lunedì 11 novembre 2019

La doppia tragedia di Giovannino


Sembra essere sceso il silenzio sulla vicenda di Giovannino – non sappiamo se è il suo vero nome o sia stato cambiato per ragioni di privacy -, il neonato abbandonato in ospedale perché affetto da una malattia tanto rara quanto dolorosa, l’ittiosi arlecchino.

La notizia, non appena divulgata, aveva suscitato una grande ondata di commozione e solidarietà, in tantissimi si sono offerti di adottare il neonato. Altri invece, come il ginecologo Silvio Viale, ex presidente del Comitato Nazionale Radicali Italiani, non solo hanno lodato l’atto dei genitori di Giovannino, ma si sono pubblicamente augurati che il bambino muoia subito, così da risparmiargli una vita di sofferenze.

Se cerchiamo di guardare alla vicenda al di là delle reazioni immediate che suscita, la sensazione di dolore non si attenua ma diventa ancora più lacerante. Questa creatura si è trovata al centro del dibattito sulla vita e la morte che imperversa ormai da anni e che vede sempre di più sconfitte le voci a sostegno della vita. L’intervento a gamba tesa del dott. Viale gli ha procurato un procedimento disciplinare, ma non c’è assolutamente da dubitare che, dati i precedenti, ne uscirà trionfalmente assolto e per giunta con l’aureola del martire (penso al Dott. Riccio che uccise Welby, o ai medici che lasciarono morire di fame e sete Eluana Englaro, anch’essi assolti con sentenze già scritte). Diamo dunque per scontato che ancora una volta il favor mortis ne uscirà rafforzato e ben propagandato, e occupiamoci delle altre due tragedie di questo bambino.

In primis, Giovannino è nato da fecondazione artificiale, ossia è stato vissuto dai genitori come una pretesa più che come un dono. Non esiste il legame viscerale, carnale che lega l’uomo e la donna nel concepimento, ed entrambi al bambino. Questa assenza di legame rende il neonato fondamentalmente più estraneo, più spendibile agli occhi di chi invece dovrebbe accoglierlo. La fondamentale estraneità implicita nella fecondazione artificiale non poteva essere rivelata in modo più impietoso.

C’è tuttavia un’altra tragedia, più profonda, che va al di là della polemiche contingenti: il mysterium iniquitatis della sofferenza di questo bambino. Ci può essere un milione di coppie disposte ad adottarlo, ed è bene che sia così e che non prevalga la cultura dell’abbandono e dell’uccisione camuffate da “pietà” (anche se c’è da chiedersi quante famiglie sono realmente in grado di farsi carico di un'assistenza così totale, continuata e difficile), ma resta una domanda ineliminabile: perché questo, perché a lui? Si possono tirare in ballo i rischi della fecondazione artificiale, ma l’ittiosi arlecchino è una malattia estremamente rara che colpisce quasi una volta su un milione, e certamente non solo i figli nati dalla provetta. Perché proprio Giovannino? Non mi venissero a dire che questo bambino è nato perché gli uomini potessero dimostrare la propria bontà o rivelare la loro durezza di cuore. Questa sofferenza senza colpa è puntata solo contro di lui, un carico spaventoso che terrorizzerebbe noi adulti. La prova è troppo dura, siamo davvero davanti allo scandalo della Croce, e quasi quasi verrebbe da dar ragione a Veronesi quando invitava i credenti a venire al San Raffaele, per vedere da vicino le sofferenze dei bambini malati di cancro, e sfidarli a credere ancora in un Dio buono e provvidente.

Questa è la doppia tragedia di Giovannino: essere venuto al mondo come un prodotto che si può rifiutare, ed essere caricato di un dolore che nessuna teodicea può giustificare. Se Giovannino è un segno di contraddizione, può esserlo solo nel senso di rifiutare la soluzione più immediata della soppressione “pietosa” (che finirebbe per diventare un precipizio destinato a inghiottirci tutti), e accompagnarlo dolorosamente nel suo calvario, cercando di alleviarne le sofferenze il più possibile, trattandolo – noi sì – come un bambino e non come un prodotto.

Giovanni Romano