domenica 11 giugno 2006

Carte sporche e coscienze pulite

Nel mio paese, almeno fino a qualche tempo fa, chi era tornato dall'emigrazione in un altro paese diceva spesso: "Ah, ma in Svizzera ti arrestano, se solo butti una carta per terra!". Agli occhi della buona gente questo rigore, evidentemente, era una grande prova di civiltà.

Questo dimostra, se non altro, che chi aveva potuto vedere il mondo non trovava più “naturale” la sporcizia e l’abbandono anarcoide caratteristici di certi paesi del Sud (ho conosciuto un anziano signore che ha avuto seri problemi di riadattamento dopo una vita di lavoro passata a Torino). Ma purtroppo dimostrava anche un grosso abbaglio, del tutto al di fuori dell’intuizione della gente semplice. Ammettiamo pure che in Svizzera, o in qualunque altro posto “civile”, la severità arrivi fino all’arresto di chi getta una carta per terra (a Singapore lo fanno per davvero). Ma come mai gli stessi svizzeri o gli stessi cittadini di Singapore che arrestano lo straniero “sporco” e “trasandato” aprono le porte del Grand Hotel al mafioso che ricicla montagne di denaro, quello sì veramente sporco?

E’ facile esercitare una severità draconiana contro gli sprovveduti, probabilmente gente indifesa socialmente ed economicamente. Ma forse sarebbe meglio che certi paesi “civili” guardassero un po’ meno alle carte sporche, e facessero più attenzione alle coscienze pulite.

Giovanni Romano

venerdì 2 giugno 2006

Abbiamo la Repubblica, ma non abbiamo le navi...


Approfittando della ricorrenza del 2 giugno, e lasciando perdere il modo in cui l'hanno celebrata, vorrei riflettere su una questione apparentemente marginale: la mancanza d’identità repubblicana delle nostre navi militari.

Mi spiego: dalla costituzione del Regno d’Italia fino alla proclamazione della Repubblica, il nome delle navi da guerra italiane era preceduto dalla sigla RM (Regia Marina). Dalla proclamazione della Repubblica in poi, la sigla è stata ovviamente tolta, ma senza trovare nessun altro equivalente. Così, ad esempio, l’incrociatore portaelicotteri “Garibaldi” è indicato solo come “Nave Garibaldi”.

Un po’ freddo, non vi pare? Perché non premettere, orgogliosamente, la sigla NR (Nave della Repubblica) al nome di ciascuna unità militare? O ci vergogniamo delle nostre forze armate, come fa la sinistra, salvo spedirle a combattere senza nemmeno dichiararlo, come D’Alema contro la Serbia?

Giovanni Romano

Il ruggito del coniglio

Da quasi un mese lo sento, verso mezzanotte. E con me lo sente tutto il quartiere. E forse lo sente tutta la città. Un urlo, l’urlo di una moto tirata esageratamente al massimo. Il ruggito rabbioso di una staccata, un rettilineo d’Estramurale a fulmine, una botta di frenata, l’urlo di un’altra staccata, più lontano, finché non svanisce. E poi di nuovo, all’improvviso, il gioco ricomincia. Ma per poco. Quasi mai oltre le due volte.

Sarebbe facile lamentarsi del chiassone, del disturbatore, chiedere l’intervento della PS, dei Carabinieri, dei Vigili Urbani, dell’esercito e dei paracadutisti. Ma chi c’è sopra quella moto, e cosa vuole dire con quei ruggiti notturni? Provocazione, solitudine, sfida, rabbia, bravata, senso di vuoto? Perché logorare un bel motore accelerando e decelerando all’impazzata? Perché non andare fuori città, e scatenare lì la moto in tutta la sua potenza?

Che domanda ingenua! Il Nostro forse non è un vero centauro. Non ama la moto, ma l’effetto che produce attraverso la moto. Fuori città non c’è nessuno, tutti quei ruggiti si perderebbero nel vuoto indifferente della notte deserta. Lui ha bisogno di noi, di un pubblico che deve ascoltarlo per forza. Ha bisogno di farsi sentire, di sentire lui quanto è bello e grosso e potente il suo giocattolo. Perché senza il suo giocattolo, chissà, nessuno si accorgerebbe che esiste. E’ sulla moto che si sente forte, forse perché il suo io è debole. Debole da far pietà, e lo dico senza disprezzo. Provo pietà per quelle bravate sempre uguali a se stesse, per quella moto che gira in tondo senza scopo, e per una vita che –s’intuisce- al di là del rumore con cui si tenta di soffocare l’inquietudine, si condanna anch’essa a girare in tondo senza scopo.

Giovanni Romano