. John M. D'Arcy contro l'arroganza degl intellettuali "cattolici" della Notre Dame University che hanno premiato il presidente più abortista della storia americana senza nemmeno sentirsi in dovere di comunicargli la loro decisione. Spero che molti leggano e condividano questo intervento.

FORT WAYNE, Indiana, 25 agosto 2009 /11:35am (CNA) - Il Vescovo John M. D’Arcy, la cui diocesi ricomprende la Notre Dame University, non è disposto a lasciar cadere i punti controversi sollevati dalla premiazione del Presidente Obama. Al contrario, il Vescovo di Fort Wayne - South Bend ha stilato un pungente articolo per il prossimo numero della rivista America, in cui rivolge un appello alla rinomata università affinché valuti le conseguenze di non aver rispettato l’autorità dei vescovi.
In un articolo che sarà l’editoriale della rivista America, pubblicata dai gesuiti, il Vescovo D’Arcy scrive che "man mano che l’estate s’inoltra sul magnifico campus vicino al lago dove il giovane sacerdote della Santa Croce, Edward Sorin, C.S.C., piantò la tenda 177 anni fa e iniziò la sua grande avventura, dobbiamo chiarificare la situazione che ha tanto amareggiato la Chiesa nella primavera scorsa: fare chiarezza su quel che era in gioco e quel che non era in gioco".

Secondo il Vescovo, che aveva richiesto al presidente di Notre Dame, Fr. John Jenkins, di non premiare Obama: "Non è in questione il presidente Obama... Non è una questione di democratici contro repubblicani... non è una questione se sia appropriato o meno per il Presidente degli Stati Uniti parlare alla Notre Dame o a qualunque grande Università Cattolica sulle questioni più urgenti del giorno".

La risposta dei fedeli, scrive il Vescovo d’Arcy, "non ha nulla a che vedere con ciò che questa rivista (America) ha definito "settarismo cattolico". Piuttosto, la risposta dei fedeli deriva direttamente dal Vangelo".

La vera questione posta dalla situazione è se una Università Cattolica abbia o meno la responsabilità di dare pubblica testimonianza alla fede, afferma D’Arcy. "In caso contrario, qual è il significato di una vita di fede? E come può un’istituzione cattolica aspettarsi che i suoi studenti vivano secondo la fede nelle difficili decisioni che dovranno affrontare in una cultura spesso ostile al Vangelo?", si chiede.

"Nella sua decisione di conferire la sua massima onorificenza a un presidente che si è ripetutamente opposto anche alla più piccola protezione legale per il bambino nel grembo, Notre Dame ha forse lasciato cadere la responsabilità che Papa Benedetto ritiene che abbiano le università cattoliche: dare pubblica testimonianza alle verità rivelate da Dio e insegnate dalla Chiesa?", si chiede anche il Vescovo.

Monsignor D’Arcy poi richiama severamente la Notre Dame University per aver sponsorizzato durante molti anni il lavoro teatrale "I monologhi della vagina".

"Sebbene abbia parlato con molta eloquenza sull’importanza del dialogo con il presidente degli Stati Uniti, il presidente di Notre Dame ha scelto di non dialogare col suo vescovo su queste due questioni, entrambi pastorali ed entrambi con serie ripercussioni sulla cura d’anime, che è la responsabilità principale del vescovo", ha detto.

"Entrambe queste decisioni", rivela il Vescovo D’Arcy, "sono state portate a mia conoscenza dopo essere state prese, e, nel caso della laurea honoris causa, dopo che il Presidente Obama aveva accettato".

Mettendo in chiaro di non aver mai interferito nella gestione interna di Notre Dame o di nessun’altra istituzione d’istruzioine superiore della diocesi, D’Arcy spiega che "il vescovo diocesano deve chiedersi se un’istituzione cattolica comprometta o meno il suo obbligo di dare pubblica testimonianza quando colloca il prestigio al di sopra della verità".

"Il mancato dialogo con il vescovo porta alla luce una seconda serie di questioni", prosegue.

"Di che tipo è la relazione di un’Università Cattolica con il vescovo locale? Nessun rapporto? O il vescovo è qualcuno che di tanto in tanto viene a celebrare la Messa nel campus? O è un tizio che siede sul palco durante la cerimonia del conferimento delle lauree?".

"Oppure il vescovo è il maestro della diocesi, responsabile delle anime, incluse quelle degli studenti - in questo caso gli studenti di Notre Dame? La responsabilità del vescovo d’insegnare, di governare e di santificare finisce forse alle porte dell’università?".

"Io pongo queste domande all’Università nello spirito della Ex corde Ecclesiae", ha dichiarato.

Il Vescovo D’Arci mette poi in rilievo la forte vita spirituale di molti membri della facoltà e di molti studenti dell’università, e riconosce che "il dipartimento di teologia è cresciuto in eccellenza accademica nel corso degli anni, rinforzato da un reclutamento avveduto di docenti di prim’ordine nel loro campo, nella conoscenza della tradizione e nel loro modo di vivere la fede cattolica".

"Tuttavia", aggiunge, "restano in piedi le questioni relative al rapporto dell’Università nel suo complesso con la chiesa, e quel che è accaduto sul campus prima e durante la premiazione di Obama è significativo per l’attuale dibattito sull’istruzione superiore cattolica".

Mettendo in rilievo che un gran numero di studenti e di membri della facoltà erano contrari al discorso inaugurale di Obama e al conferimento della laurea, il vescovo dice che alla rivista America "e ad altri nei media, sia cattolici che secolari, che hanno commentato le notizie da lontano, non hanno fatto una distinzione tra gli estremisti da una parte, e dall’altra gli studenti e coloro che si sono uniti a loro nelle ultime 48 ore prima della cerimonia. Il secondo gruppo (NO Response) ha agito con la preghiera e mostrando in modo civile il proprio disaccordo, Hanno cooperato con le autorità universitarie".

"In questo tempo di crisi per l’Università", egli nota, "questi studenti e professori, con l’istinto della fede, si sono rivolti al vescovo per avere guida, incoraggiamento e preghiera".

Sebbene all’inizio avesse inteso assentarsi dalla cerimonia della laurea, il Vescovo D’Arcy scrive che "Man mano che si avvicinava la laurea, sapevo che avrei dovuto essere con gli studenti. Era una questione di semplice giustizia che il vescovo fosse con loro, perché erano dalla parte della verità, e la loro dimostrazione era pacifica, radicata nella preghiera e ricca di significato".

Il Vescovo D’Arcy prende di mira anche il consiglio d’amministrazione dell’Università "per non aver detto nulla" quando si è riunito ad aprile per il loro incontro di apertura programmato da tempo.

"Quando l’incontro si è concluso, non hanno emesso nessun comunicato e non hanno preso alcuna posizione. In un’epoca in cui la trasparenza viene invocata come modo di vivere nella vita e nei campus, hanno scelto di non prendere parte al dibattito che si svolgeva tutt’intorno a loro e che stava scuotendo l’università dalle radici", ha scritto.

Quel che il consiglio d’amministrazione deve fare è "prendersi nuovamente la responsabilità, con appropriati studi e preghiera... con maggiore serietà e in uno spirito realmente cattolico", esorta il Vescovo.

D’Arcy conclude il suo articolo ponendo alcune domande cruciali a Notre Dame "e ad altre università cattoliche".

Il Vescovo chiede:

"Considerate vostra responsabilità, nelle vostre dichiarazioni pubbliche, nella vostra vita universitaria e nelle vostre azioni, incluso il conferimento pubblico di onorificenze, dare testimonianza alla fede cattolica in tutta la sua pienezza?".

"Qual è il vostro rapporto con la Chiesa e, in particolare, con il vescovo locale e la sua autorità pastorale, come definito dal Concilio Vaticano II?".

"Infine, una domanda più fondamentale: Dove si rivolgeranno le grandi università cattoliche per cercare una luce che li guidi negli anni a venire? Sarà il Land O’Lakes Statement o la Ex Corde Ecclesiae?".

Il Land O’Lakes Statement fu firmato nel luglio 1967 da un gruppo di educatori cattolici, guidato dall’allora presidente della Notre Dame Fr. Theodore Hesburg. Il famoso storico cattolico Philip Gleason definì questo manifesto "una dichiarazione d’indipendenza dalla gerarchia", aggiungendo che esso separava l’università cattolica dalla vita della fede e metteva in moto il declino dell’identità cattolica di parecchie grandi istituzioni d’istruzione superiore.

Il vescovo D’Arcy descrive il Land O’Lakes Statement come un documento "che proviene da un’epoca di frenesia, che ebbe il denaro come sua forza propulsiva. Il suo modo d’intendere la libertà era arroccato sulla difensiva, assolutista e ristretto. Non menziona mai Cristo e non nomina mai la verità".

"Il secondo testo, Ex Corde Ecclesiae, parla costantemente della verità e della ricerca della verità. Parla di libertà nel senso più ampio; la tradizione filosofica cattolica e teologica sono legate al bene comune, ai diritti degli altri e sempre soggette alla verità".

"Su queste tre domande, che sottopongo rispettosamente, si fonda il futuro dell’istruzione superiore cattolica in questo paese e in molti altri luoghi", conclude il Vescovo D’Arcy.
Traduzione di Giovanni Romano

Mi sorge un dubbio...

Come mai si è trovato il modo di clonare gli esseri viventi e non si è ancora trovato il modo di clonare i portafogli, specialmente quelli pieni?

Giovanni Romano

Abuso liturgico?


Una cosa che mi fa soffrire molto, nella mia parrocchia, è vedere come il mio parroco dà in appalto ai laici la distribuzione dell'Eucarestia, mentre lui dirige i canti. Questo mi sembra un grave abuso liturgico. Il sacerdote non è uno showman, un animatore o un direttore d'orchestra. Il sacerdote DEVE distribuire PERSONALMENTE l'Eucarestia di cui è direttamente responsabile, salvo caso di impedimento grave. Probabilmente senza rendersene conto, il parroco banalizza di molto il cuore della Messa e il sacramento più importante.
Giovanni Romano

Crisi della confessione o crisi di volontà?

Domenica mi sono confessato. Ho notato che non appena il mio parroco ha detto che un sacerdote era disponibile per le confessioni si è formata una piccola folla, c'è stata persino una lite su chi doveva passare per primo. Si parla di "crisi del sacramento della Confessione" (o riconciliazione, come va di moda chiamarlo adesso), ho letto contribuiti autorevoli e approfonditi in materia pubblicati da "In Comunione" in preparazione dell'imminente Settimana Liturgica Nazionale di Barletta (mentre scrivo è in pieno svolgimento). Tutto giusto e tutto vero, naturalmente, ma secondo me la crisi nasce anche dalla riluttanza a confessare di troppi sacerdoti, troppo impegnati e auto-occupati. In realtà, c'è una grande sete di confessarsi, non appena un sacerdote si mostra disponibile si trova subito assediato. E ancora una volta con buona pace di certo clero, non sono solo "le vecchiette" che vanno a confessarsi, ma giovani, ragazze, uomini e donne adulti. C'è sete di un sacramento che troppi preti snobbano.
Giovanni Romano

giovedì 6 agosto 2009

Sepolta viva?

A Trani, qualche giorno fa, mi è capitato di leggere un manifesto funebre involontariamente comico. Era scritto infatti:

A TUMULAZIONE AVVENUTA,

SI È SPENTA LA CARA ESISTENZA DI...


Come sarebbe a dire, a tumulazione avvenuta? Forse la signora è morta dopo essere stata sepolta?


Giovanni Romano

Specchietto per tifosi gonzi

Scritto il 5 agosto 2008

Ieri ho visto, in un grande negozio di elettronica, un'esposizione di chiavette USB dedicate ai tifosi. Ce n'erano coi colori dell'Inter, della Juve, del Milan. Erano però TUTTE UGUALI, solo i colori erano diversi. Nel suo piccolo, questo giochetto mi è sembrato simile a quello ben più tragico dei fabbricanti di armi che vendono gli stessi fucili e le stesse munizioni alle due parti in lotta.

Più di questo, penso che che quelle chiavette tutte uguali siano esattamente il contrario del tifo. Il tifo vero è originale, creativo, unico, come sa esserlo solo ciò che è autenticamerte popolare. Le chiavette sono per chi è già omologato

Giovanni Romano

mercoledì 5 agosto 2009

Il Venezuela, paradiso dei forcaioli di sinistra

Riporto integralmente la nozia pubblicata dal quotidiano "Avvenire" a pag. 16 del 1 agosto, e naturalmente da parecchi altri giornali, sull'ennesimo attentato alla libertà di espressione in Venezuela:

Venezuela, giro di vite sui giornalisti «La libertà di espressione non è sacra»


LIMA.
«La libertà di espressione non è la libertà più sacra che c’è». Parola del ministro venezuelano dei Lavori pubblici, Diosdado Cabello, responsabile del Consiglio nazionale delle telecomunicazioni (Conatel). È di nuovo bufera in Venezuela, dopo la presentazione in Parlamento di una Legge speciale sui reati dei mezzi di comunicazione. Se venisse approvata la norma, giornalisti e commentatori (ma anche intellettuali o esperti intervistati) rischieranno il carcere per manipolazione o falsificazione di notizie, diffusione di informazioni che provocano «grave alterazione alla tranquillità» o alla «morale pubblica». Il polemico testo è stato proposto dal Procuratore generale, Luisa Ortega Díaz, come uno strumento per frenare «l’esercizio abusivo della libertà di informazione e opinione». Il governo di Hugo Chavez approva, convinto della necessità di mettere fine al presunto «avvelenamento» della società fomentato da alcuni mezzi. Le pene andranno da sei mesi a quattro anni e potranno colpire giornalisti e proprietari di tv, radio e quotidiani che diffondono notizie che causano panico, provocano danni allo Stato venezuelano, infondono timore o promuovono l’odio. Per l’opposizione l’obiettivo è chiaro: Chavez vorrebbe imbavagliare la stampa più critica.
Anche l’Ordine nazionale dei giornalisti rigetta il progetto e teme la censura: denunce, parodie o polemiche potranno essere penalizzate? Per Teodoro Petkoff, direttore del quotidiano “TalCual” (molto critico con Chávez), si tratta della «proposta legislativa più brutale della storia contemporanea del Paese». (
Mi.Co.)


Il comportamento del governo Chavez non meraviglia ormai più. Meraviglia piuttosto il completo silenzio della sinistra, che strilla istericamente alla "censura" in Italia, ma non trova nulla da dire contro questa grave e aperta violazione della libertà. Ma non avevano detto proprio loro che un attacco alla libertà in un paese è un attacco contro tutti gli altri?


Quello che mi rivolta veramente è il razzismo etico dietro questa vicenda. Quando la censura viene da sinistra, tutto è permesso e si permette tutto. Dove sono i pacifisti, dove sono i no-global, dove sono le anime belle che espongono la bandiera della pace? Zitti, muti. Ma se condonano le violazioni della libertà in Venezuela, da un lato non hanno nessun titolo per criticare Berlusconi che non ha fatto chiudere nessun giornale e nessuna TV, dall'altro dimostrano la loro connivenza morale con un regime sempre più dispotico e pericoloso, e se non lo condannano apertamente danno a vedere che se andassero al potere anche loro farebbero lo stesso.


E gli intellettuali di destra, cosa dicono? E' vero che contro di loro vale la più bieca censura mediatica, ma non mi sembra che nemmeno da quella parte si siano fatti particolarmente sentire. Segno che in Italia la libertà non interessa a nessuno, né a destra né a sinistra. Questo silenzio dà la piena misura di quanto sia provinciale la nostra vita culturale e politica, e ci rivela che la vera censura è in mano alla sinistra dal punto di vista ideologico, e si mantiene grazie anche all'indifferenza dei loro inconsistenti avversari.


Giovanni Romano

sabato 1 agosto 2009

The dark side of Grande Puffo


Scritto il 4 settembre 2008

Ho comprato oggi un albo della serie dei Puffi: "La minaccia puffa". Si, faccio collezione di Puffi., e mi piacevano moltissimo da quando ero bambino, ancora oggi che ho cinquant'anni non so resistere al loro brio, alla loro semplicità, alla loro simpatia.

Tra quelle che ho letto, questa è la storia che si avvicina di più a "Il Puffissimo", ma è molto più cupa, sfiora addirittura la tragedia. Sembra di essere lontani anni luce dalla freschezza scherzosa delle prime storie, dalle inesauribili trovate comiche che a volte mi hanno fatto sentire male dalle risate. E' chiaro che nel villaggio perfetto dei Puffi qualcosa deve sempre succedere, altrimenti l'atmosfera sarebbe ripetitiva e stucchevole. E tante volte le cose succedono per un intervento esterno, ad es. gli attacchi di Gargamella o degli uomini, oppure per le bizzarrie del carattere di qualche puffo.

Ma stavolta il punto di partenza è già più "cattivo": la noia, il tedio, il non sopportarsi a vicenda dei Puffi. L'atmosfera del villaggio si avvelena, e il Grande Puffo pensa di dare una lezione ai suoi Puffi con un incantesimo di cui egli stesso non calcola le conseguenze: crea un universo parallelo, un anti-villaggio di puffi grigi dove, al posto della gentilezza e dell'amicizia, dominano la forza bruta, le armi, la crudeltà. Ciascun puffo grigio è il "doppio" malvagio del suo corrispettivo, e da questo punto di vista il racconto è un capolavoro perché mostra precisamente quello che possono diventare dei semplici difetti se oltrepassano il limite dello scherzo.

Il "doppio" del puffo con gli occhiali, ad esempio, non è solo pedante, ma è un delatore, una spia, un intrigante che vuole prendere il posto del suo capo. Il Puffo Burlone si trova davanti la versione peggiorata di se stesso, un teppista volgare e pericoloso; l'anti-puffo goloso ha una voracità che mette paura, ai limiti del cannibalismo. Il puffo inventore trova il suo contraltare in un ciarlatano malvagio che raffazzona i lavori ed è bravo solo a inventare macchine da guerra. Persino la Puffetta e il grande Puffo hanno il loro "doppio" malvagio. Ma se il paragone con la Puffetta è forse uno dei pochi momenti spiritosi (ma non troppo), in quanto è una guerra di smorfiose, molto più sinistro è quel che sarebbe potuto diventare il Grande Puffo se avesse ceduto alla sete di potere. Tanto per cominciare, il suo doppio si fa chiamare "capo". E' cinico, violento, prepotente, persino fanatico. Mai avremmo immaginato che il Grande Puffo avesse in sé potenzialità tanto malvage!

Due soli puffi mancano del loro doppio. Il puffo forzuto, forse perché i puffi grigi sono tutti più forti fisicamente di quelli blu, e un forzuto malvagio sarebbe stato veramente troppo, e il puffo brontolone (che in questa storia, caso unico in tutte le storie dei Puffi, non compare affatto), perché il suo contraltare si sarebbe dovuto spingere ai limiti dell'omicidio o del suicidio. E questo dice molto sulla drammaticità del racconto. Persino tra loro i puffi blu diventano più violenti: il Puffo con gli occhiali non si becca la solita martellata ma una picconata che lo riduce quasi in fin di vita.

Dopo inutili tentativi d'integrazione tra i due villaggi, la "lezione" che il Grande Puffo vuole impartire ai suoi Puffi gli sfugge presto di mano: i puffi grigi finiscono per distruggere il villaggio (si confronti questa scena, veramente terribile, con la scena di battaglia del "Puffissimo", dove domina lo scherzo) e fanno schiavi i pacifici puffi blu. Il Grande Puffo, che abbastanza stupidamente non ha preparato l'antidoto alla sua magia, cerca invano di salvare il libro dalle macerie del laboratorio ma viene catturato e portato davanti al suo "doppio". Qui viene fuori tutta la distanza speculare tra i due: mentre il Grande Puffo crede nella conoscenza, il Capo la disprezza perché crede solo nella forza, e fa bruciare il libro (da questo momento in poi il suo carattere rassomiglia sempre più a quello di Hitler).

I puffi blu sono rinchiusi in un vero e proprio lager e obbligati ai lavori forzati finché non vengano "rieducati" alla violenza,. Tutto sembra perduto, ma un puffo ha un'idea geniale. Se è vero che il villaggio dei puffi grigi è un'immagine rovesciata del villaggio puffo, allora ci dovrebbe essere anche un contro-laboratorio! C'è, infatti, anche se è una costruzione ormai fatiscente e abbandonata (segno della decadenza spirituale di un mondo che si fonda solo sulla forza bruta). Il libro viene ritrovato, il Grande Puffo riesce a creare l'antidoto, e dopo alcuni colpi di scena da cardiopalma, inclusa anche la fustigazione di un povero puffo, l'antidoto si sprigiona e i puffi malvagi svaniscono come un brutto sogno al mattino. Ma l'impressione inquietante resta, e non basta la mezza paginata scarsa di vignette finali a dissiparla. I Puffi hanno varcato una soglia che possono dimenticare solo perché il loro è un mondo senza tempo, il mondo dell'eterna fanciullezza. Ma nel lettore resta un senso di disagio e di tristezza che non si cancella facilmente.

Quali sono gli "insegnamenti" che si possono trarre da questa storia? Sono troppi per essere catalogati, qui ne riassumo quelli principali, oltre ovviamente al tema inquietante della scienza che sfugge di mano a chi crede di poterla dominare:

  1. Ogni gruppo, per ritrovare compattezza e concordia al proprio interno, ha purtroppo bisogno di un nemico esterno. Infatti i Puffi blu dimenticano le loro antipatie per coalizzarsi contro la minaccia ben più grave dei puffi grigi;
  2. Anche il carattere in apparenza più saggio, innocente e scherzoso ha un lato sinistro che aspetta solo di essere evocato per scatenarsi;
  3. Contro il Male è inutile il "dialogo". Il Grande Puffo cerca in ogni modo di far collaborare i suoi puffi coi nuovi venuti (oggi si direbbe che "persegue una politica di integrazione), ma i nuovi venuti ne approfittano in ogni modo, rubano i raccolti, rovinano la diga, maltrattano gli autoctoni e cercano deliberatamente la provocazione in modo da poterli dominare. Le buone intenzioni basate sulla "pace" e sul "dialogo" finiscono per provocare rovina e schiavitù.
  4. Stavolta il male viene dall'interno del villaggio, la magia del Grande Puffo ha scatenato il lato più malvagio e pericoloso dei suoi abitanti. Gargamella, al confronto, non è altro che un patetico stregone imbranato, un nemico esterno al quale ci si può quasi affezionare perché destinato perennemente a fare fiasco. Ma uno scontro tra universi paralleli è ben più profondo, e perché sopravviva il villaggio buono, quello malvagio deve scomparire.
Giovanni Romano

Eluana e gli orsi polari

Scritto il 3 settembre 2008

Trovo allucinante che sulla odierna homepage di Microsoft, tra le notizie, ci sia la caparbia ostinazione del padre (?) di Eluana di sopprimere sua figlia, e immediatamente sotto l'ansia quasi isterica per la sorte di un branco di orsi polari alla deriva su un iceberg.

Ci dovremmo preoccupare molto di più della deriva delle nostre coscienze.

Giovanni Romano