venerdì 16 ottobre 2009

Olanda: una società in sedazione terminale

Sul sito InsideCatholic ho tradotto questo articolo estremamente interessante sull'Olanda e sulle falsificazioni cui il paese fa ricorso per darsi l'immagine di una società "tollerante" e "aperta" mentre sta silenziosamente morendo di solitudine e di disperazione.

L'articolo prende in considerazione due soli argomenti (aborto ed eutanasia) ma in realtà ci sarebbe molto altro da dire: la viltà e l'autocensura di fronte all'aggressività islamica, la solitudine che porta a un altissimo tasso di suicidi e a manifestazioni di rabbia insensata, la diffusione incontrollata delle droghe. Ma l'articolo è gia illuminante di suo. Buona lettura.


di Joseph Meaney

Nella mia visita più recente ad Amsterdam per il Congresso Mondiale delle Famiglie (WCF) sono stato colpito ancora una volta dalla rimarchevole facciata di prosperità pacifica e tollerante che gli olandesi tengono in piedi. Sebbene sia sempre più in evidenza la sua famosa tolleranza verso il sesso sfrenato e la licenza, il fascino di Amsterdam resta intatto nelle sue linde case, nei negozi, nei musei, e nelle sue chiese bellissime (sebbene vuote).

La cruda verità, tuttavia, è che questo faro mondiale di liberalismo sta marcendo dall’interno e deve fare sempre più affidamento sulla menzogna per mantenere le apparenze di una nazione fondata sulla tolleranza, la pace e la prosperità.

Da nessuna parte questo è stato più evidente che al WCF, un evento a cadenza biannuale che mette insieme persone che hanno a cuore la vita e la famiglia provenienti da tutto il mondo. La stampa nazionale ha dibattuto se fosse accettabile o no aver permesso che si tenesse ad Amsterdam e ha condannato la partecipazione di deputati al congresso. Manifestanti anarchici anti-famiglia hanno vandalizzato l’ufficio del WCF e hanno imbrattato con vernice spray i muri che conducevano al centro conferenze di messaggi con slogans come “Fondamentalisti cristiani tornate a casa e crepateci” e “Libertà di scelta”. Gli operai del comune hanno rimosso i graffiti entro poche ore dalla loro apparizione in una notevole dimostrazione di efficienza.

Le autorità olandesi sono diventate molto abili a dissimulare gli atteggiamenti contro la famiglia e contro la vita che stanno erodendo non solo le ultime vestigia della loro ricca cultura ma quel che rimane dello stesso popolo olandese. La popolazione totale è di 16,7 milioni; gli ultrasessantacinquenni costituiscono quasi il 15% degli abitanti (in contrapposizione agli Stati Uniti, i cui cittadini ultrasessantacinquenni costituiscono il 12,8% della popolazione). La percentuale dei giovani al di sotto dei 15 anni sta calando, e all’interno di questa fascia demografica vi è un numero sempre maggiore di immigrati stranieri. E’ un fatto di pubblico dominio che il nome più comune scelto per un bambino di sesso maschile che nasce oggi ad Amsterdam è Mohammed (come nel caso di Londra, Bruxelles, Oslo e Copenhagen). A parte gli argomenti sulla religione, le differenze etniche e l’assimilazione, non ci vuole un demografo di professione per capire che questa tendenza non promette bene per gli olandesi di origine europea.

Questa nazione orgogliosamente progressista cerca sempre più di mantenere la sua aria di normalità e di prosperità per mezzo di elaborate falsificazioni. Gli olandesi sostengono spesso che il loro paese ha uno dei tassi di abortività più bassi al mondo, con 6,5 aborti su 1.000 donne, o circa 22.400 all’anno. E sostengono di avere un bassissimo tasso di gravidanze adolescenziali.

Ma questo non è altro che un trucco statistico. Sebbene gli olandesi usino scrupolosamente i contraccettivi, chiunque studi la pianificazione familiare conosce che le percentuali di fallimento dei contraccettivi sono molto alte. Aggiungete il fallimento inevitabile della prevenzione delle gravidanze a una popolazione apertamente promiscua, e vedrete inevitabilmente un gran numero di gravidanze.

L’Olanda sarebbe dunque un’eccezione a questa regola? Alcuni sostengono che il loro metodo “doppiamente olandese” di usare sia la contraccezione ormonale che i preservativi funziona meglio delle pratiche per il controllo delle nascite della maggior parte degli altri paesi. Una cosa di cui si discute raramente in questo contesto, tuttavia, è il fatto che ora è pratica comune per una donna olandese in ritardo con il ciclo andare dal suo medico generico e farsi praticare un’”estrazione mestruale”, o “regolazione mestruale” - un eufemismo intelligente per definire una procedura che consiste essenzialmente nel farsi vuotare manualmente il contenuto del suo grembo.

Ma qui sta il trucco. In questi casi, non si fa alcun test di gravidanza per determinare se la procedura ha fatto abortire un essere umano nei suoi primi giorni di vita. Così le estrazioni mestruali non vengono mai registrate come aborti, il che sono certamente in un gran numero di casi. Le statistiche ufficiali olandesi dunque sottostimano di gran lunga il vero numero degli aborti.

L’’eutanasia è un’altra area dove le cifre ufficiali danno un quadro fuorviante. Il dott. Henk Jochemsen, titolare della Cattedra Lindeboom di etica medica alla Free University di Amsterdam, ha riferito che l’Olanda riconosce ufficialmente circa 2.300 morti di eutanasia all’anno, comprese centinaia di pazienti che non hanno mai esplicitamente richiesto questo tipo di morte. Come se questo non fosse già abbastanza inquietante, ha rivelato anche che più di 11.000 persone all’anno muoiono sotto “sedazione profonda”. Questa procedura viene spacciata come un’opzione compassionevole per i malati terminali, un modo di mettere fine alla loro vita con dignità. Progettata in origine per essere impiegata raramente [ma quale pratica disumana non è stata presentata “solo per i casi estremi”?, N.d.T.), e solo allorquando i pazienti nelle loro ultime ore di vita stavano soffrendo di dolori che era difficile controllare.

Ma la sedazione profonda attualmente praticata in Olanda è diventata una forma diffusa di eutanasia passiva. Il dott. Jochemsen ha spiegato che oggi la causa di morte non è di solito la malattia ma la mancanza di cibo e idratazione -in breve, i pazienti vengono correntemente fatti morire di fame e di sete dopo essere stati drogati fino a perdere conoscenza, un fatto non rivelato dai dottori.

Non c’è bisogno di dire che queste morti sotto sedazione profonda non vengono contate come eutanasia in Olanda, anche se ammontano a più di quattro volte le cifre “ufficiali” delle morti per eutanasia (per ulteriori informazioni, visita www.lindeboominstituut.nl ).

La terra del progressismo impazzito ama proclamarsi un paradiso per gli edonisti “diversi” e un’isola di tolleranza. Statistiche disoneste possono tenere in piedi questa astuta illusione per un certo tempo, ma è improbabile che duri per molto tempo ancora la versione attuale del liberalismo olandese. Non è assolutamente possibile che si regga in piedi. L’entusiasmo per l’eutanasia può togliere di mezzo gli olandesi anche più velocemente di altre nazioni europee con tassi di natalità inferiori al tasso di ricambio demografico.

Molti gruppi etnici sono scomparsi nel corso della storia, generalmente tramite assimilazione all’interno di altri popoli che davano più valore alla nascita dei figli. Sarebbe una tragedia se il popolo e la cultura unici dell’Olanda, per amore della licenza e del calcolo, decidessero di cessare di esistere. Eppure questo lento suicidio è già molto avanzato. Mentre la cultura olandese europea si sposta dal presente verso il passato, sembra che gli olandesi abbiano scelto la sedazione profonda di tutta una nazione.

© Insidecatholic - Traduzione di Giovanni Romano

sabato 10 ottobre 2009

Beati i parlatori di pace... o no? - La sindrome di Felsemburgh


Se qualcuno fosse rimasto sorpreso del confermimento del Premio Nobel per la pace a Barack Obama, può stare tranquillo. Se è vero che il più delle volte il Comitato ha saputo premiare dei veri giganti nel loro campo (Camus, Einstein, Fermi, i coniugi Curie, Solzenicyn, Golgi, Tagore, Pasternak, per citare solo alcuni) altre volte ha premiato dei perfetti sconosciuti che tali sono rimasti anche dopo il premio (quanti sanno, ad esempio, che tanto Giosuè Carducci quanto Grazia Deledda furono premi Nobel per la letteratura? In Italia pochissimi e all'estero nessuno), oppure delle mediocrità presuntuose come Dario Fo, o persino degli scrittori che hanno inneggiato alla dittatura e al totalitarismo come Knut Hamsun o Mikhail Sholochov.

Non deve dunque sorprendere la nomina di Obama in sé. Sorprende invece il dichiarato carattere "d'incoraggiamento" del premio conferito a un presidente che, per obiettive difficoltà e mancanza di tempo, non ha ancora messo termine a nessuna guerra, non ha riconciliato ebrei e palestinesi, non ha fermato il riarmo nucleare iraniano e si è mostrato molto accondiscendente verso regimi totalitari come la Cina e Cuba.

Lo stesso Obama, a onor del vero, ha dichiarato onestamente di essere rimasto sorpreso da un premio che quasi certamente non si aspettava, o non si aspettava tanto presto. La Commissione, a sua volta, ha dichiarato di avergli conferito il Nobel per la nuova impostazione che ha portato nei rapporti internazionali. Finita l'epoca delle decisioni unilaterali e degli atti di forza à la Bush, è l'ora del dialogo e della concertazione.

Sulla carta il ragionamento non fa una grinza. Finché si ragiona non ci si bastona, dice il proverbio, e secondo la massima di Cicerone: "Niente è perduto con la pace, tutto può esserlo con la guerra". Il guaio è che, piaccia o non piaccia, il mondo non è un giardino di rose, e se si vuole dialogare anche con dittatori, fanatici e terroristi bisogna farlo da una posizione di forza, e soprattutto non bisogna mai rinunciare a usarla se necessario.

Obama invece, e ancor più coloro che gli hanno voluto conferire il Nobel, sono forse convinti che la conflittualità mondiale sia stata causata da un atteggiamento troppo aggressivo e arrogante da parte degli USA e dell'Europa. Che sinistra miopia! Come faceva notare Roberto De Mattei nel suo libro Guerra Santa guerra giusta (Piemme 2002), spesso non siamo noi che scegliamo il nemico, ma è il nemico che sceglie noi, anche se non l'abbiamo provocato in alcun modo. L'11 settembre 2001 gli USA non occupavano un solo metro quadrato di terra musulmana, né avevano intenzione di farlo. Eppure furono aggrediti in maniera atroce e senza motivo.

Questo errore di prospettiva -illudersi che il male passi se ci limitiamo a non reagire- sarebbe già grave di suo, ma nel Nobel a Obama è entrato probabilmente in gioco anche un secondo fattore, più rozzo per alcuni aspetti e più sottille per altri. Un fattore che chiamerei "La sindrome di Felsemburgh", dal nome del protagonista del romanzo Il padrone del mondo di Robert Hugh Benson. Come romanzo è un disastro, scritto in modo approssimativo e quasi infantile, ma è straordinariamente penetrante nell'aver intuito le mostruosità che abbiamo ora sotto gli occhi: l'apostasia di massa e lo svuotamento della fede, il controllo totale dello stato sulle menti dei cittadini, le manipolazioni genetiche, la persecuzione dei cristiani e dei cattolici in particolare, perfino l'eutanasia quasi obbligatoria per legge. E pensare che il romanzo fu scritto nel 1907, ben prima di Noi di Zamjatin, di Brave New World di Huxley e di Nineteen Eighty-Four di Orwell!

Giuliano Felsemburgh è il giovane ed energico presidente dell'Umanità Unita a cui vengono conferiti poteri illimitati per creare finalmente un mondo giusto, pacifico, onesto, senza guerre e senza sofferenza. E soprattutto senza Dio. Con lo Stato Mondiale, col potere affidato al superuomo Felsemburgh, l'Umanità Unita spera finalmente di diventare padrona del proprio destino. Più nessun tabù, più nessun limite morale o materiale. Ma la liberazione è illusoria, Felsemburgh si rivela sempre più un dittatore crudele e senza scrupoli, anche perché assolutamente convinto di essere "l'eletto della Storia". L'unico ostacolo che ancora gli sbarra il passo verso il potere definitivo e senza limiti sono la Chiesa e i cattolici, perché gli ricordano che l'uomo è limitato, debole, pieno di errori e non può diventare Dio. Da qui una persecuzione senza tregua contro un numero sempre più piccolo di fedeli, fino a una conclusione assolutamente a sorpresa che qui non è il caso di rivelare.

E' ovvio che Obama non è certo un Felsemburgh, ma su di lui l'umanità ha appuntato delle speranze non dissimili. Il lato più rozzo della "sindrome di Felsemburgh" è appunto considerarlo un Messia che dovrebbe mettere magicamente le cose a posto. Ma questa è un'ingiustizia anche nei suoi confronti, perché Obama si è certo presentato come un presidente dalle idee chiare, ma non ha mai preteso di avere la bacchetta magica per risolvere tutti i problemi. Dal versante più sottile -e più inquietante- Obama viene visto come il presidente dell'umanità autosufficiente, la giovane promessa che finalmente dimostrerà che l'umanità può farcela da sola, senza chiedere nulla a nessuna entità superiore e senza sentirsi limitata da nulla. Lo dimostra il fatto che Obama ha rimosso le barriere alla sperimentazione genetica sugli embrioni umani e voglia togliere qualsiasi limitazione all'aborto, anche a sviluppo quasi completo del bambino. La più grande guerra che sia mai stata dichiarata alla vita umana.

Questo, a mio parere, è il significato del Nobel per la Pace che gli è stato conferito. Una "pace" che si fa mettendo a tacere molte domande, rinunciando a dire e a sostenere la verità (come nel caso di Cuba e della Cina). Un premio Nobel che un po' s'inserisce nel filone degli ultimi che l'hanno preceduto, come quello a Wangari Maathai, che si è occupata solo di piante, o agli allarmismi isterici sul clima di Al Gore. Ma la pace si fa tra gli uomini, e solo in secondo luogo con le piante o col clima. Da questo punto di vista, non vorrei che il Nobel a Obama fosse un premio dove l'uomo è diminuito per l'ennesima volta.

Giovanni Romano

P.S. N.1: Ma non era stato Nostro Signore a dire "Beati gli
operatori di pace", non semplicemente beati i parlatori di pace?

P.S. N.2: Avreste conferito il premio Nobel per la Pace a Neville Chamberlain, che per "dialogare" con Hitler distrusse la Cecoslovacchia e contribuì a scatenare la Seconda Guerra Mondiale?

giovedì 8 ottobre 2009

Moral Minority

In questi giorni il sistema politico italiano è in fibrillazione come forse nemmeno durante gli anni di piombo. Se allora la classe politica si era compattata contro il comune nemico terrorista, ormai da anni il paese vive un contrasto sempre più drammatico tra due schieramenti che ormai si disconoscono apertamente a vicenda.

Cosa del tutto incomprensibile in un paese “normale”, più larga è stata la maggioranza con cui è stato eletto l’attuale governo e sempre più travagliato e difficile è il suo cammino. Già prima della sentenza sul lodo Alfano, lasciava sconcertati la ridda di voci sulle elezioni anticipate, sulle dimissioni, sul dopo-Berlusconi. Tutto questo con una maggioranza solida, con un programma di governo chiaro e in piena attuazione, con un consenso popolare che nessun altro governo aveva raggiunto negli ultimi anni.

In questa situazione surriscaldata, la sentenza della Consulta ha fatto l’effetto di un fiammifero in una polveriera. Incontrollatamente impulsivo come sempre, Berlusconi ha inveito contro tutto e tutti, pronunciando parole incaute anche contro il Presidente della Repubblica e aprendo una crisi istituzionale molto pericolosa. Si è comportato esattamente come i suoi avversari volevano, scagliandosi a testa bassa come un toro contro il drappo rosso. E il drappo rosso -è il caso di dirlo!- è la Presidenza della Repubblica, considerata a torto o a ragione ancora una istituzione super partes.

Quello che m’interessa qui, però, non è giudicare della sua colpevolezza, né della fondatezza della sentenza della Corte Costituzione (ineccepibile in linea di principio). I penalisti hanno fatto notare che, sul piano strettamente processuale, le conseguenze per Berlusconi potrebbero essere scarse o addirittura nulle, perché sui processi incombe la prescrizione. Ma è chiaro che l’immagine di un premier perennemente sotto processo diventa politicamente insostenibile tanto sul piano interno quanto su quello internazionale. E se è vero che nessuno, nemmeno i “poteri forti”, in questo momento vuole la sua caduta, quel che realmente interessa tutti i suoi avversari è un governo politicamente azzoppato e dunque condizionabile.

Le implicazioni della vicenda sono in realtà ben più ampie, perché attraverso Berlusconi si vuole processare tutto il suo elettorato, tutta la maggioranza del paese che lo ha eletto. E’ qui che è entrata in gioco una vera e propria “moral minority” rappresentata da giornali laici, dalla TV di stato, dal mondo dello spettacolo, dalla stragrande maggioranza degli intellettuali allineati sul “politically correct”. Una lobby abituata alle passerelle senza contraddittorio sui giornali e in TV, all’arroganza e al disprezzo contro quelli che considera gli “incolti”, i “furbi”, i “delinquenti”, i “ladri”, i teleutenti “lobotomizzati” da Mediaset che si sarebbero fatti incantare dalla propaganda berlusconiana, oppure voterebbero il centro-destra perché rispecchia e alimenta le psicosi sulla sicurezza, la xenofobia, l’avversione agli immigrati e ai “diversi” .

Come è stato giustamente osservato, se il centro-sinistra mantiene questo atteggiamento di razzismo etico non fa altro che regalare voti a Berlusconi. E’ pura utopia sperare che degli elettori trattati sistematicamente da ladri e imbecilli, dopo una campagna di stampa tanto spietatamente denigratoria quanto scopertamente orchestrata, si volgeranno d’incanto alla sinistra quasi fosseo folgorati sulla via di Damasco.

Il punto è che alla sinistra non interessa essere legittimata dal voto popolare. Quello che vuole realmente è demoralizzare l’elettore medio del Pdl, fargli sentire il peso della disapprovazione dei benpensanti nostrani ed esteri, ricattarlo coi sensi di colpa, fargli pesare tutta la sua “inferiorità morale”, e se proprio non riesce a fargli cambiare parere, indurlo almeno a disertare le urne. Solo togliendo di mezzo il paese reale si può portare a termine dall’alto la “modernizzazione”, dal momento che il popolo -quello vero, non quello delle piazze antiberlusconiane- si tiene ancora incomprensibilmente attaccato a valori come la vita e la famiglia, manifesta qualche legittima perplessità sull’invasione indiscriminata dei clandestini, e non si lascia certo incantare dalle statistiche rassicuranti anche di matrice cattolica sulla diminuzione della criminalità.

No, alla sinistra non basta governare, deve educare! La maggioranza ottusa va guidata pure a suo dispetto, verso gli interessi “superiori”. Magari a suon di tasse e leggi contro l’”omofobia” e il “razzismo”. In questa sua ansia “pedagogica”, la sinistra rassomiglia veramente a una maestra di scuola sessantottina logorata da lunghi anni di frustrazioni, perennemente scontenta e querimoniosa contro i propri scolari tenuti sempre in stato di minorità, tutti potenzialmente sospettabili. Non pensare, c’è la sinistra che pensa per te! Non conosco nessuna forma di governo più tetra. Ma se davvero si volesse governare il paese in questo modo, soffocandolo e falsificandolo, si andrebbe incontro a delle tensioni sociali difficilmente controllabili se non con un vero e proprio regime.


E’ paradossale che a incarnare il desiderio di libertà e di realizzazione da parte di tanta gente comune sia un multimiliardario. Il paternalismo che spesso ispira i ricchi? L’adorazione popolare verso chi ha raggiunto il successo? L’identificazione con Berlusconi come figura “antipolitica”, più istintivamente vicina alla gente dei bizantinismi e delle prediche del Palazzo? L’illusione dell’“erichez-vous” riservato in realtà a chi i soldi già li possiede? Non so. Quello che è certo è che Berlusconi, nel bene e nel male, è stato finora una smentita vivente all’egemonia ideologica della sinistra. Se si fosse accontentato di far soldi in santa pace probabilmente l’avrebbero lasciato stare. Ma non ha mai voluto allinearsi ai “salotti buoni”, non ha fatto riverenze a nessuno. Pur con le sue goffaggini, i suoi eccessi potenzialmente pericolosi e i suoi limiti, incarna un’Italia che semplicemente vuole esistere, senza chiedere il permesso ai soloni di casa nostra, né tantomeno al “Times” o all’”Economist”.

Giovanni Romano

giovedì 1 ottobre 2009

Una vignetta ributtante

Sono rimasto profondamente scosso e amareggiato dalla vignetta apparsa sul “Times” il 29 settembre, e pubblicata da "Avvenire" il giorno successivo a p.35. Nell’illustrazione si vede un gruppetto di gente che manifesta per varie cause (la fine della guerra in Afghanistan, lo stop alla violenza sulle donne…) e ultimo un vecchietto che cerca inutilmente di porgere un volantino ai dirigenti del Labour Party che passano facendo finta di non vederlo. Su quel volantino, a caratteri cubitali, c’è scritto “Dignitas”.

"Avvenire" l'ha interpretata come “Dignità: la protesta della gente in Gran Bretagna contro l’attuale dirigenza laburista”, ma credo l'abbia completamente fraintesa. La vignetta è uno spot a favore della "Dignitas", la famigerata associazione svizzera che cerca di ottenere la legalizzazione dell’eutanasia in tutto il mondo. Come se la propaganda a favore del suicidio assistito fosse allo stesso livello della lotta alla violenza sulle donne! Come se il mondo fosse pieno di poveri vecchietti che supplicano disperatamente di essere tolti di mezzo, mentre i “cattivi” politici non vogliono ascoltarli.

Provo una vergogna infinita per chi è stato capace di ideare una vignetta simile e per il giornale che l’ha pubblicata.