sabato 27 agosto 2005

Forse adesso la buon’anima di Montanelli sarà contenta

Qualche anno fa, quando Montanelli scriveva ancora su “OGGI”, mi capitò di leggere un suo articolo estivo, una requisitoria dai toni quasi isterici contro la “gente comune” che osava turbare, con la sola invadente presenza, i suoi dorati esili di miliardario nelle località più esclusive del Belpaese. Gli scrissi ironicamente che non avrebbe dovuto arrabbiarsi ancora a lungo: l’impoverimento dei ceti medi avrebbe tenuto a casa un numero sempre crescente di “gente comune”,così che nessuno avrebbe più osato disturbare i suoi riposi da nababbo. Naturalmente non ebbi risposta.

Se Montanelli fosse vivo oggi, credo che sarebbe felice di leggere le cifre costantemente in calo di chi può permettersi di uscire per una vacanza. Sì, lo confesso: a differenza di tanti che lo veneravano quasi come un maestro, io ho finito per non poterlo soffrire più. Non che disprezzassi la sua abilità di giornalista, la sua prosa chiara e graffiante, la sua vis polemica. Ma man mano che lo studiavo mi accorgevo della sua sgradevole tendenza a fare la predica solo a quelli che guadagnavano meno di lui, mi accorgevo di quanto fosse arrogante e presenzialista (sembrava sempre dire: “Dunque, eravamo io, John Fitzgerald Kennedy e Papa Giovanni XXIII”), e soprattutto della sua cinica disponibilità a mettersi al servizio di chi lo pagava meglio (come fece per conto delle multinazionali del petrolio contro Enrico Mattei, vedi il libro del Prof. Nico Perrone “Mattei, il nemico italiano”).

Ammirazione per i suoi indubbi talenti di giornalista, dunque, ma non stima come uomo. Sarebbe ora che qualcuno lo riscoprisse, ma per scriverne una biografia alquanto diversa dall’agiografia ufficiale.

Giovanni Romano

Panico da pagina bianca? E perché?

Quando le feci osservare che compravo più libri di quanti riuscissi a leggere, una mia amica libraia mi rispose con una frase che non ho mai dimenticato: “Ma i libri sanno aspettare”. Niente di più vero, e col tempo ho capito che i libri sanno aspettare anche nella mente, dopo essere stati letti, perché una frase, una scena, un pensiero possono riaffacciarsi a distanza di anni e rivelare significati ai quali sul momento non si era minimamente pensato.

Ma anche per la pagina bianca è così. Anche una pagina bianca sa aspettare che un pensiero prenda forma e maturi. Certo, il bianco nella sua deserta impassibilità può far paura. Ma confesso di non aver provato tanto il panico della pagina bianca quanto quello della pagina tormentata e imbrattata dalle cancellature. Se non fosse stato per il computer e per la sua infinita pagina bianca virtuale, per il testo che si presenta sempre pulito e ordinato anche dopo centinaia di correzioni, avrei smesso di scrivere da un bel pezzo. Quando scrivo sono incontentabile, e anche quando ho finito spesso il risultato mi delude, o quantomeno mi lascia dubbioso. Dentro di noi c’è infatti un libro perennemente non scritto, che in tantissimi non scriveremo mai, i pensieri più profondi, le immagini più vivide, le impressioni più forti che non riusciamo a esprimere. Un po’ come i musulmani parlano di una copia perfetta, increata del Corano custodita in cielo, della quale quelle sulla terra sono solo una pallidissima approssimazione.

E intanto la pagina bianca aspetta, e noi passiamo la vita illudendoci di riempirla, di spiegare una buona volta a noi stessi e agli altri il mistero che siamo, di quello che proviamo e di quello che abbiamo vissuto. Ma solo ai più grandi scrittori è dato anche solo avvicinarsi alle fonti stesse della propria umanità.

La pagina bianca aspetta. Può aspettare anche in eterno. E’ la vita che non aspetta nessuno.

Giovanni Romano

“Adozione mite”: che roba è?

Durante il TG2 delle ore 13,00 di ieri (26 agosto) ho sentito parlare dell’iniziativa di un giudice barese che, sfruttando un comma poco noto della legge sull’affido, consente di fatto l’adozione ai single e alle coppie non sposate.

Dal cronista, ovviamente, non è venuta la minima critica a quello che sembra un escamotage piuttosto che un’opportunità. L’affido, se ben ricordo, è un istituto giuridico finalizzato a reinserire il minore nella sua famiglia di provenienza: la famiglia affidataria è chiamata a collaborare, non a sostituire i genitori naturali.

L’”adozione mite” stravolge tutto questo, perché la prospettiva di un’adozione viene a minare l’animus della collaborazione. Senza contare i danni che il minore può avere trovandosi in una famiglia monoparentale o costituita da una precaria convivenza.

Il legislatore avrà il coraggio di turare questa falla, e soprattutto di sbugiardare l'ennesimo termine zuccheroso che nasconde una realtà amara?

Giovanni Romano

mercoledì 17 agosto 2005

Tremate, tremate, le gride son tornate!

Per una curiosa – ma forse non casuale – coincidenza, il Televideo di venerdì 12 agosto batteva due notizie analoghe, ma sconcertanti quanto alla disparità di trattamento usata dal legislatore:

Ore 14,21: CAPRI Mike Tyson multato dalla Capitaneria di porto: scorrazzava su una moto d'acqua a meno di 200 metri dalla costa.

Ore 17,50: VENEZIA Una coppia di turisti olandesi è stata multata di 3.300 euro per aver comprato una borsa griffata falsa.

Quel che Televideo non dice è che Mike Tyson ha pagato – senza batter ciglio, a quanto pare - una multa inferiore di quasi dieci volte (360 euro, se ben ricordo) a quella dei malcapitati turisti olandesi, e per un comportamento cento volte più pericoloso.

Quanto alla seconda notizia, sembra di essere tornati alle “gride” di manzoniana memoria. Vale la pena riportare per intero un passo che sembra scritto oggi:

“Le leggi anzi diluviavano: i delitti erano enumerati, e particolareggiati, con minuta prolissità; le pene, pazzamente esorbitanti [il neretto è mio] e, se non basta, aumentabili, quasi per ogni caso, ad arbitrio del legislatore stesso e di cento esecutori; le procedure, studiate soltanto a liberare il giudice da ogni caso che potesse essergli d’impedimento a proferire una condanna. (…)”. (I Promessi Sposi, cap.I).

Dove sono i commoventi editoriali con cui “Il Giornale” stigmatizzava la pedante severità con cui la Finanza (all’epoca in cui Berlusconi era all’opposizione, beninteso) multava il barista che aveva preparato un panino per sua madre senza averle fatto lo scontrino? Dove sono le tonanti denunce sulla “dittatura fiscale” e sull’iniquità di leggi forti coi deboli, e deboli coi forti? Perché adesso tacciono, questi polli che starnazzano a comando?

Non c’è nulla, assolutamente nulla che giustifichi delle multe tanto sproporzionate, tranne un calcolo tanto cinico quanto vile. In primis, si vogliono difendere le “griffe”. D’accordo, il fenomeno esiste ed è dannoso. Ma ve l’immaginate un’avvocatessa, una senatrice, una docente universitaria, una imprenditrice che vanno a fare shopping sulle bancarelle? Se c’è un mercato che non conosce quasi mai crisi, è proprio quello degli articoli di lusso. Non si tratta quindi di “difendere l’immagine dei prodotti italiani nel mondo”, come ci vanno ripetendo fino alla nausea, quanto di mantenere i segni del privilegio di chi sta in alto, in una società dove il divario tra abbienti e non abbienti sta ridiventando così profondo che sembra di essere tornati alle caste.

In secondo luogo, è molto meno pericoloso, per chi deve far materialmente rispettare le norme, prendersela con il cliente (di solito un turista sprovveduto, del tutto ignaro di tali balzelli da medioevo) piuttosto che con l’ambulante extracomunitario che all’occorrenza può anche tirar fuori il coltello.

Lasciamo, per concludere, di nuovo la parola al Manzoni, per fotografare definitivamente la situazione in cui ci troviamo oggi (non mi stupisce affatto che lo stiano togliendo dalle scuole: è un testimone scomodo, può stimolare a pensare):

“Con tutto ciò, anzi in gran parte a cagion di ciò, quelle gride, ripubblicate e rinforzate di governo in governo, non servivano ad altro che ad attestare ampollosamente l’impotenza de’ loro autori; o, se producevano qualche effetto immediato, era principalmente quello d’aggiunger molte vessazioni a quelle che i pacifici e i deboli già soffrivano da’ perturbatori, e d’accrescer la violenza e l’astuzia di questi”. (Ibidem).

Una classe politica può anche permettersi l’odio, ma mai il disprezzo che accompagna norme così palesemente inique. Senza contare la pessima nomea che l’Italia si procura all’estero per quello che verrà certamente percepito come una trappola e un atto di pura rapacità fiscale.

A proposito, lo sapevate che chi realizza plusvalenze milionarie in Borsa non è tenuto a pagare neanche un centesimo d’imposta?

Allegri ragazzi, giustizia è fatta.

Giovanni Romano