domenica 24 febbraio 2013

Sommessa risposta a Corrado Guzzanti

Tempo  fa, ho trovato su Facebook questo intervento di Corrado Guzzanti che riporto di seguito. Mi sembra lo spunto per discutere di cosa sia oggi l'offesa al senso religioso, e di come rispondere a certe provocazioni.

In merito all'offesa confesso di non capire esattamente cosa sia il "sentimento religioso" perché sfortunatamente non ne sono dotato. Ho sempre pensato che essere intimamente credenti non possa essere troppo diverso dall'essere intimamente liberali, o socialisti, o vegani. Si tratta di amare e riconoscersi in delle idee, in una visione della società e del mondo, e le idee non sono sacre e intoccabili solo perché noi crediamo così fortemente in esse; vivono nel dibattito pubblico, confrontandosi e dovendo convivere con idee diverse e a volte opposte. Spero di non offendere nessuno se affermo che l'esistenza di un creatore, l'inferno, il paradiso, l'immortalità dell'anima, il giorno del giudizio ecc. siano, fino a spettacolare prova contraria, soltanto delle idee, delle opinioni che si è liberissimi di sostenere purché non si tenti di imporle agli altri come un tabù inviolabile. Che il sentimento religioso non possa reclamare una superiore legittimità, perché supportato, mi dicono, da pervasiva e speciale intuizione, appare evidente dal fatto che le credenze religiose sono tante, più di quelle da cucina dell'Ikea, e producono purtroppo affermazioni contrastanti. Un buddista e un cattolico, egualmente persuasi della loro fede, saranno certi di saperla molto lunga sull'origine e il senso dell'uomo e dell'universo, ma almeno uno di loro, al momento del trapasso, avrà una sorpresa. Ciò dovrebbe suggerire che convinzione "sentimentale" profonda e verità siano sostanzialmente due cose diverse.
(Corrado Guzzanti)

L'ateo è colui che non crede a nulla
e pretende che gli altri credano a lui”

Non riconosco a Corrado Guzzanti alcun coraggio morale, ma una notevole dote di furbizia sì. Con il brano che ho citato mette sapientemente le mani avanti per proteggersi dall'accusa di “offesa al sentimento religioso” (e specialmente al sentimento religioso cristiano, anche se non lo afferma esplicitamente. Offendere altri sentimenti religiosi come ad esempio quello islamico può costare molto, molto di più). E non fa queste dichiarazioni soltanto per sé: la sua è una vera e propria teorizzazione del disprezzo antireligioso che prima o poi dovrebbe diventare – anzi sta già diventando – dottrina politica fino a istituzionalizzarsi in norma giuridica, in modo da mettere al riparo chiunque, à la Odifreddi, affermi che il cristiano è un imbecille tout court.

Andiamo però a vedere cosa c'è dietro le sue affermazioni, esaminandole una per una.

In merito all'offesa confesso di non capire esattamente cosa sia il "sentimento religioso" perché sfortunatamente non ne sono dotato.

Prima di tutto si parte da un equivoco, certo deliberato: che la religione sia soltanto sentimento, o peggio ancora sentimentalismo. Lui afferma di esserne “sfortunatamente” privo, ma non si evince che ne senta la mancanza, anzi piuttosto il contrario. Un po' come essere privi di orecchio musicale o di sensibilità per la poesia: un piccolo difetto forse, ma si vive benissimo lo stesso.

Ho sempre pensato che essere intimamente credenti non possa essere troppo diverso dall'essere intimamente liberali, o socialisti, o vegani. Si tratta di amare e riconoscersi in delle idee, in una visione della società e del mondo, e le idee non sono sacre e intoccabili solo perché noi crediamo così fortemente in esse(...) Ciò dovrebbe suggerire che convinzione "sentimentale" profonda e verità siano sostanzialmente due cose diverse.

Il sentimento religioso, come lui lo intende, è qualcosa che ci si forma da sé a forza di autosuggestione, così che tanto più è fermamente creduto tanto maggiore è la prova della sua falsità. Un bel sofisma, ma non è niente altro che il vecchio giochetto laicista del “testa vinco io, croce perdi tu”: se non si crede abbastanza si è ipocriti, e se si convinti si è fanatici. In ogni caso quel che interessa al laico è affermare spocchiosamente la propria “superiorità”.

Ma il “sentimento” religioso è tutto qui, una convinzione totalmente irrazionale e arbitraria? E se per assurdo lo fosse, bisognerebbe almeno chiedersi da cosa nasce e perché. Nemmeno le peggiori crisi di follia nascono totalmente nel vuoto, alla base c'è pur sempre un motivo reale, e ad essere aberrante è la risposta, non la domanda. Qui è in gioco la spinta irresistibile, costitutiva dell'uomo a chiedersi perché, a porsi domande, a interrogarsi sul significato di ogni cosa. Anziché banalizzare la questione a “sentimento religioso” come fa Guzzanti, sarebbe più corretto parlare di senso religioso come fa Don Giussani: il bisogno che ha ciascuno di trovare un significato, anche inconscio, per cui valga la pena vivere i cinque minuti successivi della propria vita. In questo senso, come Giussani nota acutamente, l'ateismo in senso etimologico è impossibile.

Che il sentimento religioso non possa reclamare una superiore legittimità, perché supportato, mi dicono, da pervasiva e speciale intuizione, appare evidente dal fatto che le credenze religiose sono tante, più di quelle da cucina dell'Ikea, e producono purtroppo affermazioni contrastanti.

Qui siamo ancora sul terreno di Guzzanti che usa un argomento tipico dell'illuminismo: la varietà delle credenze religiose, molte delle quali si contraddicono a vicenda, non è forse una prova ulteriore della loro falsità, o quanto meno della loro soggettività? Osservo di passaggio che paragonare il numero delle credenze religiose a quelle dell'IKEA non è tolleranza, è disprezzo, più o meno come quello di Anatole France quando scrisse che “chiunque è libero di inginocchiarsi davanti a una cipolla alle quattro del mattino e chiamarla il suo dio”. Come se il senso religioso non avesse nulla a che vedere con la ragione in quanto tale! In questo modo si liquida sbrigativamente tutto il patrimonio di riflessione filosofica, di poesia, di arte, di preghiera che esso ha generato ovunque, anche se sarebbe probabilmente troppo pretendere da Guzzanti un approfondimento culturale in questo senso.

Ci sono due risposte al suo argomento. La prima è: quale religione, o meglio quale atteggiamento di fronte all'esistenza corrisponde di più ai bisogni fondamentali dell'uomo? Una religione che dà per scontato che alcuni esseri umani, bambini compresi, debbano essere sacrificati per placare l'ira degli dei, oppure una religione che li mette addirittura al primo posto? (“Se non ritornerete come bambini...”). Una religione che predica l'odio e la sottomissione contro gli “infedeli” kafir oppure una religione che ingiunge di amare anche il nemico (Guzzanti compreso)? Un modo di pensare laicista che considera “altruista” e “pietoso” dare la morte ai malati oppure una religione che non li abbandona e cerca di alleviare le loro sofferenze?

La seconda risposta è che il cristianesimo, prima ancora di essere una teoria, è un avvenimento storicamente verificabile. Non sto qui a riassumere le testimonianze degli storici, numerose e inconfutabili (i primi vangeli risalgono ad appena trent'anni dopo la crocifissione, mentre per la vita di Alessandro Magno scritta da Plutarco bisognò attendere oltre 400 anni). Basta anche chiedere a qualunque docente di antropologia culturale o di storia delle religioni quanto sia fondamentalmente inspiegabile la nascita e soprattutto la diffusione del cristianesimo nel mondo antico. Ida Magli scrisse che qualunque personaggio storico si può comprendere con le categorie del proprio tempo, tranne Cristo. Il suo messaggio è assolutamente nuovo e diverso rispetto a tutte le idee correnti nel mondo giudaico e pagano, è imparagonabile con qualsiasi altra dottrina insegnata prima, eppure si diffuse con una rapidità stupefacente, e non soltanto tra gli schiavi. E qui si trova implicitamente la risposta a un'altra osservazione di Guzzanti:

le idee non sono sacre e intoccabili solo perché noi crediamo così fortemente in esse; vivono nel dibattito pubblico, confrontandosi e dovendo convivere con idee diverse e a volte opposte.

Appunto. Il cristianesimo visse e si confrontò nel dibattito pubblico, un dibattito pubblico che cercò di emarginarlo o con lo scherno indifferente (come capitò a San Paolo nell'Aeropago) oppure con la violenza delle persecuzioni. Tuttavia, senza appoggiarsi ad alcun potere, almeno nei primi secoli, il cristianesimo conquistò i cuori, le menti, le intelligenze di popolazioni sempre più vaste, fu trovato più umano e persuasivo, più vero della selva di religioni che popolavano il mondo pagano. Mi viene il sospetto che quando Guzzanti invoca rumore di fondo del dibattito pubblico lo faccia in realtà per non ascoltare, per non sentirsi interrogato da quel che non vuole sentire, per non essere costretto a porsi la domanda: “E se avessero ragione?” e dunque per non cambiare vita di conseguenza, in quanto nel cristianesimo dottrina e vita sono tutt'uno. È questo, in fondo, quel che dà fastidio a chi non crede: dover prendere posizione, non poter scegliere a proprio comodo e secondo la propria personale convenienza, doversi confrontare – questo sì, e non teoricamente – con il Realmente-Altro.

Spero di non offendere nessuno se affermo che l'esistenza di un creatore, l'inferno, il paradiso, l'immortalità dell'anima, il giorno del giudizio ecc. siano, fino a spettacolare prova contraria, soltanto delle idee, delle opinioni che si è liberissimi di sostenere purché non si tenti di imporle agli altri come un tabù inviolabile. (…) Un buddista e un cattolico, egualmente persuasi della loro fede, saranno certi di saperla molto lunga sull'origine e il senso dell'uomo e dell'universo, ma almeno uno di loro, al momento del trapasso, avrà una sorpresa.

Se Guzzanti avesse letto il Card. Biffi si sarebbe probabilmente risparmiato questa osservazione, perché è stato proprio questi a scrivere: “Il credente è uno che si aspetta molte sorprese”. Bisogna vedere però quali sorprese. Se ha ragione il buddista, nella migliore delle ipotesi ci aspetta il Nirvana, cioè un indeterminato Nulla o un Tutto ugualmente indeterminato: in entrambi i casi, però, l'io non c'entra più nulla con l'essere. Se ha ragione il cattolico, troverà un mondo notevolmente più vario, animato e gioioso (se va in paradiso) oppure molto, ma molto doloroso (se va all'inferno). In ogni caso un mondo nel quale la sua individualità non scomparirà, ma conoscerà la verità.

E se fossi in Guzzanti starei attento a chiedere “spettacolari prove contrarie”. Primo perché mi ricorda sgradevolmente quel che i farisei dissero a Cristo sulla croce (“Avanti, scendi che ti crediamo!”, e l'avevano visto risuscitare Lazzaro!). Secondo, perché Cristo stesso rifiutò di dare spettacolo dei propri poteri (“Se sei figlio di Dio, buttati giù che verranno gli angeli a sorreggerti”). Terzo, infine, perché se proprio si insiste Dio potrebbe mandarci una “spettacolare prova contraria” come quella che capitò a Sodoma e Gomorra...

Giovanni Romano

martedì 5 febbraio 2013

Scusi, mi fa vedere l'apertura mentale?

Molto tempo fa, addirittura il 4 dicembre del 2006, rilanciai un appello contro il gioco Rule of Rose perché particolarmente sadico e violento. Lo feci con tanta più convinzione perché avevo letto le recensioni sulla stampa specializzata (la rivista Computer Idea, non certo di area cattolica).

Il post giacque dimenticato per altri anni, fino a quando si vece viva una blogger, una certa "Queer" (un soprannome non certo scelto a caso) che mi mandò questo commento (potete trovarlo anche sul post originale):

Credo che la vostra sia solo ignoranza, ben miscelata ad una dose sovrumana di pregiudizi.
Io ho giocato a questo gioco e sono fiera di dirvi che si tratta di una sottilissima analisi psicologica di temi assolutamente delicati e veritieri. Non c'è niente di più perverso rispetto a ciò che accade realmente ovunque, nella realtà di tutti i giorni. A questo punto, i vostri cari pargoletti potete ibernarli e scongelarli tra qualche secolo, se ritenere un gioco simile la quint'essenza dell'orrore e della violenza. 
Aprite gli occhi. E la mente.
Sul serio.
Al che io risposi:

Ti faccio una domanda senza ironia: e ti prego di rispondermi seriamente: qual è la "sottilissima analisi psicologica di temi assolutamente delicati e veritieri" che hai trovato in questo gioco? Ti ringrazio in anticipo.

A parte gli insulti gratuiti e l'arroganza, sono almeno sei mesi che attendo una risposta. Che non è mai arrivata.

Giovanni Romano