sabato 24 dicembre 2005

Buon Natale a tutti, nonostante tutto


Per gli auguri natalizi, avrei una lista di esclusioni lunga quanto un braccio, ma poi mi ricordo che Gesù Bambino è venuto per tutti, anche per gli inaciditi come me. E allora non ho il diritto di fare la predica a nessuno, anzi il dovere di pregare e sperare per tutti.

BUON NATALE

Giovanni Romano


sabato 17 dicembre 2005

Così parlò Beppe Grillo...

''Stanno nascendo decine e decine di movimenti no-Tav in tutta Italia, grazie a voi''.

Così Beppe Grillo ha chiuso la grande manifestazione no-TAV a Torino questa sera. E con queste parole ha dimostrato di essere davvero un comico. Ma dove le ha viste, le linee ad alta velocità in tutta Italia? E soprattutto, qui al Sud quando le vedremo?

Il perbenismo di Grillo mi ricorda quello di certe amministrazioni comunali che ostentano pomposamente il cartello "ZONA DENUCLEARIZZATA" senza pensare al ridicolo di cui si coprono, perché da loro nessuno ha mai pensato, né mai penserà, di portare un solo atomo di uranio.

Grillo invece avrebbe urgente bisogno di un atomo di autoironia, cosa di cui a tutt'oggi è assolutamente privo.

Giovanni Romano

Un capolavoro di disinformazione e di menzogna

Mentre rimettevo in ordine cronologico le notizie che quotidianamente mi arrivano via Google, mi sono imbattuto in una autentica perla che mi era sfuggita, datata 4 dicembre 2005, e che mi ha fatto rimanere esterrefatto per la superficialità e il deliberato cinismo con cui è stata stravolta una vicenda di cronaca che invece deve farci riflettere molto seriamente:


Non tollera l'islam Tenta il suicidio a scuola

Quotidiano Nazionale - Italy
VICENZA, 3 dicembre 2005 - E' un problema di immigrazione ''alla rovescia'' quello che ha spinto a un tentativo di suicidio, stamani a Vicenza, una bengalese ...

Pensavo di averne lette in vita mia di castronerie, ma quella che ho riportato qui sopra le batte tutte! La ragazzina, oppressa da un sacco di tabù, chiusa sempre in casa, costretta a sposare un uomo che non conosce nemmeno, cerca di uccidersi... perché è intollerante verso l'islam!

Stasera ho capito che siamo perduti, che non abbiamo speranza, dal momento sui giornali c'è chi è disposto a mentire e a disinformare in modo così osceno. Abbiamo perso il gusto della verità, e con esso quello della libertà. Che l'islam ci faccia schiavi è soltanto una questione di tempo.

Giovanni Romano

giovedì 8 dicembre 2005

Sulla morte di Carla Voltolina - 2

Se ben ricordo, quando morì suo marito il Presidente Pertini, Carla Voltolina impedì la visita del Papa Giovanni Paolo II, suo amico personale, alla salma del marito. Mi sbaglio? Spero proprio di sì.

Di cosa aveva paura, una donna tanto laica, razionale, emancipata? Paura di un'amicizia sincera al di là delle diverse posizioni religiose, politiche e umane? Evidentemente, per salvarsi l'anima le bastava il volontariato...

Giovanni Romano

mercoledì 7 dicembre 2005

Sulla morte di Carla Voltolina - 1

EMAIL INVIATA OGGI ALLA REDAZIONE DI RADIO 3 - PRIMA PAGINA


Spett.le Redazione,

stamane ho sentito il giornalista che conduceva la trasmissione definire Carla Voltolina “la compagna” di Pertini. Si dà il caso che fossero regolarmente sposati davanti alla legge.

Da quando in qua le parole “moglie” o “marito” sono diventate impronunciabili? Forse per far piacere a chi ci vuole imporre i PACS?

Perché questa censura “politically correct”? Chi è scientemente discriminato nei media, i conviventi o piuttosto gli sposati?

Distinti saluti,

Giovanni Romano

giovedì 1 dicembre 2005

Due perle dal "Corriere della Sera"

Compro molto raramente questo giornale, lo confesso. Specialmente da quando ha condotto una battaglia pesante, faziosa e unilaterale per l'abrogazione della legge 40. Tuttavia oggi c'era un inserto culturale che mi aveva colpito e che volevo leggere.

La mia attenzione, però, è stata attirata dalla rubrica dei lettori, con due lettere che sono delle vere "perle" di ottusità e pregiudizio laicista. Le riporto a scorno e vergogna di chi le ha scritte:

TORCIA OLIMPICA - LA BENEDIZIONE

La fiamma olimpica di Torino 2006 passerà dal Vaticano per ricevere la benedizione papale. Ora, è vero che in Italia ci sono molti cattolici, ma ai Giochi olimpici partecipano tutte le nazioni. I giochi sono per tradizione anche il simbolo della pace e fratellanza fra tutti gli uomini, a prescindere dal loro credo religioso. E comunque il fatto che solo la Chiesa cattolica benedica la torcia mi sembra una discriminazione.

Cosa dire, di fronte a una castroneria così monumentale? C'è da restare senza fiato! All'autore è sfuggito:

1) Che la torcia non sarà benedetta in Italia bensì in Vaticano, uno stato estero che nulla ha a che vedere con l'Italia, almeno sul piano del diritto internazionale;

2) Che il credo religioso, con particolare riferimento a quello cattolico, porta pace e fratellanza, e non è in conflitto con le olimpiadi (le quali, non dimentichiamolo, nacquero dall'utopia decoubertiniana di un mondo affratellato al di fuori non delle differenze religiose, ma della religione in quanto tale);

3) Che definire "discriminazione" una benedizione che abbraccia tutto il mondo e tutte le fedi è il colmo dell'imbecillità, a meno che l'autore della lettera non sia andato a chiedere personalmente a Papa Ratzinger se la benedizione valesse solo per gli atleti cattolici, oppure abbia paura che la benedizione papale "contamini" la torcia e faccia venire l'orticaria ai non cattolici, oppure sia un incantesimo che faccia vincere i cattolici lasciando a bocca asciutta gli atleti ortodossi, protestanti, musulmani, buddisti, ba'hai, scintoisti,
animisti e chi più ne ha più ne metta.

Un altro delizioso esempio d'ipocrisia laica lo troviamo in questa lettera, dedicata allo spinoso problema di presentare in società il proprio partner quando non si è sposati. La soluzione proposta è esilarante:


GALATEO - LE PRESENTAZIONI

Tra tanti temi seri vorrei dare un consiglio di galateo. Sono ormai moltissime le coppie di conviventi non sposati e spesso è imbarazzante presentare l'altro/a come partner, compagno, ragazzo, fidanzato, convivente, ecc. Consiglierei di usare il termine "consorte" che indica la persona che condivide il tuo destino ed è una verità certa in questo caso anche se pro tempore. Anche il diritto ecclesiastico non avrebbe niente in contrario e il termine ha una sua naturale accettabilità sociale.

Mi avevano detto che il galateo è ipocrisia codificata, ma fino a questo punto... Tanto per cominciare, il diritto interno della Chiesa cattolica non è il diritto ecclesiastico ma quello canonico (il diritto ecclesiastico è l'insieme delle norme che lo stato italiano adotta verso le confessioni religiose, quella cattolica in particolare). Non serve pontificare dottamente se non si conoscono nemmeno i termini più elementari.

In secondo luogo, è veramente sopraffina l'ipocrisia di definire "consorte" colui/colei che è disposto a mollare alla prima difficoltà o al primo capriccio. Quale sorte è possibile condividere, se non si condivide nel tempo? La soluzione proposta è un ossimoro come il termine "matrimonio per prova". L'ennesimo caso di langue de bois, un fumo ideologico sempre più denso e ipocrica che copre chi non vuole chiamare le cose con il loro nome.

Su una cosa però sono d'accordo senza riserve con l'autore. Il suo non è un tema serio, come non è serio il suo atteggiamento verso la vita.

Giovanni Romano

venerdì 25 novembre 2005

Grazia, affetto e semplicità


La disascalia di questa foto recita: "India: in occasione della festa del villaggio di Gauhati, una mamma sistema al collo del suo piccolo la tradizionale collana di fiori di calendula".

E' un momento inesprimibilmente bello. Non solo per lo sguardo del bambino. Non solo per il gesto tenero e protettivo per la madre. Ma anche per la semplice solennità del gesto, per la bellezza delle vesti. Sono poveri ma hanno un gusto per la bellezza degno di principi.

Mio malgrado, paragono questa foto con la sciatteria, i piercing arroganti, gli ombelichi mostrati senza pudore, i pantaloni scaduti e i capelli a spinaci dei nostri ragazzi.

Chi dei due è il sottosviluppato?

Giovanni Romano

Vittima delle bomboniere etiche



Senza commenti, riporto una lettera pubblicata su "Avvenire" di ieri. Della serie: di buone intenzioni è lastricata la strada che porta all'inferno...

Giovanni Romano

giovedì 24 novembre 2005

Violenti e bugiardi anche nel linguaggio

I sostenitori dell'eutanasia dicono di voler "morire con dignità".

Allora chi muore sopportando le proprie sofferenze è forse un cane? Papa Giovanni Paolo II è forse un cane?

Giovanni Romano

domenica 13 novembre 2005

Contaminazioni? A me non piacciono

"Contaminazione"' è una parola che va purtroppo molto di moda, e che solo ora, non so se per fortuna o per disgrazia, sembra scadere di popolarità, probabilmente perché l'influenza aviaria ci ha ruvidamente ricordato cosa significa davvero.

Che io ricordi, questa parola ha preso piede dal momento in cui sul Vecchio Continente hanno cominciato a sbarcare, bon gré mal gré, masse di clandestini, specialmente islamici. La parola ha dunque sostituito i vecchi termini "influenza" e "influenzare" (che anch'essi, non a caso, alludevano a malattie), o quello molto più esatto di "scambio culturale".

Ma cosa significa, esattamente, o meglio, quale significato si vuole attribuire a un termine usato intenzionalmente in modo così forte?

Direi che si tratta di un duplice ordine di significati: da un lato, com'è ovvio, "mescolanza". E questo già allude all'ideologia dell'appiattimento e del rifiuto delle differenze, in primo luogo quelle qualitative. Si pensa che la mescolanza sia un bene in sé. Certamente un sistema chiuso è destinato a corrompersi, perché l'inbreeding rovina una razza, ma una cosa è una giusta integrazione, un'altra è una mescolanza senza criterio.

Ma c'è un altro significato ancora, forse più insidioso. La contaminazione, come si sa, è l'aggressione di quel che è malato contro quel che è sano. Implica (e forse questa è la vera intenzione di chi usa questa parola, o di chi l'ha usata per la prima volta in questa accezione) la sopraffazione del più forte sul più debole, quasi un elemento che entri di prepotenza e finisca per imporre la propria legge. E' una parola malata, ben degna dell'epoca malata che stiamo vivendo.

Scrivendo questo, sono ben consapevole della banalità ovvia delle mie parole. Potrei sembrare un tradizionalista ottuso, uno cui sfugge il mutamento delle culture, o che vuole sfuggirvi. Ma la questione è un'altra: esiste una via di mezzo intelligente tra la caparbia -e inutile- difesa del passato, e il seguire acriticamente ogni moda?

Come tante parolacce usare per fare colpo, anche il termine "contaminazione" si attenuerà a forza di venire usato, fino a entrare nell'uso corrente. Ma era proprio necessario adoperarlo, in primo luogo? Dico questo perché, nel processo di mutamento e d'invecchiamento delle parole, a volte si perdono per strada espressioni che veicolano concetti più precisi, come ad esempio "sintesi". Un termine che non ha nulla di aggressivo o provocatorio, e che anzi indica una scelta intelligente, l'interesse per il vero che è possibile trovare ovunque. Ma forse siamo diventati troppo pigri per pensare davvero.

Giovanni Romano

venerdì 11 novembre 2005

Ma Veltroni non si monti troppo la testa...

Anche questo è un post recuperato da appunti manoscritti di molti mesi fa. Ma io non ho fretta, aggiorno quando posso.

In occasione della morte di papa Giovanni Paolo II il sindaco di Roma Veltroni non ha perso l'occasione di rivendicare a Roma una efficienza e una capacità di accoglienza dei pellegrini del tutto insospettata, in aperta polemica con il razzismo della lega nord.

Difficile dargli torto, di fronte agli attacchi maligni e gratuiti dei nordici (non solo leghisti) e del pregiudizio radicato che vede i romani come gente pigra, sbafona, mangiona, prepotente e parassita.

Per smentire il Nord, in verità, basterebbe una conoscenza della storia anche inferiore a quella di Veltroni. La Roma dei parassiti e dei burocrati fu una creazione anche dell'accentramento sabaudo forse più che del Vaticano. E anche quanto alle opere pubbliche La Roma papalina batteva a mani basse quella risorgimentale. La facciata di S. Giovanni Laterano fu costruita in due anni soltanto: per costruire una scuola media di second’ordine in provincia oggi lo Stato impiega mediamente un tempo quattro volte maggiore.

Fa bene comunque Veltroni ha rivendicare a Roma e ai romani il rispetto che è loro dovuto. Ma chiediamoci: a quale Roma, e a quali romani? E’ proprio sicuro che il successo sia dovuto soltanto alla macchina organizzativa, e non anche alla natura dei pellegrini affluiti a Roma, e allo scopo per cui erano venuti? Il popolo di Wojtyla era tutto fuorché una massa di indisciplinati e di esaltati. I pellegrini erano più che disposti a collaborare con le forze dell'ordine e con le autorità, non erano venuti per protestare come i pacifisti e i no-global. Non erano venuti per scatenarsi come a un concerto di musica rock. Non erano venuti per sfasciare tutto come gli anarchici e i black block. Non si sono calpestati a morte, come il pellegrini islamici alla Mecca.

I problemi sono stati causati dall'immenso numero dei pellegrini, non dal loro comportamento. Si può dubitare se Veltroni, Bertolaso o chiunque altro, in qualunque altro luogo, aveva avuto lo stesso successo se avesse avuto a che fare con un altro tipo di folla. È certo Veltroni di dover ringraziare soltanto se stesso, e non anche i suoi "ospiti"?

Tenere presente lo scopo per il quale il pellegrini sono venuti porta automaticamente a domandarsi se l'organizzazione avrebbe funzionato così superbamente se fosse stata mossa da scopi diversi.

È stata osservata, e non da oggi la perfetta organizzazione del Vaticano. Eppure il personale di servizio molto spesso è costituito da italiani, quando non da romani. Che cosa cambia? Che cosa li mette in grado di lavorare in modo diverso e così efficiente? La grandezza dello scopo a cui danno la vita. Basterebbe questo per farci riflettere quanto sia stupido pensare allo stato come a una macchina autosufficiente e autoreferenziale.

Giovanni Romano

giovedì 10 novembre 2005

La Repubblica e Avvenire: censure incrociate

12 ottobre 2005 (ripesco dai miei appunti cartacei): "La Repubblica" dà grande risalto a un preteso scontro tra il Card. [qui manca il nome] e il Card. Scola sulla comunione ai divorziati. Nemmeno una parola, invece, sull'appello drammatico dell'Arcivescovo di Sarajevo, Mons. Pulijc, sulle discriminazioni che i cristiani devono soffrire in Bosnia a opera dei musulmani spalleggiati dalla UE.

Su "Avvenire" si dà il giusto risalto al discorso del Card. Pulijc, ma nemmeno una parola sulla discussione opposta.

Censure incrociate? Probabilmente. Ma tra le due non c'è alcun dubbio su quale sia la più grave.

Giovanni Romano

A proposito di Lapo Elkan (12 ottobre 2005)

"L'Unità" di oggi dedica quasi un editoriale al rampollo degli Agnelli. A parte il fastidio dei continui bollettini medici, manco si trattasse del Papa, quello che urta è il tono apologetico dell'editoriale, quasi che una morte sfiorata per overdose fosse un semplice incidente di percorso, che non deve interrogarci sul vuoto e la sordidezza di una vita piena di soldi e vuota di tutto il resto.

Che "L'Unità" prenda le difese di un capitalista viziato, o semplicemente troppo debole per il ruolo da lui ricoperto, potrebbe urtare -e urta- come il massimo dell'ipocrisia, ma in realtà la cosa è profondamente coerente sotto due aspetti. Il primo è il carattere di "partito radicale di massa" che ormai sono diventati i DS. Il secondo non è altro che la dimostrazione del tacito "patto di ferro" che la FIAT e la grande industria in generale hanno stipulato da molto tempo con le forze di sinistra, che non tanto rappresentano le rivendicazioni del proletariato quanto le monopolizzano.

Questa volta Cipputi è stato più servile di Fantozzi.

Giovanni Romano

lunedì 7 novembre 2005

domenica 6 novembre 2005

I minareti, non le campane a martello

Giovedì 3 novembre scorso "Avvenire" aveva parlato di "campane a martello per tutta l'Europa" in riferimento alla rivolta delle periferie francesi islamizzate. Ho inviato questa lettera, che non credo sarà pubblicata:

Caro Direttore,


ho trovato infelice e inopportuna l'immagine delle "campane a martello" in riferimento alla rivolta delle periferie magrebine in Francia. Se c'è un suono che lì non si sente è proprio quello delle campane, come lamentava Brigitte Bardsot che per questo fu condannata per razzismo.Come si può dedurre dal Vostro stesso articolo, quella che si sente è la "vociaccia" del muezzin, per dirla come Oriana Fallaci.

Non di campane a martello si tratta, ma di campane a morto per la convivenza, per il nostro futuro e per la nostra libertà.

Cordiali saluti,

Giovanni Romano

venerdì 4 novembre 2005

L'Eurabia sta a guardare, l'Italia no

La fiaccolata pro-Israele di ieri sera ha avuto un successo bipartisan superiore a ogni previsione. Mi aspettavo, onestamente, un paio di migliaia di persone al massimo. Ne sono venute diecimila, secondo le stime più prudenti.

Direi che è un segnale, il superamento di una soglia psicologica, il rifiuto morale di subire prepotenze e intimidazioni dall'islam. Siamo stanchi di vivere con il coltello alla gola, abbiamo capito che oltre un certo limite non si può andare, e nonostante tutta la retorica sul "dialogo" e sulla "pace" stiamo cominciando a intuire quello che l'islam vuole veramente: annientare la nostra civiltà.

Mi chiedo se questa iniziativa sia per ora l'unica in tutta Europa. I pacifisti, ad esempio, sempre pronti a sfilare contro Bush, perché non organizzano sit-in davanti alle ambasciate iraniane? Perché le "mamme coraggio" USA, che il coraggio lo trovano solo quando sono sotto l'obbiettivo della telecamera, non hanno ricordato ieri il sequestro del personale diplomatico statunitense a Teheran?

Una volta tanto, siamo noi italiani a essere all'avanguardia. Anziché imitare servilmente l'Eurabia in quel che ha di peggio, una volta tanto dovremmo essere fieri di noi stessi, e rinfacciare al resto del mondo la sua inerzia e la sua vigliaccheria.

giovedì 3 novembre 2005

Iran: l'assordante silenzio di Ciampi

Non è strano che il Presidente Ciampi, di solito così garrulo (specialmente quando si tratta di criticare il governo) sia rimasto zitto come una mummia sulle minacce iraniane a Israele?

Giovanni Romano

lunedì 3 ottobre 2005

La doppia ipocrisia del Maresciallo Rocca


Ieri sera, guardando la prima puntata della nuova serie de “Il Maresciallo Rocca”, mi ha colpito una battuta della protagonista femminile Valeria Pivetti. Un po’ seccata per l’insistenza con cui un prete la invitava a convolare finalmente a nozze col Maresciallo, lei commentava: “Ma l’amore non è un contratto!”.

Molto romantico davvero! Perché allora laici e conviventi strillano per reclamare i PACS? Non hanno già l’amore? Non gli basta quello? Di cos’altro hanno bisogno, visto che solo i cattolici, a quanto pare, sono tanto stupidamente realisti da sobbarcarsi, oltre all’amore, degli impegni ben precisi, una fedeltà dichiarata pubblicamente?

Basterebbe questa battuta per capire tutta l’ipocrisia strumentale del dibattito sui PACS. Ma c’è dell’altro in questa puntata, e molto peggio.

All’inizio, vediamo il prete di cui sopra rifiutare l’assoluzione a un misterioso penitente che fugge esasperato. Subito dopo qualcuno lo uccide spaccandogli la testa. Le indagini del Maresciallo Rocca portano alla scoperta del colpevole: una farmacista che, stanca delle sofferenze del marito malato di tumore, gli aveva praticato l’eutanasia con la complicità di un altro medico.

Il flashback dell’omicidio è una scena memorabile, e sotto molti aspetti profetica. La donna, inviperita, pretende l’assoluzione senza mostrare alcun segno di pentimento, anzi rivendicando quello che ha commesso. Il sacerdote gliela nega con grande sofferenza, perché cerca di farle capire –invano- la gravità del suo gesto. A un certo punto, esasperata per il rifiuto, lei lo colpisce con tutte le forze, urlando “Prendi, prete, prendi!”. Quel prete sibilato velenosamente è un capolavoro di odio e di disprezzo. Si vede che non è soltanto l’attrice a pronunciarlo, ma anche lo sceneggiatore, il regista, la troupe, tutto un “milieu” che probabilmente si augura che prima o poi questa scena accada davvero (e poi accusano Berlusconi di essere l’ispiratore di Unabomber!). Almodovar e Amenabar non avrebbero saputo fare di meglio. Aggiungiamo poi che, per coprire l’omicidio del sacerdote, la donna aveva ucciso anche una giornalista che stava per intuire la verità.

Ma nella scena finale, quando il Maresciallo Rocca, il giudice istruttore e il capitano discutono sul caso ormai risolto, tutta la compassione, o quantomeno la “comprensione” del bravo sottufficiale vanno alla donna, non al prete. Non gli passa nemmeno per la mente di far notare che questa donna tanto pietosa ha ucciso non una ma tre persone. E purtroppo non glielo fa notare nessuno dei suoi interlocutori. Ordine degli sceneggiatori, probabilmente. In conclusione, siamo di fronte a uno sceneggiato “di regime” (come il settimanale “TEMPI” ha giustamente definito il film “La bestia nel cuore”) un messaggio molto subdolo a favore delle convivenze e dell’eutanasia, per giunta truccato con un’abbondante cosmesi di sentimentalismo familiare.

A questo punto però sorge una domanda. Se la donna era così convinta di aver agito per il bene del marito, perché è andata a cercare, o meglio a pretendere l’assoluzione da un prete? Un pretesto per aggredire il clero, “reo” di opporsi alla deriva nichilista della nostra mentalità? L’ultimo sussulto di una coscienza che sotto la vernice buonista continua a gridare? Propendo per la prima ipotesi, anche se è impossibile, di fatto, evitare che emerga la seconda. È proprio il sacerdote l’ultima fragile difesa della coscienza e dell’umano. Da questo la rabbia e l’odio, ormai nemmeno più dissimulato, di chi si immagina arbitro e padrone della vita e della morte.

È chiaro che nello sceneggiato il regista costringe il prete a dire solo “no”, senza che gli venga consentito di portare avanti le ragioni per dire “si” fino all’ultimo istante di una vita umana.

Uno sceneggiato fatto per confondere e umiliare chi difende la vita. Uno sceneggiato di regime.

Giovanni Romano

giovedì 22 settembre 2005

"Tendere la mano agli studenti immigrati". Ma se la mano è scomparsa?

Il nostro benemerito Presidente Ciampi ci ha ammannito l'ennesimo discorsetto politically correct quando ha esortato gli studenti italiani a "tendere la mano ai vostri compagni immigrati". Da tempo ormai ho rinunciato alla speranza di trovare, nelle parole del presidente, un accento, una parola, anche solo una virgola che si discostino coraggiosamente dal verbo del politicamente corretto.

Avrebbe potuto ricordare, ad esempio, che se noi tendiamo -com'è giusto- la mano agli studenti immigrati (molto spesso clandestini, quindi invasori), anche loro dovrebbero essere tenuti a fare altrettanto, e non chiudersi in ghetti culturali come è avvenuto a Milano nella scuola di Viale Quaranta (a dire il vero il Presidente, anni fa, aveva accennato alla reciprocità, ma non è tornato molte volte sull'argomento, e certamente non stavolta).

Inoltre, si è dimenticato di un piccolo particolare. Quest'anno, per la prima volta nella storia italiana, in una classe di scuola elementare non sono presenti alunni italiani, ma solo stranieri. Quindi, anche volendo, come farebbero a tendere la mano i figli degli italiani, che ormai non ci sono più? Quanti, in quella classe totalmente multietnica, si sentiranno italiani? La scuola, da sola, riuscirà a creare un senso di appartenenza?

Anche qui, il Presidente aveva fatto tempo fa un intervento giusto quando aveva accennato al numero troppo basso delle nascite. Purtroppo sembra che sia lui, sia soprattutto i mass-media abbiano messo la sordina su questo argomento, uno degli spunti più interessanti e validi del suo settennato. Speriamo nel prossimo presidente. Io mi auguro Pera, ma lo stato italiano non ha certo il coraggio del Vaticano che ha eletto Ratzinger!

Giovanni Romano

martedì 6 settembre 2005

Una riflessione su Matteo 18, 19-20

Domenica 4 settembre 2005 è iniziata la XXIII settimana del Tempo ordinario. Siamo in quella sezione del Vangelo di Matteo che “La Bibbia di Gerusalemme” chiama “discorso ecclesiastico”, in cui Cristo definisce molto concretamente i rapporti che devono vigere tra i suoi. Tuttavia, come sempre nel Vangelo, una lettura puramente “etica” di questi insegnamenti non solo sarebbe inopportuna, ma è impossibile. Perdonare sempre e comunque, avere il coraggio di correggere i fratelli, mettersi all’ultimo posto non sono delle “istruzioni” che uno possa mettere in pratica solo che si applichi con la necessaria diligenza. Finirebbe tutto nell’ipocrisia o in un cinico fiasco. Vi è un altro fattore che rende possibile tutto questo, e che l’uomo non può darsi da sé. Ce lo ricorda in particolare il passaggio apparentemente incongruo dei due versetti che chiudono la lettura evangelica di oggi:

19 In verità vi dico ancora se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà. 20 Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”.

Prima di tutto, quindi, l’atteggiamento da cui Cristo invita a partire i suoi non è la coerenza etica, ma una domanda continua. “Senza di me non potete far nulla”, sarà ricordato ai discepoli nell’Ultima Cena (cfr. Gv 15,5). Non è solo, e non è tanto la constatazione di un limite: bensì l’invito a fare sempre memoria del Padre, a ricordare che tutto è dono di un Altro.

Perché Gesù parla di “accordo” e di “qualunque cosa”? Non dobbiamo certo intendere quel “qualunque cosa” in senso arbitrario: non si può pregare nemmeno in diecimila per ottenere la riuscita di un attentato o di un sequestro! La chiave è la parola “voi”. Voi, i miei amici, i miei discepoli, quelli che seguite Me, che date fiducia a Me, che accettate di essere cambiati da Me. L’accordo, e la domanda, è possibile solo a condizione di seguire Cristo, di accettare la Sua amicizia e la sua guida. In questo modo, è possibile domandare “qualunque cosa”, perché chi fa memoria di Cristo non può chiedere cose cattive. Ed è necessario l’accordo, perché essere in due più a domandare fa uscire dal proprio soggettivismo, rende necessario tenere conto delle esigenze reciproche, mortifica un egoismo che assumerebbe altrimenti la maschera molto pericolosa di una devozione tanto individuale quanto interessata.

Ma c’è un’altra apparente incongruenza, un “salto logico” ancora più notevole, che forse sfugge a una lettura superficiale. Nel primo versetto Gesù parla del Padre. Nel secondo, che con il primo costituisce un blocco indissolubile, Gesù mette Se stesso in primo piano, anche qui in unione indissolubile con il Padre. E’ Lui dunque l’ “Altro fattore” che rende possibile l’esaudimento della domanda umana. Si può capire l’irritazione degli ebrei osservanti nell’udire parole come queste, perché intuivano chiaramente che in questo modo Gesù ribadiva di essere "una cosa sola" con il Padre, in ultima analisi lasciava balenare la propria natura divina (cfr. Gv 5,18 e anche Gv 10,30).

Certo, è possibile dare anche di queste profondissime parole una lettura puramente “orizzontal-solidaristica” come va di moda oggi: Cristo sarebbe soltanto un “input” in più rispetto a un gruppo che si forma per conto proprio, magari per nobili fini. Ma sarebbe travisare gravemente la lettera e lo spirito di questo passo evangelico. Quello che Gesù indica è un rapporto ontologico, non organizzativo. Non è Gesù che aggiunge qualcosa a un gruppo, è l’esistenza di una compagnia umana autentica a diventare possibile perché c’è Lui. La compagnia umana cambia forma e natura perché, invocando Lui, diventa Lui, la Sua presenza incontrabile nel mondo.

Giovanni Romano

lunedì 5 settembre 2005

Edmondo Peluso: come la sinistra si autoassolve

In un paio di giorni ho letto con enorme interesse il libro di Didi Gnocchi "Odissea rossa" (Eianudi, 2001) dedicato a Edmondo Peluso, comunista italiano fucilato dalla NKVD nel 1942 (per i dettagli biografici, vedi http://gariwo.net/giusti/peluso.php ).

A dire il vero, non ero completamente impreparato alla sua storia, perche' prima ancora della Gnochi ne aveva scritto Giancarlo Lehner in "La tragedia dei comunisti italiani" (Mondadori). Tuttavia, il libro della Gnocchi aggiunge molto agli accenni necessariamente brevi di Lehner, e presumibilmente nasce da una gestazione molto piu' lunga (nove anni, secondo quanto afferma l'autrice).

La Gnocchi ha anche saputo collocare opportunamente la vicenda di Peluso nel contesto della Russia post-comunista, sullo sfondo della miseria e dello squallore materiale e morale che il crollo del comunismo ha portato con se' (i suoi rapporti con gli interpreti, l'intervista coi condannati a morte, i viaggi attraverso le campagne e i villaggi).

Per una marxista dichiarata, e per una casa editrice dichiaratamente marxista, non e' affatto poco, e bisogna dargliene atto. Eppure io credo che attraverso la biografia di Peluso l'autrice abbia tentato una esplicita auto-assoluzione della sinistra. Ad esempio, sono taciute le enormi responsabilita' di Togliatti nella morte di almeno duecento comunisti uccisi dall'NKVD. La Gnocchi, al contrario, cerca di "riabilitarlo" osservando che Peluso fu l'unico (!) a favore del quale Togliatti cerco' di intervenire. Questo significa ammettere implicitamente che non intervenne per nessun altro, e diventa agghiacciante se si tiene presente il totale delle vittime italiane scomparse nelle purghe (il totale compare in Lehner, non nella Gnocchi). Inoltre si tace completamente il ruolo attivo di delatore che Togliatti ebbe nei riguardi di piu' d'uno dei suoi compagni. Devo ammettere che la Gnocchi e' stata molto brava: ha detto tutto, anche con una scrupolosa e ottima documentazione, per non ammettere niente.

Soprattutto, la Gnocchi non pone mai esplicitamente a tema la domanda che mi ha sempre tenuto lontano dalla sinistra: ma la causa era davvero buona? Non parlo delle aberrazioni, parlo della causa in se'. Valeva la pena costruire un mondo come quello preconizzato da Marx e Lenin, anche senza la violenza e il terrore che l'hanno storicamente accompagnato? Senza contare che l'URSS di Stalin era gia' contenuta nei Soviet di Lenin, come hanno ammesso anche alcuni politologi comunisti. Ma niente di tutto questo compare nel libro.

Secondo me il pensiero di sinistra, anche quello piu' blando, impoverisce gravemente l'umano, gli toglie orizzonte e significato. Mi ha colpito l'esempio dei coniugi Lafargue, (il genero di Marx e sua figlia Laura) che si suicidarono perché sentivano arrivare la vecchiaia. Antesignani dell'eutanasia? Una scelta piu' radical-borghese che proletaria. Ma vale la pena battersi per un mondo che finisce soltanto nella morte? Rivendicazione della liberta' di scegliere la propria fine, si dira'. E che liberta' e' questa, che si esprime solo con l'annientamento di se'? Il mondo nuovo sara' quello dove dovremo ammazzarci tutti (o dove ci elimineranno come parassiti se ci ostineremo a vivere e a gustare l'esistenza anche a 100 anni).

Di sinistra forse si nasce, non si diventa. Strano come io non abbia mai provato la minima attrattiva ne' la minima soggezione intellettuale verso il marxismo o la sinistra. Istintivamente, mi sono schierato sempre contro la pretesa dell'uomo di essere assoluto padrone e manipolatore della storia, del destino, del significato stesso dell'esistenza. Una tirannia molto peggiore di qualunque altra sia venuta prima. Inoltre, da decenni ormai il marxismo somiglia all'astrologia: non fa altro che inventare spiegazioni plausibili per gli errori delle sue previsioni.

Il libro e' scritto con stile scorrevole e con grande passione, i fatti sono scrupolosamente documentati e ben approfonditi. Bene ha fatto la Gnocchi a mettere in rilievo come, poco prima del suo arresto, Edmondo Peluso sentisse una viva nostalgia per le sorelle e i nipoti. Probabilmente aveva compreso che l'impegno politico e la fede rivoluzionaria non esauriscono le dimensioni della persona, che non si puo' rimodellare la realta' come ci pare e piace.

Più la vicenda umana di Peluso si avvia verso la sua tragica conclusione, più diventa evidente che la salvezza dal totalitarismo passa dal pre-politico o dall'anti-politico: la famiglia, le amicizie che si scelgono liberamente, le simpatie al di la' di ogni schieramento (a proposito, penso che Peluso mi sarebbe stato molto simpatico se l'avessi conosciuto personalmente. Idem per la Gnocchi). Alla sinistra manca l'umano, quali che siano le acrobazie storiche o dialettiche escogitate per coprire questo vuoto.

Giovanni Romano

sabato 27 agosto 2005

Forse adesso la buon’anima di Montanelli sarà contenta

Qualche anno fa, quando Montanelli scriveva ancora su “OGGI”, mi capitò di leggere un suo articolo estivo, una requisitoria dai toni quasi isterici contro la “gente comune” che osava turbare, con la sola invadente presenza, i suoi dorati esili di miliardario nelle località più esclusive del Belpaese. Gli scrissi ironicamente che non avrebbe dovuto arrabbiarsi ancora a lungo: l’impoverimento dei ceti medi avrebbe tenuto a casa un numero sempre crescente di “gente comune”,così che nessuno avrebbe più osato disturbare i suoi riposi da nababbo. Naturalmente non ebbi risposta.

Se Montanelli fosse vivo oggi, credo che sarebbe felice di leggere le cifre costantemente in calo di chi può permettersi di uscire per una vacanza. Sì, lo confesso: a differenza di tanti che lo veneravano quasi come un maestro, io ho finito per non poterlo soffrire più. Non che disprezzassi la sua abilità di giornalista, la sua prosa chiara e graffiante, la sua vis polemica. Ma man mano che lo studiavo mi accorgevo della sua sgradevole tendenza a fare la predica solo a quelli che guadagnavano meno di lui, mi accorgevo di quanto fosse arrogante e presenzialista (sembrava sempre dire: “Dunque, eravamo io, John Fitzgerald Kennedy e Papa Giovanni XXIII”), e soprattutto della sua cinica disponibilità a mettersi al servizio di chi lo pagava meglio (come fece per conto delle multinazionali del petrolio contro Enrico Mattei, vedi il libro del Prof. Nico Perrone “Mattei, il nemico italiano”).

Ammirazione per i suoi indubbi talenti di giornalista, dunque, ma non stima come uomo. Sarebbe ora che qualcuno lo riscoprisse, ma per scriverne una biografia alquanto diversa dall’agiografia ufficiale.

Giovanni Romano

Panico da pagina bianca? E perché?

Quando le feci osservare che compravo più libri di quanti riuscissi a leggere, una mia amica libraia mi rispose con una frase che non ho mai dimenticato: “Ma i libri sanno aspettare”. Niente di più vero, e col tempo ho capito che i libri sanno aspettare anche nella mente, dopo essere stati letti, perché una frase, una scena, un pensiero possono riaffacciarsi a distanza di anni e rivelare significati ai quali sul momento non si era minimamente pensato.

Ma anche per la pagina bianca è così. Anche una pagina bianca sa aspettare che un pensiero prenda forma e maturi. Certo, il bianco nella sua deserta impassibilità può far paura. Ma confesso di non aver provato tanto il panico della pagina bianca quanto quello della pagina tormentata e imbrattata dalle cancellature. Se non fosse stato per il computer e per la sua infinita pagina bianca virtuale, per il testo che si presenta sempre pulito e ordinato anche dopo centinaia di correzioni, avrei smesso di scrivere da un bel pezzo. Quando scrivo sono incontentabile, e anche quando ho finito spesso il risultato mi delude, o quantomeno mi lascia dubbioso. Dentro di noi c’è infatti un libro perennemente non scritto, che in tantissimi non scriveremo mai, i pensieri più profondi, le immagini più vivide, le impressioni più forti che non riusciamo a esprimere. Un po’ come i musulmani parlano di una copia perfetta, increata del Corano custodita in cielo, della quale quelle sulla terra sono solo una pallidissima approssimazione.

E intanto la pagina bianca aspetta, e noi passiamo la vita illudendoci di riempirla, di spiegare una buona volta a noi stessi e agli altri il mistero che siamo, di quello che proviamo e di quello che abbiamo vissuto. Ma solo ai più grandi scrittori è dato anche solo avvicinarsi alle fonti stesse della propria umanità.

La pagina bianca aspetta. Può aspettare anche in eterno. E’ la vita che non aspetta nessuno.

Giovanni Romano

“Adozione mite”: che roba è?

Durante il TG2 delle ore 13,00 di ieri (26 agosto) ho sentito parlare dell’iniziativa di un giudice barese che, sfruttando un comma poco noto della legge sull’affido, consente di fatto l’adozione ai single e alle coppie non sposate.

Dal cronista, ovviamente, non è venuta la minima critica a quello che sembra un escamotage piuttosto che un’opportunità. L’affido, se ben ricordo, è un istituto giuridico finalizzato a reinserire il minore nella sua famiglia di provenienza: la famiglia affidataria è chiamata a collaborare, non a sostituire i genitori naturali.

L’”adozione mite” stravolge tutto questo, perché la prospettiva di un’adozione viene a minare l’animus della collaborazione. Senza contare i danni che il minore può avere trovandosi in una famiglia monoparentale o costituita da una precaria convivenza.

Il legislatore avrà il coraggio di turare questa falla, e soprattutto di sbugiardare l'ennesimo termine zuccheroso che nasconde una realtà amara?

Giovanni Romano

mercoledì 17 agosto 2005

Tremate, tremate, le gride son tornate!

Per una curiosa – ma forse non casuale – coincidenza, il Televideo di venerdì 12 agosto batteva due notizie analoghe, ma sconcertanti quanto alla disparità di trattamento usata dal legislatore:

Ore 14,21: CAPRI Mike Tyson multato dalla Capitaneria di porto: scorrazzava su una moto d'acqua a meno di 200 metri dalla costa.

Ore 17,50: VENEZIA Una coppia di turisti olandesi è stata multata di 3.300 euro per aver comprato una borsa griffata falsa.

Quel che Televideo non dice è che Mike Tyson ha pagato – senza batter ciglio, a quanto pare - una multa inferiore di quasi dieci volte (360 euro, se ben ricordo) a quella dei malcapitati turisti olandesi, e per un comportamento cento volte più pericoloso.

Quanto alla seconda notizia, sembra di essere tornati alle “gride” di manzoniana memoria. Vale la pena riportare per intero un passo che sembra scritto oggi:

“Le leggi anzi diluviavano: i delitti erano enumerati, e particolareggiati, con minuta prolissità; le pene, pazzamente esorbitanti [il neretto è mio] e, se non basta, aumentabili, quasi per ogni caso, ad arbitrio del legislatore stesso e di cento esecutori; le procedure, studiate soltanto a liberare il giudice da ogni caso che potesse essergli d’impedimento a proferire una condanna. (…)”. (I Promessi Sposi, cap.I).

Dove sono i commoventi editoriali con cui “Il Giornale” stigmatizzava la pedante severità con cui la Finanza (all’epoca in cui Berlusconi era all’opposizione, beninteso) multava il barista che aveva preparato un panino per sua madre senza averle fatto lo scontrino? Dove sono le tonanti denunce sulla “dittatura fiscale” e sull’iniquità di leggi forti coi deboli, e deboli coi forti? Perché adesso tacciono, questi polli che starnazzano a comando?

Non c’è nulla, assolutamente nulla che giustifichi delle multe tanto sproporzionate, tranne un calcolo tanto cinico quanto vile. In primis, si vogliono difendere le “griffe”. D’accordo, il fenomeno esiste ed è dannoso. Ma ve l’immaginate un’avvocatessa, una senatrice, una docente universitaria, una imprenditrice che vanno a fare shopping sulle bancarelle? Se c’è un mercato che non conosce quasi mai crisi, è proprio quello degli articoli di lusso. Non si tratta quindi di “difendere l’immagine dei prodotti italiani nel mondo”, come ci vanno ripetendo fino alla nausea, quanto di mantenere i segni del privilegio di chi sta in alto, in una società dove il divario tra abbienti e non abbienti sta ridiventando così profondo che sembra di essere tornati alle caste.

In secondo luogo, è molto meno pericoloso, per chi deve far materialmente rispettare le norme, prendersela con il cliente (di solito un turista sprovveduto, del tutto ignaro di tali balzelli da medioevo) piuttosto che con l’ambulante extracomunitario che all’occorrenza può anche tirar fuori il coltello.

Lasciamo, per concludere, di nuovo la parola al Manzoni, per fotografare definitivamente la situazione in cui ci troviamo oggi (non mi stupisce affatto che lo stiano togliendo dalle scuole: è un testimone scomodo, può stimolare a pensare):

“Con tutto ciò, anzi in gran parte a cagion di ciò, quelle gride, ripubblicate e rinforzate di governo in governo, non servivano ad altro che ad attestare ampollosamente l’impotenza de’ loro autori; o, se producevano qualche effetto immediato, era principalmente quello d’aggiunger molte vessazioni a quelle che i pacifici e i deboli già soffrivano da’ perturbatori, e d’accrescer la violenza e l’astuzia di questi”. (Ibidem).

Una classe politica può anche permettersi l’odio, ma mai il disprezzo che accompagna norme così palesemente inique. Senza contare la pessima nomea che l’Italia si procura all’estero per quello che verrà certamente percepito come una trappola e un atto di pura rapacità fiscale.

A proposito, lo sapevate che chi realizza plusvalenze milionarie in Borsa non è tenuto a pagare neanche un centesimo d’imposta?

Allegri ragazzi, giustizia è fatta.

Giovanni Romano

domenica 26 giugno 2005

A proposito di pluralismo...

Come mai, quando i giornalisti TV scioperano in difesa del pluralismo e della libertà d'informazione, leggono tutti lo stesso identico comunicato?

Giovanni Romano

venerdì 22 aprile 2005

Benedetto XVI: la croce dell'incomprensione e dell'odio

Confesso di essere rimasto molto sopreso dall'elezione del Card. Joseph Ratzinger al soglio di Pietro. E questo non perché non ne sia entusiasta (anzi! Quasi non volevo credere alle mie orecchie quando ho sentito l'annunzio) quanto perché, ragionando con le categorie di "questo mondo", avevo pensato che si fosse "bruciato" dopo la sua fortissima omelia della Messa "pro eligendo Pontifice".

Che cosa significa l'elezione di Benedetto XVI? Un ripiegamento della Chiesa su se stessa? La ricerca di sicurezze da parte di anime deboli (evidentemente non di auto.proclamati "cattolici adulti" come Romano Prodi)? Un ritorno al medioevo? Il rifiuto del "dilalogo" e la ricerca dello scontro delle civilità?

Niente di tutto questo. Eleggendo Ratzinger, la Chiesa ha dimostrato di non temere il giudizio del "mondo". Ma non per odio verso il mondo: per amore all'uomo attraverso Cristo. L'amore di Cristo è misericordioso, non corrivo. E' Ratzinger la vera figura "scomoda" del nostro tempo, è la Chiesa a essere "senza patria" (secondo la testuale espressione di Papa Giovanni Paolo II a Don Giussani).

Non so, e non m'interessa, quali e quante innovazioni o restaurazioni porterà il pontificato di Papa Benedetto XVI. Il punto è che non lascerà nessuna coscienza tranquilla. Non lascerà tranquilli i laici, che già ora si stanno rivoltando contro di lui, e molto meno lascerà tranquilli i cattolici, con il suo forte richiamo alla responsabilità personale, con le ammonizioni contro una Chiesa ridotta ad attivismo filantropico soddisfatto di se stesso, con la riproposizione energica della verità non come dottrina, ma come evidenza della presenza e dell'evento di Cristo.

Questo pontificato sarà tutto fuorché trionfalista. Per la sua fedeltà a Cristo e alla verità, Papa Benedetto XVI è destinato a portare su di sé, molto più pesantemente che il suo predecessore, la croce dell'incomprensione e dell'odio. La folla che ha gridato "osanna" può trasformarsi molto facilmente nella canea che grida il "crucifige". Assisteremo forse a un pontificato molto drammatico, dove la coscienza e la fede di ciascun cattolico saranno messe alla prova come mai prima nell'epoca moderna.

Se a Papa Giovanni Paolo II hanno sparato, c'è da temere seriamente che con Papa Benedetto XVI mireranno meglio.

Giovanni Romano

mercoledì 13 aprile 2005

La RAI sempre più grassa, i contribuenti sempre più magri

Come riportano trionfalmente le agenzie, la RAI ha realizzato nel 2004 l'utile netto record di 113 milioni di euro, il più alto della sua storia oltre quattro volte in più rispetto a quello dello scorso anno. Inoltre, gli introiti pubblicitari sono saliti del 12% rispetto al 2003.

Va bene. Ma perché di fronte a risultati tanto strepitosi nessuno, ma proprio nessuno parla di ritoccare il canone, una volta tanto verso il basso?

Giovanni Romano

A futura memoria di una stangata imminente

Bruxelles avverte l'Italia per il deterioramento dei conti pubblici, e subito il Ministro dell'Economia dichiara di non vedere condizioni per una manovra aggiuntiva (cfr. il flash dell'agenzia ANSA riportato in calce). Dal momento che ogniqualvolta i ministri hanno giurato, spergiurato e stragiurato di non volere manovre aggiuntive i contribuenti sono stati puntualmente spennati, non ci resta che prepararci all'ennesima stangata. Tempo massimo tre mesi.


Giovanni Romano

BRUXELLES, 12 APR - 'Non vedo le condizioni' per una manovra aggiuntiva fa sapere Siniscalco.'Il problema - dice - e' quello della crescita'. Commentando la situazione dei conti pubblici italiani,il ministro dell'Economia sottolinea che 'Se un paese non cresce,e' evidente che i conti pubblici si deteriorano'. Ha poi sottolineato l'impegno del governo 'a ridurre il debito piu' che si puo', e di averlo ribadito anche al commissario Ue Almunia. Poi ha aggiunto 'Le finanziarie elettorali non pagano'.

martedì 12 aprile 2005

Pontefici e pontificatori

Se non fosse per la drammaticità del trapasso di un Papa della statura di Giovanni Paolo II, ci sarebbe da divertirsi a vedere quanti giornalisti, vaticanisti ed esperti vari azzardano pronostici su chi sarà, o dovrebbe essere, il futuro Papa.

Non abbiamo il Papa, ma fortunatamente i pontefici non ci mancano.

Giovanni Romano

lunedì 4 aprile 2005

Una buona parola per San Tommaso

L'apostolo Tommaso è stato sempre bistrattato nelle omelie. E' stato additato come cattivo esempio di incredulità, e non è mancato chi ha preso ambiguamente le sue difese come "apologeta del dubbio".

A nessuno, credo, è venuta in mente una considerazione molto semplice. Tommaso non crede ai propri amici, ma come mai resta ugualmente con loro per otto giorni?

Come mai il suo rapporto gli altri apostoli non s'interruppe, nonostante egli pensasse di essere stato preso in giro? Nessuno poteva dirgli se e quando il Signore sarebbe ritornato. Forse Tommaso rimase perché vedeva negli altri una contentezza, una gioia alla quale non sapeva rinunciare. Forse aveva visto anche lui i discepoli di Emmaus, tornati imprevedibilmente "pieni di gioia" Il desiderio di partecipare alla gioia degli amici era già un inizio di domanda a Cristo, una domanda più forte del sospetto e dei dubbi.

San Tommaso non è dunque un maestro di dubbio ma di domanda. Pure nel dubbio, fu leale verso l'evidenza che aveva davanti agli occhi: la gioia dei suoi amici. Era questa, forse, l'inizio della risposta che lui attendeva, e che ciascuno di noi attende.

Giovanni Romano

sabato 2 aprile 2005

L'ultimo regalo del Papa

Quello che non sono riusciti a fare i fervorini moralistici del Presidente Ciampi e dell'on. Casini è riuscito a ottenerlo l'agonia del Santo Padre. Una campagna elettorale sempre più rissosa, e potenzialmente pericolosa per il futuro del paese, si è spenta nel silenzio, per rispetto al Papa.

La politica ha dovuto fermarsi di fronte all'evidenza di qualcosa che viene prima di lei. L'evidenza del dolore, della preghiera, dell'amore.

L'ultimo regalo che il Papa poteva fare è aver fatto cessare, almeno per il momento, una rissa di parole che può avere conseguenze molto pericolose. Intorno alla sua persona sofferente ha creato di nuovo unità.

Grazie, Santità.

Giovanni Romano

domenica 27 marzo 2005

Ora legale: una vessazione inutile e bugiarda

Confesso di appartenere alla schiera di coloro che non amano l'ora legale, ai quali non sorride affatto il pensiero di doversi alzare un'ora prima per coricarsi un'ora dopo.

Intendiamoci: tutti i sistemi per misurare il tempo sono "ore legali". Ida Magli scriveva che è l'uomo, con le feste, i riti, la misurazione del tempo, che cerca di dare il senso a quello che altrimenti sarebbe uno scorrere indifferenziato.

Lasciamo da parte la domanda sul perché l'essere umano sente questo bisogno di differenziare il tempo e di dargli un significato e concentriamoci su una risposta più pratica. Tutte le ore sono convenzionali, è vero, ma quella "solare" è più rispettosa dei ritmi dell'uomo e della natura.

Tanto per cominciare, almeno nei primi tempi alzarsi un'ora prima ci ributta nel buio e nel freddo, come ben sa chi va a lavorare la mattina presto. Inoltre, prolungare artificialmente la giornata induce stanchezza e irritabilità.

Per addolcire la pillola ci viene detto che con questo sistema "si risparmia energia energia e denaro". Quanta energia e quanto denaro, precisamente? 620 milioni di kilowattore (ma quanti ne consumiamo in una sola settimana?) e 62 milioni di Euro. 62 milioni, in vecchie lire, fanno 120 miliardi di lire circa. Ma quanto costano a noi contribuenti le sole spedizioni dei nostri soldati all'estero nel giro di un mese, Iraq escluso? Non sarebbe meglio risparmiare su queste voci, e non sulle spalle dei cittadini? Inoltre, di questi pretesi "risparmi" le famiglie italiane non vedranno nemmeno un centesimo. Al contrario, sono già in cantiere gli ennesimi aumenti delle bollette di luce e gas.

Vi è infine una ragione per così dire culturale che non mi fa accettare l'ora legale. Un sistema del genere è figlio di un'economia di guerra, della nevrosi da scarsità tipica del pensiero illuminista-utilitarista di derivazione anglosassone. Benjamin Franklin, l'"inventore" dell'ora legale, strepitava con il re di Francia perché la polizia sequestrasse tutte le candele, costringesse i bottegai ad alzarsi al canto del gallo, spegnesse i lampioni per le strade, e altre amenità. Tipico comportamento degli "illuminati" (è il caso di dirlo!) che per "convincere" della bontà delle proprie idee non trovano di meglio che farsi forti della polizia...

Qual è, in conclusione, il vero significato dell'ora legale, al di là delle bugie sul "risparmio"? Far capire al cittadino che è solo un oggetto di cui il potere può fare quello che vuole (compreso il tirarlo giù dal letto un'ora prima), e, ancora più a fondo, la pretesa dell'uomo di essere padrone e artefice del tempo, in spregio ai veri ritmi della natura.

Aveva ragione a questo proposito Hannah Arendt quando osservava che l'uomo moderno odia tutto ciò che viene dall'esterno, che gli viene semplicemente dato, e che non può manipolare. Non potendo ordinare al sole quando sorgere e quando tramontare, non resta che questo squallido espediente per illuderci di avere potere. A danno di noi stessi e della nostra salute.

Giovanni Romano

mercoledì 23 marzo 2005

Visto da vicino

Il sopravvalutato film di Marco Bellocchio

“Ora di religione”? No, dogma laicista!

“Denaro e santità, metà della metà”, così recita una cinica massima laica. Probabilmente a questo pensava Marco Bellocchio quando ha girato il suo ultimo film, “L’ora di religione”. Sarebbe troppo facile liquidarlo come un pastiche di luoghi comuni, pregiudizi e insofferenze verso la Chiesa. Bisogna invece analizzarlo a fondo, se non altro perché l’impostazione ideologica del regista rispecchia un modo di pensare sempre più diffuso e sempre più apertamente ostile al cristianesimo.

La trama è piuttosto lineare ma ricca di risvolti: Picciafuoco, pittore famoso, ateo intransigente, in crisi di matrimonio e di creatività viene a sapere che i fratelli hanno promosso la causa di beatificazione della madre, donna religiosissima, uccisa molti anni prima dal figlio maggiore che non sopportava più di sentirsi rimproverare le continue bestemmie. Da questo momento comincia una lotta senza quartiere tra lui e il resto della famiglia spalleggiato dalla Chiesa, che vogliono coinvolgerlo a tutti i costi in un sordido business di fatto di denaro, menzogne e imbrogli. Si inventa una santità di sana pianta a colpi di siti Internet, di opuscoli, di santini disgustosamente kitsch per ottenere denaro, fama, potere. Ma i ricordi del pittore sono ben diversi: di santo la vita della madre non aveva proprio nulla. Era soltanto una mediocre devota, fin troppo rassegnata ai mali della vita, che aveva intristito i figli (e il maggiore in particolare, fino a farlo impazzire) con gli scrupoli e i sensi di colpa derivati dalla religione. Da qui il costante rifiuto dell’artista a partecipare alla sceneggiata, la lotta –vittoriosa, purtroppo– per strappare suo figlio dall’influenza della madre, del parentado e dell’“ora di religione”, l’abbraccio doloroso con il fratello pazzo che urla ancora più forte le sue bestemmie quando tutti si aspettano da lui la scena madre del grande pentimento.

Il film si chiude con un parallelo significativo: mentre la famiglia si reca tutta tronfia all’udienza privata con il Papa, il pittore accompagna suo figlio a scuola –una scuola laica e statale, beninteso– e il bambino passa trionfalmente accanto a una grande, palpitante bandiera dell’Unione Europea (quella stessa UE che ha “dimenticato” ogni riferimento al cristianesimo nella carta dei suoi diritti fondamentali). E’ inutile dire che la vicenda, per alcuni precisi riferimenti del regista, è ambientata nel 2000, l’anno del Grande Giubileo.

Una pellicola del genere pare la trasposizione cinematografica del libro dissacratore di Giordano Bruno Guerri contro Santa Maria Goretti “Povera santa, povero assassino”. Ma oltre ai temi famigliari dei film di Bellocchio (l’odio contro la famiglia considerata un inferno di frustrazioni e di alienazione, la sete d’amore destinata a non trovare risposta, l’impossibilità di liberarsi da un passato che pure si rifiuta con tutte le forze) qui c’è dell’altro: il desiderio di esorcizzare la Grazia, di ridurre il comportamento umano al gioco dell’istinto e del calcolo, di deridere chi si gioca la vita su un orizzonte più grande di sé. Come se avesse paura di farsi mettere in discussione dalle incursioni del Totalmente Altro… Non è successo niente, circolare, circolare!

Da questo punto di vista mi è parsa molto inopportuna la menzione speciale della giuria ecumenica al festival di Cannes, in quanto il film corrisponderebbe a “un interrogativo moderno di Dio che deve essere ascoltato [l’interrogativo, si badi bene: ad ascoltare Dio ci pensano in pochi, N.d.R.] perché il suo protagonista si oppone a tutti compromessi ed è l’espressione di una ricerca di identità e di verità”. No, è l’espressione soltanto di se stesso e dei suoi pregiudizi antireligiosi!

Contro tutte le apparenze, “L’ora di religione” è un film assai moralista. Bellocchio è dalla parte dei farisei che schernivano e minacciavano il cieco nato perché, imperfetto e peccatore com’era, osava testimoniare che Cristo l’aveva guarito. Lo si vede con grande evidenza dal modo in cui tratta il personaggio del miracolato, un ometto ingenuo, pasticcione e meschino, ma che non rinuncia all’unica evidenza grande della sua vita: è stata la preghiera indirizzata alla madre di Picciafuoco a salvarlo: questa certezza è più forte di ogni suo peccato e di ogni suo errore. Una cosa del genere per Bellocchio non può e non deve accadere. Certe domande non devono neppure essere poste. Questo forse aiuta a spiegare il motivo per cui il film è stato girato: è un attacco a quell’Italia che tenacemente resiste alla secolarizzazione, un attacco all’influenza e al prestigio della Chiesa, più o meno come lo scandalo dei preti pedofili negli USA è scoppiato –guarda caso– proprio quando i rapporti con la presidenza Bush non potevano essere migliori, e il rispetto per i cattolici mai era stato così alto, specialmente dopo l’11 settembre.

Se Bellocchio ha gli anni del ’68, in questo film li dimostra tutti, e specialmente nella seconda parte, quando la tensione rigorosamente costruita dall’inizio si dissipa in troppi episodi del tutto improbabili e fini a se stessi (l’assurdo duello, l’amplesso con la finta insegnante di religione). E’ questo, probabilmente, il destino di ogni film a tesi: quando si esauriscono i discorsi si deve chiudere tutto in fretta e furia, come capita capita, e tanto peggio per la verosimiglianza.

Due scene mi sono rimaste particolarmente impresse. La prima è quando la moglie di Picciafuoco, verso la fine, entra in punta di piedi nella stanza del bambino e lo battezza di nascosto. Un gesto di fanatismo? Forse no, perché in un film dove la santità è platealmente ostentata nessuno ne viene a sapere nulla, nemmeno il marito. Che sia un’immagine del futuro della nostra cristianità, vivere in un mondo dove un segno di croce dà fastidio, dove il cristianesimo è talmente estraneo e combattuto da costringere le madri a trasmetterlo di nascosto, come ai primi tempi? L’altra scena è il colloquio di Picciafuoco con un cardinale postulatore della causa di beatificazione che lo interroga sui fatti (almeno lui vuole saperli veramente!). A un certo punto Picciafuoco sbotta: “Ma insomma! Mia madre non faceva altro che dire: ‘Non fate questo, non fate quello!’ Mai una volta che dicesse cosa avremmo dovuto fare, invece che bestemmiare!”. Mi sembra uno dei pochi spunti veri del film: non appiattire la fede sulle proibizioni ma domandare sempre un di più per la vita.

Un’ultima nota sulla realizzazione: impeccabile e molto ben realizzata la fotografia, di buon livello gli attori, (in particolare l’interprete del fratello ex-terrorista). Nei panni di Picciafuoco un Sergio Castellitto in gran forma che però, verso la fine del film, per l’assurdità della trama perde colpi e passa da un’espressione intensa a una banale faccia stralunata.

Giovanni Romano

Da prendere con le molle...

Un pregiudizio è una verità che gli intellettuali non sono ancora riusciti a soffocare.

martedì 15 marzo 2005

Ergastolo alla Banelli... e gli altri?

I giudici che hanno avuto la mano tanto -giustamente- pesante contro una pentita e una dissociata delle BR si trovano ora moralmente obbligati a condannare alla medesima pena anche i brigatisti non pentiti e non dissociati. Altrimenti sarebbe molto sospetta tanta severità contro chi vuole abbandonare il terrorismo.

Si direbbe che in Italia più sei canaglia e meglio ti trattano.

I detti dei Padri del Deserto...

Strano come questi asceti, che nel deserto si ritiravano per meditare nel silenzio e nella solitudine, ci abbiano lasciato interi volumi dei loro detti... ma quando trovavano il tempo di stare zitti?

Unabomber: adesso accusano anche Berlusconi?

In occasione dell'ultimo attentato di Unabomber, il giudice Vittorio Borraccetti non si è peritato di affermare che la fiction "Ris", trasmessa di recente su Canale 5, avrebbe esaltato e gratificato il bombarolo, spingendolo a gesti sempre più audaci (cfr. l'intervista pubblicata oggi sul Corriere della Sera). L'ipotesi è legittima, e io personalmente sarei portato a condividerla, anche se -guarda caso- è stata avanzata soltanto per una fiction di Mediaset. Quello che mi colpisce è che se questa ipotesi fosse stata avanzata, poniamo, per spiegare un delitto a sfondo sessuale con la visione di film a forte contenuto erotico ("Eyes Wide Shut", per esempio, o "Ultimo tango a Parigi") ci sarebbe stata una sollevazione generale in nome della libertà di espressione e di stampa. Schiere di psicologi si sarebbero affrettate a spiegarci che no, questi film sono innocui, anzi benefici perché scaricano le pulsioni represse ecc. ecc. ecc. Due pesi e due misure, in nome del "politicamente corretto". Sta' a vedere che alla fine il bombarolo è Berlusconi?