domenica 30 agosto 2015

Saviano e i conigli di Trilussa

Roberto Saviano non perde mai occasione per impancarsi a maestro col ditino alzato, specialmente quando si tratta di difendere le cause più aberranti e antiumane (le droga libera, l'eutanasia, l'istigazione all'odio e all'aggressione contro le Sentinelle in Piedi). Stavolta è intervenuto sulla tragica vicenda di Anatoly Karol, un ucraino di 38 amni ucciso a Castello di Cisterna (NA) perché aveva cercato di opporsi a una rapina. I banditi non solo gli hanno sparato ma hanno bestialmente infierito su di lui che aveva con sé la sua bambina di pochi anni.

Eco come Saviano ha letto la vicenda:

Non ha fatto notizia. A parte qualche veloce lancio ai Tg o qualche riga sui giornali, nessun commento importante. Anatoly Karol aveva 38 anni e sabato era con la sua bambina di un anno e mezzo a fare la spesa in un supermercato di Castello di Cisterna, in provincia di Napoli. All'improvviso due malviventi hanno fatto irruzione nel locale per una rapina. Anatoly ha cercato di sventarla, ma gli hanno sparato davanti alla figlia e poi hanno infierito su di lui con un'arma contundente. È morto quasi subito.
Anatoly era ucraino. Se fosse stato il contrario, se l'ucraino fosse stato il rapinatore, oggi su questo caso avremmo avuto molta più attenzione, raccolte di firme, cortei.

Sarebbe un intervento condivisibile se non fosse viziato da un equivoco di fondo, di cui anche Saviano è responsabile. Tutto preso dal sacro fuoco antirazzista, ha dimenticato che gli italiani non reagiscono alle rapine almeno per due motivi. 

Il primo è il rischio di ritrovarsi colpevoli per essere intervenuti con la forza, specialmente quando all'aggressore derivano lesioni o morte, È vero che l'articolo 86 n.1 del Codice Penale riconosce l'attenuante (si badi bene, l'attenuante, il che significa che si rischia ugualmente il carcere!) "per avere agito in base a motivi di particolare valore morale e sociale", tuttavia chi ha avuto l'esperienza di essere intervenuto con la forza per sventare un reato si è lamentato di aver subito processi su processi ed essersi dovuto difendere quasi fosse il colpevole, comprese ovviamente le ingenti spese processuali.

Il secondo è la mentalità buonista che è stata diffusa, per cui il delinquente, il criminale è sempre "una-vittima-della-società", e come tale da "capire", quasi che dovesse andare esente dalle conseguenze del suo reato. Come scriveva il Cardinale Giacomo Biffi in un libro bellissimo e ormai introvabile (La Bella, la Bestia e il Cavaliere), abbiamo ormai più "comprensione" per Caino che per Abele. La conseguenza, tutt'altro che innocua, è il buonismo che imperversa nella scuola, nei media, del discorso pubblico. Appendiamo ai balconi le Bandiere della Pace, organizziamo Marce della Pace, ai bambini si fanno imparare le Canzoncine della Pace... ci sarebbe da meravigliarsi davvero se dopo questo lavaggio del cervello qualche italiano trovasse l'energia per battersi!

A differenza di noi italiani inebediti e devastati dal pacifismo e dal relativismo morale, gli stranieri hanno ancora conservato il senso del bene e del male, e quando vedono il male reagiscono. Ricordo ancora un coraggioso senegalese che fu ucciso in un negozio nelle stesse circostanze del povero Anatoly Karol, e per lo stesso motivo. Prima di scandalizzarsi a tempo perso, Saviano dovrebbe ricordare una poesia di Trilussa, Er Leone e er Conijo, che bolla il suo moralismo di comodo con questi versi fulminanti: 

"E comme voi 
che s'improvisi un popolo d'eroi
dov'hanno predicato li coniji?".

Giovanni Romano

venerdì 21 agosto 2015

Welby e Casamonica: una ignobile strumentalizzazione

La Chiesa è dura dove gli uomini la vorrebbero tenera,
 e tenera dove gli uomini la vorrebbero dura.
 T. S. Eliot



 In queste ore i media stanno tracciando con deliberata malafede un parallelo assurdo tra due vicende che in realtà non hanno alcun collegamento: il suicidio di Piergiorgio Welby e i faraonici funerali del boss Casamonica. Come mai, ci si chiede, la stessa parrocchia che negò i funerali religiosi a un malato terminale li ha invece concessi a un boss della mala, e per giunta in una forma così ostentata da essere una beffa verso le istituzioni e una prevaricazione contro la città di Roma?

L'accostamento è assurdo e strumentale. Il suo unico scopo è di accreditare l'eutanasia e gettare ulteriormente fango contro la Chiesa . Ma vediamo di fare un po' di chiarezza. Che io sappia, Welby era un ateo convinto, e non gli venne mai in mente di chiedere i funerali religiosi. Fu la famiglia a insistere per ottenerli (probabilmente su istigazione del Partito Radicale) anche come ultimo sfregio e provocazione contro la Chiesa che si è sempre opposta all'eutanasia. Anche allora il parroco fece la figura del Don Abbondio perché dichiarò che gli era stato proibito di celebrare i funerali religiosi "su ordine del Cardinale Vicario" (a quell'epoca era Ruini). Una figura meschina la sua, perché un sacerdote cattolico dovrebbe sapere da sé che non si devono celebrare i funerali religiosi di un suicida che non si pente e per giunta rivendica il suo gesto come se fosse un valore. Non c`era bisogno di nascondersi dietro la tonaca del Cardinale!

Nel caso Welby, tutta la vicenda fu gestita da una regia accorta e orribilmente cinica. A cominciare dalla continua, insistente rivendicazione di morire, dalle interviste concesse a Welby attaccato alla macchina (Qualche lettore di Avvenire si illuse piamente che quelle interviste fossero "una richiesta di aiuto", ma lo sguardo duro e freddo di Welby esprimeva soltanto una volontà caparbia di autodistruzione, un rancore totale verso la vita), dal gesto di "disobbedienza civile" del medico che lo uccise (e che poi fu trionfalmente assolto dalla stessa magistratura che ha demolito la legge 40) fino alla data scelta per il suicidio: la vigilia di Natale, in pieno e consapevole sfregio al cristianesimo, in modo da gettare l'ombra della morte e dell'ultimo arbitrio umano sulla festa della speranza e del dono gratuito di Dio. E in effetti quello fu uno dei miei più tristi Natali, perché sentii con chiarezza (e oggi lo sento ancora di più) che da quel momento in poi noialtri esseri umani ci saremmo allontanati ulteriormente l'uno dall'altro, e che invece di aspettarci normalmente pietà e solidarietà dal prossimo ci saremmo dovuti aspettare indifferenza e abbandono.

Quanto ai funerali religiosi platealmente rivendicati quasi che Welby fosse un martire, l'unico che disse una parola chiara fu Mons. Fisichella quando rispose seccamente: "La Chiesa non è un Bancomat". Fu lui a salvare non solo la dignità della Chiesa, ma la stessa dignità del vivere e del morire. Non so, obiettivamente, se queste parole sarebbero ancora pronunciate con l'attuale andazzo ecclesiastico di una "misericordia" senza giustizia e soprattutto senza verità.

Veniamo adesso ai funerali di Casamonica. Una pacchianeria sconcertante, un'ostentazione arrogante e cafona, la più totale caricatura della solennità. Ma soprattutto (e in questo i funerali di Casamonica si sono accostati realmente a quelli laici di Welby, tenuti provocatoriamente davanti alla sua parrocchia) un atto di forza per mostrare a tutti chi comanda veramente a Roma. Il che dovrebbe suscitare domande quanto meno sulle radici del consenso popolare. Perché tanta folla? Legami tribali, che si sono dimostrati ben più solidi del nostro individualismo spappolato? Solo intimidazione e paura, oppure una sorta di ammirazione perversa verso un Capo? Che ci piaccia o no, la maggior parte di noi non segue né la ragione né le belle parole ma soltanto la forza. Uno stato che rifiuti programmaticamente di usarla contro i prepotenti si espone a queste umiliazioni. È stata la piena sconfitta del nostro buonismo.

Anche in questo caso l'atteggiamento del parroco è stato pilatesco: “Quello che avviene al di fuori della chiesa non mi riguarda”. Nemmeno quando manifesti oltraggiosi di cui alla foto sono stati appesi alle mura della sua parrocchia? È indubbiamente un momento grave per la Chiesa, che sembra incapace di dire parole chiare sul bene e sul male. Appiattirsi sui criteri del mondo le porta ancora più ostilità e disprezzo.

Detto questo, tuttavia, non si possono paragonare né accostare vicende così diverse se non per malafede. Welby si è suicidato in odium fidei, senza mostrare né tentennamenti né pentimento, rivendicando anzi il suo gesto contro tutto e tutti. Peggio ancora, ha consapevolmente aperto la strada all'abbandono terapeutico e all'eutanasia. Non sappiamo come sia morto il boss Casamonica ma data l'ostentazione di santità c'è da dubitare che si sia veramente pentito. Però il suo funerale non si è posto contro la Chiesa in quanto tale. Ne ha calpestato la dignità e ha strumentalizzato un rito che doveva essere sobrio e non sfacciato, ma non lo ha stravolto, non lo ha piegato alla causa della morte.

I moralisti a un tanto al chilo abbiano almeno il pudore di tacere.

Giovanni Romano

giovedì 13 agosto 2015

Nagasaki, la città che non doveva essere bombardata

Lo scorso 9 agosto e` stato commemorato il 70esimo anniversario dello sgancio della seconda bomba atomica su Nagasaki, e come da molti anni ormai tornano a girare in Rete deliranti teorie cospirative secondo le quali questa citta` fu bombardata perche` ospitava la piu` numerosa comunita` cattolica del Giappone. Si sarebbe trattato dunque di un atto di odio e di intimidazione verso il Vaticano, "reo" di aver mantenuto la sua indipendenza verso gli Alleati laici e massoni ecc. ecc.
Di questa aria fritta si e` fatto interprete purtroppo anche un giornalista come Renato Farina. Mi dispiace per lui, ma le teorie della cospirazione anticattolica non hanno il benche` minimo fondamento, sono pura farneticazione ideologica, allo stesso livello di quelle secondo cui l'Ammiraglio Yamamoto progetto` l'attacco a Pearl Harbor su ordine del Vaticano perche` da ragazzo aveva frequentato una scuola cattolica (fatto non confermato da nessuna sua biografia).
Tanto per cominciare, Nagasaki non faceva nemmeno parte, inizialmente, della lista delle città giapponesi scelte come obiettivo di un attacco atomico. Tale lista comprendeva cinque città : Kokura (sede della più importante fabbrica di munizioni del Giappone), Hiroshima (porto di primaria importanza, grande centro industriale e sede di comando del II° gruppo di armate), Yokohama (fabbriche aeronautiche, utensili, magazzini, equipaggiamenti elettrici e raffinerie di petrolio), Niigata (porto, impianti industriali, fabriche di alluminio e raffinerie di petrolio), Kyoto (centro industriale e culturale di primaria importanza). Tutte queste città avevano in comune alcuni requisiti che gli americani avevano stabilito per renderle obiettivi di un attacco atomico:
  1. Dovevano avere un'area urbana con un diametro maggiore di 4,8 Km;
  2. Lo scoppio avrebbe dovuto coinvolgere l'area abitata e industriale più ampia possibile:
  3. La città non doveva essere stata attaccata in forze prima dell'agosto 1945. Per questo le cinque città dell'elenco furono scientemente risparmiate dagli attacchi convenzionali: si dovevano studiare il più accuratamente possibile gli effetti di una esplosione atomica.

Basterebbe questo a demolire tutte le teorie complottiste. Ma il destino si accanì davvero contro Nagasaki. Prima di tutto, grazie alle insistenze del ministro della guerra Henry L. Stimson, Kyoto venne cancellata dalla lista degli obiettivi perché Stimson vi aveva trascorso la luna di miele anni prima, e Nagasaki prese il suo posto (base navale, cantieri Mitsubishi, fabbriche di armi e munizioni). (Per chi conosce l'inglese, ecco il link dove trovare tutte queste informazioni: http://tinyurl.com/7na63kt
In secondo luogo, il 9 agosto del 1945 Nagasaki non sarebbe dovuta nemmeno essere bombardata perché l'obiettivo principale era un altro. La storia di quel tragico bombardamento che il destino volle a tutti i costi è raccontata nel libro (ormai troppo datato, tuttavia), La guerra del Pacifico di Bernard Millot alle pagine 981-986. La seconda missione atomica fu assai piu` drammatica di quella dell'Enola Gay, e rischiò piu` volte il fallimento. Lascio la parola a Millot per la descrizione di ciò che avvenne veramente quel giorno su Nagasaki, ma con una importante avvertenza:
Il B.29 che sganciò la bomba atomica su Nagasaki non si chiamava The Great Artist(1) ma Bokscar (The Great Artiste accompagnò entrambe le missioni atomiche perché portava apparecchiature di misurazione degli effetti dell'esplosione e delle radiazioni). Tutti i riferimenti al Great Artiste devono quindi intendersi per Bokscar.
[I neretti che evidenziano i punti salienti sono miei.]
(...) Lo stato maggiore americano fu quindi costretto ad attuare la minaccia e diede l'ordine di effettuare il secondo bombardamento atomico della storia. A Tinian, gli specialisti avevano modificato un altro B.29 del DIX Gruppo, il n.77, battezzato dal suo equipaggio The Great Artist(1), dotandolo delle stesse apparecchiature speciali e degli stessi strumenti di controllo montati precedentemente sul B.29 n.82 Enola Gay.
Nella serata dell'8 agosto tutti i lavori di apprestamento vennero completati. L'equipaggio fu informato dei particolari della missione da compiere senza pero` che si precisasse agli uomini la natura della bomba trasportata. In realta`, nessuno di loro si lascio` ingannare, in quanto dalla precedente incursione solitaria erano filtrate numerose informazioni.
L'equipaggio del Great Artist si trovava ancora nella sala dei briefings, quando il cielo venne striato la lampi arancione. Il maltempo complicava la missione, e forse poteva addirittura comprometterla. Verso le 3, in ogni modo, l'equipaggio sali` a bordo e, poco dopo, i motori si misero in moto con un rombo possente. Il maggiore Charles W. Sweeney esegui` le consuete verifiche, procedette alle ultime regolazioni e, alle 3,45, il grande apparecchio si lancio` sulla pista.
Il quadrimotore prese quota e penetro` quasi subito in una zona temporalesca con forti turbolenze. Il pilota zigzago`, cercando senza posa di aggirare le masse nuvolose piu` fitte che apparivano di quando in quando, illuminate da lampi furtivi ma numerosissimi. La pioggia crepitava sulle lamiere e striava i vetri della cabina di pilotaggio rendendo l'aereo cieco in una notte nera come l'inchiostro. Quel volo era spossante e le numerose deviazioni causavano un imprevisto consumo di benzina.
Finalmente, verso le 5, il Great Artist usci` dalla zona temporalesca e penetro` all'improvviso in un cielo completamente sereno, nel quale, a oriente, gia` si scorgevano le prime luci dell`alba. Poco dopo le 7, la radio si mise in ascolto degli altri due bombardieri incaricati di segnalare le condizioni meteorologiche sugli obiettivi prescelti, ma l'etere era stato invaso da un potente ed efficacissimo disturbo giapponese che agiva sulle frequenze impiegate abitualmente dagli americani.
La radio scoppietto` parecchie volte, ma rimase completamente inaudibile. Era disperante perche`, quanto piu` l'apparecchio si avvicinava al Giappone, tanto piu` i disturbi si intensificavano, e sembrava ormai chiaro che non sarebbe stato possibile ricevere le attese informazioni. Il radiotelegrafista, pero`, riusci` a captare un messaggio abbastanza potente per emergere da quel caos radiofonico, e capi` che il tempo era buono sull'obiettivo numeno uno, vale a dire la citta` di Kokura. Pochi minuti dopo, il secondo bombardiere fece capire che le condizioni atmosferiche erano soddisfacenti sopra l'obiettivo numero due, e cioe` la citta` di Nagasaki. Il maggiore Sweeney decise di attaccare in base alla prima informazione e porto` l'apparecchio nella direzione della citta` di Kokura. Il dado era tratto. Gia`, all'orizzonte, si intravedeva la citta`, chiazza chiara nel bel mezzo di un oceano di vegetazione verde-scura. Sul quadrimotore tutto era in ordine, l'ordigno denominato "Fat Man"(2), piu' tondo e piu` panciuto di "Little Boy", era stato innescato da qualche minuto e l'equipaggio aveva inforcato gli occhiali scuri. Di li` a pochi secondi, ormai, la nuova bomba atomica avrebbe raso al suolo una seconda citta` giapponese.
Nagasaki... per caso!
Nel muso a vetri del Great Artist, il puntatore aveva regolato l'apparecchiatura di mira e fatto apportare i piccoli cambiamenti di rotta che facevano coincidere esattamente l'asse di volo dell'apparecchio con il centro di Kokura. Aveva gia` calcolato il momento dello sgancio e stava contando i secondi quando, a un tratto, impreco`. Una nube si trovava subito al di sopra della citta` e impediva, per conseguenza, il bombardamento a vista ordinato formalmente. Il maggiore Sweeney fece virare il pesante apparecchio e segui` un ampio cerchio per eseguire un nuovo passaggio sotto un altro angolo. Le operazioni per regolare lo sgancio ricominciarono, ma la nuvola era sempre li`, e addirittura si stava ingrandendo.
Per due volte il quadrimotore torno` sopra la citta` e per due volte si dovette rinunciare a causa del progressivo ispessimento della formazione nuvolosa. La tensione a bordo era al culmine, tanto piu` che la contraerea giapponese cominciava a sparare con precisione e che le riserve di carburante stavano diminuendo pericolosamente.
Sweeney riflette` sul da farsi: bisognava insistere e sperare che la maledetta nuvola si dileguasse oppure prendere la decisione di affrettarsi sull'altro obiettivo segnalato? Le riserve di benzina avrebbero consentito una cosi` lunga deviazione? In un caso come nell'altro, la decisione era gravida di conseguenze: su Kokura sarebbe stato senza dubbio necessario decidersi a sganciare la bomba ricorrendo agli strumenti, disubbidendo agli ordini formali ricevuti, ma, dirigendo su Nagasaki, si sarebbero compromesse inevitabilmente le probabilita` di un ritorno alla base. Trascorsero cosi` lunghi secondi che parvero interminabili, ma in ultimo Sweeney diede l'ordine di bombardare Nagasaki. Gli abitanti di Kokura dovevano la vita, senza saperlo, a innocenti formazioni nuvolose.
Il pesante bombardiere segui` la nuova rotta e, poco dopo, Nagasaki apparve all'orizzonte. Il puntatore ricomincio` daccapo con i calcoli e con le operazioni preliminari, ma si accorse ben presto che anche la` nubi andavano formandosi sopra la citta`. Si lagno` di una simile sequela di contrattempi. Gia` numerose esplosioni della contraerea circondavano molto da vicino il Great Artist e gli uomini dell'equipaggio avevano la faccia imperlata da grosse gocce di sudore. Tutti si rendevano conto del dramma del comandante e delle difficolta` del problematico ritorno alla base.
L'apparecchio si stava avvicinando al punto calcolato per lo sgancio, quando, a un tratto, il puntatore scorse uno squarcio nelle nubi attraverso il quale si vedeva chiaramente il centro della citta`(3). Conto` allora gli ultimi secondi, gli uomini dell'equipaggio tornarono a mettersi gli speciali occhiali e, alle 12,01, il B.29 si sollevo` nettamente mentre "Fat Man" precipitava.
Il maggiore Sweeney esegui` una rapida virata e si allontano` alla massima velocita`. Quel che accadde allora somiglio` a quanto era accaduto tre giorni prima su Hiroshima. La luce dell'esplosione fu pero` ancora piu` abbacinante e le onde d'urto scossero molto violentemente l'aereo che si stava allontanando velocissimo. L'enorme fungo che si alzo' verso il cielo assunse colorazioni purpuree, gialle, verdi. Molto piu` in basso, si scorgeva un mare di fiamme che inondava tutta la citta`.
Gli uomini distolsero addolorati lo sguardo da quella visione orrenda e dovettero affrontare un altro problema angoscioso, quello del ritorno. Dopo l'enorme consumo di benzina causato dai tentativi infruttuosi di Kokura, e la lunga deviazione per portarsi sopra Nagasaki, non restava altra alternativa se non sperare di poter raggiungere la piu' vicina base amica: Okinawa. E non era ancor detto che l'apparecchio ce l'avrebbe fatta ad arrivare sin la`.
Dopo un lungo volo sul mare, la radio chiamo`, a piu` riprese, l'isola conquistata di recente, ma non ottenne alcuna risposta. Okinawa non riceveva i messaggi, oppure si trovava nell'impossibilita` materiale di rispondere.
Come ultima risorsa, il maggiore Sweeney decise di trasgredire alle piu` elementari norme di sicurezza e di atterrare a qualunque costo, pur sapendo che nessuna pista, a Okinawa, era in grado di accogliere un B.29. Era ormai questione di vita o di morte e non sarebbe stato possibile tentare un'altra deviazione. Il bombardiere si abbasso` e lancio` tutti i razzi che segnalavano una situazione di pericolo, affinche`, da terra, ci si rendesse conto del carattere disperato di quell'atterraggio eccezionale.
Il Great Artist si abbasso` ulteriormente, si mise sull'asse della pista piu` lunga, e alle 14 le ruote del carrello toccarono violentemente il terreno. Il grande bombardiere rullo` a lungo e si immobilizzo`, finalmente, a pochi metri appena dal termine della pista, con i serbatoi praticamente vuoti. Alle 17 il Great Artist, fatto il pieno, decollo` da Okinawa e inizio` il lungo volo di ritorno fino a Tinian, ove si poso` alle 23.
Ecco la descrizione della missione, dall'inizio alla fine. Da essa si deduce senza ombra di dubbio che:
  • Nagasaki non era l'obiettivo principale della seconda missione atomica, ma solo un obiettivo di riserva (e del resto, se gli USA avessero voluto dare una lezione al Vaticano, l'avrebbero probabilmente bombardata per prima, lasciando Hiroshima per seconda);
  • L'equipaggio del Geat Artist tento` per ben due volte di bombardare Kokura, e si risolse a bombardare Nagasaki solo perche` il primo obiettivo era diventati impraticabile
  • Alla base dei bombardamenti atomici vi erano considerazioni freddamente militari. Le considerazioni religiose non c'entravano praticamente nulla.

Si potrebbero fare due ulteriori considerazioni:
  • Gli americani possedevano ormai il completo dominio dell'aria sopra il Giappone. Nessun caccia, infatti (anche per la scarsita` di carburante) si levo` in volo per abbattere i bombardieri atomici, che del resto vennero scambiati per semplici ricognitori.
  • E` da rimarcare la particolare perizia dei piloti e dell'equipaggio del Great Artist che portarono a termine una missione lunghissima, molto faticosa, contrastata dagli eventi atmosferici e che poteva concludersi in modo disastroso. Il B.29 era un aereo di prestazioni straordinarie per l'epoca, ma stavolta l'equipaggio dovette portarle fino al limite.

Credete voi che queste razionalissime considerazioni faranno scomparire le assurde teorie sul bombardamento di Nagasaki? Nemmeno per idea. Internet e` uno specchio di Narciso dove ognuno vede riflesso quello che vuole vedere. Ma almeno io, nel mio piccolo, spero di aver contribuito alla verita` e di avere aperto gli occhi a chi avra` avuto la bonta` di leggermi fin qui.
Giovanni Romano
----------------------------------
1. "Il grande artista", in onore dei successi con le donne del capitano Kermit K. Beahan. [N.d.A.]. Il nome originale dell'aereo, comunque, è The Great Artiste, vedi questo link: https://en.wikipedia.org/wiki/The_Great_Artiste
2. "Grassone". [N.d.A.]

3. Altre fonti affermano che il cielo sopra Nagasaki era interamente coperto, e che il maggiore Sweeney decise di bombardare col radar assumendosi la responsabilita` di aver disubbidito agli ordini, data la difficile situazione del suo aereo. Questa seconda versione sembra confermata dal fatto che la bomba atomica manco` ampiamente il centro della citta` e che l'esplosione avvenne a ridosso di una catena di colline che schermo` in parte Nagasaki. Si spiegherebbe cosi' anche il numero relativamente minore di vittime - 23.753 morti e 43.020 feriti – contro i 92.233 morti e 37.425 feriti di Hiroshima.

giovedì 6 agosto 2015

Odio i portoni vetrati...

 ... e amo invece quelli antichi, di legno massiccio, che quando li richiudi dietro di te creano di colpo uno spazio di frescura, intimità e silenzio. 

Li amo perché proteggono dalla curiosità indiscreta di quelli che passano. Li amo perché non sono un transito distratto come quelli vetrati, ma un locale prezioso dove si può sostare e riprendere fiato anche per un solo istante. Fanno già parte della casa ma non sono ancora il pianerottolo, la porta, le stanze dove si combatte la battaglia quotidiana della sopravvivenza, con le sue preoccupazioni e le sue miserie.

Fortunato chi ci abita. Può dire di poter vivere almeno un pezzo di vita propria, sfugge alla trasparenza ossessiva di un mondo dove si viene controllati dallo stato, dal fisco e da Internet peggio che in Noi di Zamyatin o di Farenheit 451. Il portone solido è un sano confine, il confine che taglia fuori la vita pubblica e introduce in quella privata, contro la retorica bugiarda di un "mondo-senza-frontiere" dove chiunque si sente autorizzato a invaderci e venire a ficcare il naso nei nostri affari.


Giovanni Romano