venerdì 27 gennaio 2012

Contro l'Ungheria menzogne a sangue freddo - E l'Italia sta anche peggio

Stamane, in una trasmissione su Radio1 RAI, una giornalista ungherese denunciava la "censura sulla stampa" che sarebbe stata istituita nel proprio paese. Comprendo tanta indignazione. Ai suoi occhi, come a quelli dell'eurocrazia al potere, il governo Orban ha tre gravissime colpe:

  1. Ha fatto esplicito riferimento alle radici cristiane del paese nella sua Costituzione;
  2. Sempre nella sua Costituzione, ha solennemente proclamato il diritto alla vita del concepito;
  3. Ha un governo democraticamente eletto.
 Ma quella giornalista mentiva sapendo di mentire. Proprio oggi Reporters Sans Frontières ha pubblicato la mappa della libertà di stampa nel mondo, ripresa anche dal Daily Mail, che ha segnalato con preoccupazione una diminuzione della libertà di stampa negli USA e in Gran Bretagna.

Quello che c'interessa qui è però  la tabella allegata alla mappa con la graduatoria mondiale di tutti i paesi. E si fanno scoperte sconcertanti, non certo lusinghiere per l'Italia che si piazza al 61° posto, addirittura dopo la Bosnia-Erzegovina, e ben al di sotto dell'Ungheria (40° posto).


Cliccando per ingrandire l'immagine, si nota a colpo d'occhio che l'Ungheria è colorata di giallo (situazione "soddisfacente" anche se non proprio ottimale) mentre l'Italia scivola verso l'arancione ("Notevoli problemi"). Da notare che Reporters Sans Frontières non ha mai fatto sconti a nessuno. E nonostante questo la nostra stampa ha il coraggio di criticare il governo Orban!

Fino a che punto di mistificazione siamo arrivati! Basterebbe questo solo esempio a far capire quanto la nostra stampa, e in particolare quella di sinistra, è asservita ai veri poteri forti, e quale brutale schiacciamento di un paese libero si sta organizzando in queste ore da parte della cricca laicista di Bruxelles.

Giovanni Romano

Sessantamila persone, Dio mio, sessantamila!

Cinque anni fa, nell'ormai defunta (e rimpianta) libreria Anima Mundi qui a Corato, assistetti alla presentazione del libro della Dott.ssa Anna Zeligowsky, una farmacista ebrea i cui genitori, ebrei polacchi, furono gli unici superstiti delle rispettive famiglie durante la seconda guerra mondiale. Ciascuno dei due non sapeva nulla dell'altro. Ciascuno dei due riuscì a scampare per conto proprio allo sterminio. Si conobbero e si sposarono subito dopo la fine della guerra.
La madre e il padre lasciarono un diario della propria esperienza, e la figlia li ha uniti in modo tipograficamente molto originale: uno è capovolto rispetto all'altro, così che le narrazioni convergono anche materialmente verso il centro del libro.

Ma non fu questo che mi colpì, quella sera. Né furono le storie pur drammatiche dei suoi genitori, perché avevo ascoltato testimonianze anche più atroci. Fu un particolare apparentemente secondario, riportato quasi per inciso. Dal ghetto in cui viveva il padre della signora non si salvò quasi nessuno, furono uccise sessantamila persone.

Non so se riesco a descrivere l'effetto che mi fece quella frase. In quel momento mi si abbuiò la vista, vidi distintamente una folla che veniva verso di me e mi passava accanto senza fermarsi. Erano donne, uomini, bambini, vecchi. Nessuno parlava, nessuno correva. Tutti guardavano fisso davanti a sé, e dietro di loro c'era un'oscurità spaventosa, un buio assoluto. Sembravano emergere da quel buio per andare verso un altro buio ancora peggiore. Una folla di fantasmi condannati a morte.

Ecco, sessantamila persone è un numero che si può capire, che si può afferrare, che rende atrocemente visibile l'enormità del crimine commesso. Sessantamila persone è un paese dove ancora ci si conosce almeno di vista con tanti, un paese dove si parla col vicino, col vigile, si va a prendere il giornale dal giornalaio, si vede la madre di famiglia che batte i panni sul balcone, si guardano i bambini che tornano da scuola o il vecchio curvo con il bastone, è un paese dove si vede la gente nascere e morire e ciascuno ha un volto, fosse pure sepolto in un angolo della memoria. E tutto questo paese, tutte queste esistenze, assassinate in un colpo solo! Sessantamila persone!

Non sono mai riuscito né mai riuscirò a visualizzare sei milioni di persone. Sono una cifra troppo grande, che dà ragione al ributtante cinismo di Stalin: "La morte di un solo uomo è una tragedia. La morte di centomila persone è una statistica". Ma sessantamila è una ferita che mi brucia ancora adesso, non è possibile anestetizzarla in nessun modo. Sessantamila volti che non finiranno mai di interrogarmi.

Giovanni Romano

lunedì 16 gennaio 2012

Paranoia politicamente corretta

Ieri il Corriere della Sera riportava un'intervista alla titolare del Welfare, la signora Fornero. A parte le dichiarazioni alquanto scontate sul mercato del lavoro, sull'occupazione dei giovani, delle donne, dei cinquantenni e via dicendo, l'articolo si apriva mettendo in grande risalto una dichiarazione della ministra: "Non chiamatemi 'la' Fornero (...) Dite 'Fornero' e basta, così come dite 'Monti'". 

A me personalmente piacerebbe non nominare nessuno dei due, ma le parole della Fornero erano tutt'altro che un capriccio estemporaneo. Il Corriere commentava infatti con entusiasmo: "Non è una lezione di grammatica, ma un'esortazione anti maschilista quella del ministro del Lavoro Elsa Fornero, che ieri pomeriggio si è rivolta così a giornalisti e pubblico del Circolo dei lettori di Torino".

Ma da quando in qua menzionare uomo e donna è maschilista e offensivo? Dov'è finita la rivendicazione dell'identità femminile? L'essere umano con le sue specificità, la donna in particolare, è condannato a essere cancellato dietro la funzione che ricopre? E' un truismo notare che le parole della Fornero non fanno altro che subordinare la donna a modelli maschili e maschilisti. Sotto questo aspetto, il suo invito suona addirittura grottesco.

Dietro le parole della Fornero c'è un grigio conformismo politicamente corretto che sconfina quasi nella paranoia, come di chi si guarda nevroticamente dietro le spalle nel timore di essere colto in fallo. E questo timore appesantisce costantemente ogni discorso che diventa forzato e inquisitorio senza la scioltezza e la libertà che vengono dal vivere l'evidenza. E naturalmente è sottesa l'ideologia del gender dove l'uomo o la donna non esistono più, ma soltanto ruoli da ricoprire a piacimento da esseri asessuati o polisessuati.

Ma se censuriamo delle evidenze tanto elementari, cos'altro potrà salvarsi dal capriccio e dalla manipolazione, da discorsi falsi e falsificatori? Quanto a me non mi eserciterò a mentire a me stesso, e continuerò imperterrito a distinguere tra l'uomo e la donna. Con buona pace della signora Fornero e del signor Monti.

Giovanni Romano

domenica 15 gennaio 2012

500 visualizzazioni di troppo?

Chiedo un favore a chi visita il mio blog. Normalmente il numero di contatti quotidiani su questa pagina si aggira sugli 11-15, e 20 nei giorni di punta. Quando postai la traduzione dell'articolo su Rick Santorum (che infatti ora è il primo dei miei post più popolari) il numero dei contatti ebbe un'improvvisa, violenta impennata: oltre 500 in una sola volta. Ma non fu per l'argomento. Controllando la provenienza, mi accorsi che venivano quasi tutti da un sito russo di spamming e quasi certamente di hacking. 

Da quel momento, inoltre, per un paio di giorni mi è stato impossibile segnalare direttamente i miei posts su Facebook perché Blogger segnalava la presenza di un link a un sito sospetto di "sondaggi" online, che scoprii visualizzando il codice HTML della pagima. Oggi il problema sembra essere scomparso, ma "stranamente" sono scomparsi dal log anche quei 500 contatti anomali.

Si è trattato quasi certamente di un attacco informatico, non so se a me personalmente o a Blogger in generale. Vi chiedo di segnalarmi se visualizzando la mia pagina vi compaiono avvisi strani del tipo "Sei il milionesimo visitatore, hai vinto una BMW, clicca qui per ritirare il premio!"), finestre popup che rifutano di chiudersi oppure se il browser tenta di dirottarvi verso altri siti. Grazie per le segnalazioni.

Giovanni Romano

giovedì 12 gennaio 2012

Recensione - "Sposati e sii sottomessa" di Costanza Miriano

SPOSATI E SII SOTTOMESSA
Pratica estrema per donne senza paura

Che il libro di Costanza Miriano fosse controverso fin dal titolo me l'aspettavo, anche se il sottotitolo introduce già uno dei suoi principali leitmotive: una salutare, frizzante autoironia. Ma non mi aspettavo assolutamente il dibattito furioso, accanito, che si è scatenato su Facebook tra alcuni miei amici, tutti lettori di grande preparazione e di provata fede cattolica. Un dibattito combattuto a colpi di citazioni bibliche e magisteriali che è trasceso nel risentimento personale fino ad arrivare alle cancellazioni tra persone che si conoscevano e si stimavano da molto tempo.

Perché tanta asprezza? La querelle girava appunto intorno alla parola “sottomissione”, tra chi si ribellava all'idea che il libro reintroducesse il modello della famiglia patriarcale e del padre-padrone, e chi invece difendeva a spada tratta la famiglia “tradizionale” (in realtà, non c'è niente di “tradizionale” nella famiglia composta dall'uomo e dalla donna, ogni coppia ama per la prima volta, genera per la prima volta, sbaglia e si perdona per la prima volta).

In quel dibattito non ero intervenuto perché non avevo il libro, e anche per carenza di preparazione specifica sui documenti del Magistero. Ma ora che l'ho letto mi sento di esprimere un parere approfondito che quasi certamente scontenterà tutti, perché mi sembra che entrambe le parti, nel furore della polemica, abbiano perso di vista alcuni punti fondamentali.

Innanzitutto, chi si aspetta un arcigno trattato dottrinario, pesante, infarcito di citazioni libresche, resterà meritatamente deluso. Da molto tempo non mi capitava di leggere un libro fresco, brioso, pieno di spiritosa inventiva come questo. La Miriano, giornalista professionista, dimostra un notevolissimo talento nell'evocare a raffica un fuoco d'artificio di situazioni, di caratteri, di libri e di autori, accostando acrobaticamente i pannolini e San Girolamo, il biberon e Fred Buscaglione, il lavoro in TV e i compiti per casa dei bambini. In ogni frase si sente spumeggiare la vita. Osservo di passaggio che una simile capacità di guardarsi intorno e di notare tante cose è segno di una personalità molto libera e realizzata. La “sottomissione” di cui parla la Miriano non pare dunque avere effetti deleteri sulla creatività.

Ma con questo siamo ancora alla superficie. Dietro la felicità della scrittura e la brillantezza dello stile c'è un'ossatura estremamente robusta, delle convinzioni cattoliche molto profonde che costituiscono il vero pregio dell'opera. Più che sulla sottomissione, il libro ruota intorno a una constatazione molto semplice: l'uomo e la donna si realizzano nei rapporti, e possono realizzarsi pienamente solo in un rapporto definitivo di dono e di gratuità qual è il matrimonio. La prima parola non è infatti “Sottomettiti” ma “Spòsati”. Questo sembra essere sfuggito tanto a coloro che hanno criticato la Miriano quanto a quelli che hanno contrattaccato per difenderla forse con troppo zelo. Prima ancora che dosare i poteri e i doveri col bilancino, il matrimonio è anzitutto condivisione e accoglienza dell'altro così com'è, un cammino dove niente può essere dato per scontato ma che fa crescere man mano che si procede e si ha il coraggio della fedeltà. E la diversità dei sessi conduce alla diversità dei ruoli prima ancora che alla rivendicazione dei poteri.

Per questo ogni capitolo è introdotto da una lettera a un soggetto ben determinato e tratta un argomento ben determinato. Così, scherzosa nella forma ma ferma nella sostanza, la Miriano accompagna, suggerisce, esorta i suoi destinatari a prendere posizione di fronte alla loro vita, e farlo attraverso la strada di un legame certo e irrevocabile. I suoi consigli non potrebbero andare più controcorrente rispetto alla nostra cultura del disimpegno e della provvisorietà. Basti leggere le lettere all'amico che convive e rifiuta di sposarsi, a un'amica che passa da un uomo all'altro, alla coppia troppo perfetta che bastava a se stessa e si scopre in crisi, a un collega che non si decide ad avere bambini. Tutti richiamati alla bellezza della vita attraverso un impegno senza sconti con la realtà, ma sorretto da una serena fiducia in Dio. Tutta roba molto, ma molto indigesta per il “politically correct”.

Last but not least, un altro dei motivi profondi del libro – purtroppo passato del tutto sotto silenzio nella summenzionata polemica – è la fecondità. I bambini compaiono dappertutto nel libro, dalla prima all'ultima pagina. Il donarsi all'altro non è fine a se stesso ma, anche nella fatica, è per una gioia più grande, la gioia di una vita che cresce, da tutelare e da accompagnare. Non per niente le ultime pagine, dedicate al destino dei figli, sono le uniche dove si avverte una certa trepidazione.

Se un uomo leggesse le pagine della Miriano illudendosi di vedersi riverito e adulato come un sultano, è meglio che se lo scordi. Questo libro non è solo per donne senza paura, è anche per uomini senza paura. Senza paura di amare le proprie spose e di esserne amati, senza paura dei propri limiti e di quelli dell'altra, senza paura di addentrarsi nel tempo che passa, e senza paura di rivolgersi a un Altro per chiedere la forza di affrontare il cammino più decisivo della propria esistenza. Citando Chesterton, la Miriano sostiene che l'avventura più eccitante della vita non è la trasgressione ma l'ortodossia. Il matrimonio è veramente una pratica estrema, perché nella sua essenza è un'avventura che come unico limite ha solo la morte. E l'Autrice riassume tutta la grandezza e la dignità dirompente di questa avventura in una osservazione folgorante: “Che vivi a fare se non costruisci qualche cosa che ti superi?”.

Giovanni Romano

mercoledì 11 gennaio 2012

Storica sentenza della Corte Suprema: le organizzazioni religiose non sono obbligate ad assumere chi è contrario alle loro convinzioni

di Adam Liptak

WASHINGTON – In una decisione di grande importanza sulla libertà religiosa, la Corte Suprema ha riconosciuto per la prima volta una “eccezione di ministero” alle leggi sulla non-discriminazione nel posto di lavoro, affermando che le chiese e gli altri gruppi religiosi devono essere liberi di scegliere i propri responsabili senza interferenze da parte del governo.

“L'interesse della società nell'implementazione delle leggi sulla non discriminazione nel posto di lavoro è indubbiamente importante”, ha scritto il presidente John G. Roberts Jr. a nome dell'opinione unanime di tutta la Corte. “Ma lo è anche l'interesse dei gruppi religiosi a scegliere chi predicherà le loro convinzioni, chi insegnerà la loro fede, chi porterà avanti la loro missione”.

La sentenza ha dato solo poche linee guida sul modo in cui le corti debbano decidere chi dev'essere considerato “ministro del culto”, dichiarando che la Corte è stata “riluttante ad adottare una formula rigida”. Due opinioni concorrenti hanno offerto proposte contrastanti.

Il caso, Hosanna-Tabor Church vs. Equal Employment Opportunity Commission, n.10-533, è stato portato all'attenzione della Corte da Cheryl Perich, ex insegnante in una scuola di Redford, nel Michigan, parte del Sinodo della Chiesa Luterana del Missouri, la seconda maggiore denominazione luterana negli Stati Uniti. La Perich ha dichiarato di essere stata licenziata per aver perseguito una rivendicazione di discriminazione sul lavoro a motivo di una disabilità, la narcolessia.

La Perich ha insegnato in gran parte materie secolari ma ha anche dato lezioni di religione e ha frequentato la cappella con la sua classe.

“E' vero che i suoi doveri religiosi prendevano solo 45 minuti di ciascuna sua giornata lavorativa”, ha scritto il presidente Roberts, “e che il resto del tempo era dedicato a insegnare materie secolari”.

“La questione di fronte a noi, tuttavia, non è una di quelle che si possono risolvere col cronometro”, ha scritto.

Invece, la Corte ha preso in considerazione parecchi fattori. La Perich era un'insegnante “vocazionale” che aveva completato il corso di studi religioso e che la scuola considerava un ministro del culto. È stata licenziata, ha dichiarato la scuola, per aver violato la dottrina religiosa scegliendo la strada del contenzioso giudiziario anziché cercare di risolvere la disputa all'interno della chiesa.

Il presidente Roberts ha dedicato parecchie pagine della sua opione alla storia della libertà religiosa in Inghilterra e negli Stati Uniti, concludendo che un principio animatore dietro le clausole sulla libertà religiosa del Primo Emendamento è stato di proibire al governo di interferire negli affare interni dei gruppi religiosi in generale e nella selezione dei loro responsabili in particolare.

“L'Establishment Clause impedisce al governo di nominare i ministri del culto”, ha scritto, “e la Free Exercise Clause gli impedisce di interferire con la libertà dei gruppi religiosi di sceglierseli”.

L'amministrazione Obama ha dichiarato ai giudici che avrebbero dovuto analizzare il caso della Perich essenzialmente con gli stessi criteri che se fosse stata impiegata da una chiesa, da un sindacato, da un club o da ogni altro gruppo dotato dei diritti di libera associazione a norma del Primo Emendamento. Questa posizione è stata accolta con sferzanti critiche quando il caso è stato discusso a ottobre, ed è stata sonoramente bocciata nella decisione di mercoledì.

“Una posizione del genere è difficile da mettere d'accordo con il testo dello stesso Primo Emendamento, che dedica un'attenzione tutta particolare ai diritti delle organizzazioni religiose”, ha scritto il presidente Roberts. “Non possiamo accettare la rimarchevole opinione che gli articoli di fede non abbiano nulla da dire sulla libertà di una organizzazione religiosa di scegliere i propri ministri”. [La sottolineatura è mia, N.d.T.].

Richiedere la riassunzione della Perich “avrebbe apertamente violato la libertà della chiesa”, ha scritto il presidente Roberts. E altrettanto sarebbe stato accordare a lei e ai suoi avvocati un risarcimento in denaro, ha continuato, dal momento che questo “avrebbe operato come una punizione contro la chiesa per aver terminato il suo rapporto con un ministro indesiderato”.

In un'opinione concorrente, il giudice Clarence Thomas ha scritto che le corti non dovrebbero occuparsi di decidere chi abbia titolo all'eccezione di ministero, lasciando la determinazione ai gruppi religiosi.

“La questione se un dipendente sia o meno un ministro del culto è essa stessa religiosa nella sua natura, e la risposta varierà di molto”, ha scritto. “I tentativi dei giudici di modellare una definizione giuridica di 'ministro del culto' attraverso una linea di demarcazione ben definita o attraverso un'analisi multifattoriale rischiano di mettere in posizione di svantaggio quei gruppi religiosi le cui convinzioni, pratiche e affiliazioni sono al di fuori del 'mainstream' oppure sgraditi a qualcuno”.

In una seconda opinione concorrente, il giudice Samuel A. Alito Jr., affiancato dalla collega Elena Kagan, ha scritto che sarebbe un errore focalizzarsi sui ministri del culto, un titolo che è usato in generale dalle denominazioni protestanti e “raramente, se non mai” dai cattolici, dagli ebrei, dai musulmani dagli indù o dai buddisti. Né il concetto di ordinazione dovrebbe essere al centro dell'analisi, ha aggiunto il giudice Alito.

Piuttosto, ha aggiunto, l'eccezione “dovrebbe applicarsi a ogni 'dipendente' che abbia la responsabilità di condurre un'organizzazione religiosa, guidi un servizio di preghiera o importanti cerimonie religiose nonché rituali, o funga da messaggero o maestro della fede di questa”.

Durante il dibattimento a Ottobre, alcuni giudici hanno espresso la preoccupazione che una decisione onnicomprensiva proteggerebbe i gruppi religiosi dalle cause intentate da dipendenti che dichiarassero di essere stati oggetto di ritorsioni, ad esempio, per aver denunciato abusi sessuali.

Il presidente Roberts ha scritto che la decisione di mercoledì ha lasciato in piedi la possibilità di condurre inchieste penali, nonché le altre garanzie.

“Ci sarà abbastanza tempo per occuparsi dell'applicabilità dell'eccezione ad altre circostanze”, ha scritto, “se e quando si presenteranno”.

Laurie Goodstein ha contribuito al servizio da New York.

Copyright (c) The New York Times, 2012
Unhautorized translation by Giovanni Romano

lunedì 9 gennaio 2012

Nello Rega, perseguitato nell'indifferenza

Riporto la notizia dal Televideo Rai di oggi, h. 15:15

Un ordigno artigianale è esploso davanti alla porta di casa del giornalista di Televideo Nello Rega. Lo scoppio ha provocato solo danni materiali. Nello Rega è stato più volte oggetto di minacce in seguito alla pubblicazione del suo libro "Diversi e divisi", sulla convivenza tra cristiani e islamici. Un anno fa, denunciò che qualcuno gli aveva sparato con una pistola, senza colpirlo, mentre era in auto vicino a Potenza. Indagato per simulazione, gli è stata tolta la scorta. "Sono rimasto solo. Sono deluso e abbandonato da uno Stato che dovrebbe proteggere i cittadini", ha dichiarato. 

 La notizia si commenta da sé. Pensare che invece in Egitto, in occasione del Natale, molti musulmani si sono recati alla Messa di mezzanotte per fare da scudi umani ai loro amici cristiani!

Giovanni Romano

Omaggio a un amico non credente e non "sobrio"

Tornato da un viaggio in Kenya, un mio caro amico dichiaratamente non credente, ma con un cuore grande così, mi ha portato questo regalo: un presepe dentro una zucca essiccata.

Sono rimasto veramente commosso dal suo pensiero, testimonianza di una amicizia schietta e rispettosa pur nella totale diversità delle idee, e desidero esprimergli pubblicamente la mia gratitudine. Non solo per la gentilezza, non solo per il regalo in sé, molto bello, ma anche per l'incomodo che si è preso portandosi appresso dal Kenya una zucca di dimensioni piuttosto generose. Probabilmente avrà preso le misure sulla mia...

Mio malgrado sono costretto a paragonare il suo bellissimo gesto di amicizia, di rispetto e di solidarietà generosa con la piccineria di cuore che quest'anno ha portato ad abolire il Presepe nella cattedrale di Rieti in nome della "sobrietà" (vedi qui l'articolo di Antonio Socci). Un gesto più conformista e meschino di così è difficile da immaginare. Per la sobrietà c'è la Quaresima, non il Natale. Per il credente, il Natale è la memoria di Dio che è stato talmente generoso da venire di persona tra gli uomini senza chieder loro preventivamente nessun certificato di irreprensibilità etica, nessuna precondizione, nessuna "sobrietà" micragnosa.

Ringrazio Dio di avere un amico non "sobrio" come lo vorrebbero tanti puritani stile Monti.

Giovanni Romano

sabato 7 gennaio 2012

La dignità di Santorum e la derisione del "politically correct"

SANTORUM DIFENDE IL LUTTO PER LA PERDITA
DEL SUO BAMBINO PREMATURO



Che un padre sia attaccato perché ha fatto il funerale del suo bambino nato prematuro è un segno grave dell'imbarbarimento in cui ci sta facendo cadere una mentalità di morte totalmente incapace di affrontare la realtà.

Washington, 7 gennaio 2012 / 07:51 am (CNA) – Il candidato repubblicano alle elezioni presidenziali Rick Santorum ha detto che solo coloro che “non riconoscono la dignità di ogni vita umana” potrebbero pensare che lui sia un tipo “alquanto bizzarro” per come ha affrontato la perdita di suo figlio nel 1996.

Per coloro che pensano che un bambino sia soltanto “un grumo di tessuto che si dovrebbe scartare e buttare via”, il riconoscere l'umanità di un bambino morto è qualcosa “che dovrebbe essere messa in ridicolo”, ha dichiarato l'ex senatore della Pennsylvania durante un incontro elettorale nell'Iowa il 2 gennaio.

Santorum è stato criticato di recente dai commentatori politici per le sue azioni a seguito della morte del suo bambino prematuro Gabriel, morto solo due ore dopo la sua nascita.

In un'intervista alla Fox News, Santorum ha spiegato che lui e sua moglie, Karen, hanno deciso di portare a casa il proprio figlio, “fargli il funerale e poi dargli sepoltura quella sera stessa”.

Hanno anche mostrato il bambino ai suoi fratellini, così che potessero avere la possibilità di vedere il piccolo.

Santorum ha detto che è stata “una potente esperienza di guarigione per tutti noi” e che lo ha aiutato a “riconoscere la dignità” della vita di suo figlio e “ad affermare il suo ricordo” per tutta la sua famiglia.

In un servizio della Fox News del 2 gennaio, il commentatore politico Alan Colmes ha criticato Santorum per “alcune delle cose pazzesche che ha detto e fatto, come l'aver portato il suo bambino di due ore morto subito dopo la nascita e aver giocato con lui un paio d'ore, così che i suoi altri figli avrebbero saputo che il bambino era reale”.

In un'intervista del 5 gennaio con la giornalista Rachel Maddow della MSNBC, anche l'editorialista del Washington Post Eugene Robinson ha deriso Santorum e sua moglie per aver portato a casa il loro figlio “per far finta di dormire con lui, di presentarlo al resto della famiglia”.

“Lui non è un po' strano”, ha detto Robinson, “lui è tutto strano”.

Ma Robinson e Colmes parlavano “da un pozzo d'ignoranza apparentemente senza fondo”, secondo Peter Wehner, docente universitario presso l'Ethics and Public Policy Center.

In un articolo sulla rivista Commentary datato 5 gennaio, ha chiarito che gli esperti di salute mentale spesso consigliano di passare del tempo con un bambino nato e morto prematuramente come metodo per elaborare il lutto.

L'American Pregnancy Association consiglia i genitori dei bambini morti prematuramente che “possono trovare conforto nel guardare, nel toccare, nel parlare al vostro bambino” e che possono voler permettere ai loro altri figli di vedere anch'essi il bambino (1)

Fare il funerale del bambino può essere anch'essa una parte naturale nell'elaborazione del lutto, ha scritto l'associazione nel suo sito web, spiegando che questo si può fare facendo il bagno e vestendo il bambino, o anche leggendogli e cantandogli una ninna-nanna.

Wehner si è scagliato contro “la particolare gioia maligna” mediante la quale i commentatori politici hanno mostrato “una crudeltà immotivata” verso Santorum.

“Robinson non prova nessun disagio a mettere alla berlina un uomo e di sua moglie che hanno provato il peggiore degli incubi possibili per dei genitori, la morte del loro bambino”, ha detto.

Wehner ha dichiarato inoltre che quanto è accaduto ha mostrato come “l'ideologia e la partigianeria politica” possono “sfigurare” la mente e il cuore di certe persone, rendendole malvagie quando si arriva al disaccordo politico.

Santorum ha detto che Colmes lo ha poi chiamato per scusarsi. Colmes ha scritto su Twitter di aver parlato con Santorum e sua moglie e che loro avevano “accettato con magnanimità le mie scuse per un commento che li aveva feriti”.

Da parte sua, Robinson non si è scusato quando è stato interrogato sull'argomento da Joe Scarborough nella rubrica “Morning Joe” della MSNBC il 6 gennaio.

Sebbene avesse detto che “non avrei voluto dire quel che ho detto in quel modo”, Robinson ha anche ribadito la sua convinzione che le opinioni di Santorum sono “estremiste” e che come columnist sente un obbligo morale di esprimere le sue convinzioni.

(c) Catholic News Agency, 2012

Unhautorized translation by
Giovanni Romano
 
(1) Io stesso ho avuto una sorellina morta dopo un giorno solo di vita. I miei genitori me la mostrarono, anche se avevo un anno soltanto, e celebrarono il suo funerale in una piccola, straziante bara bianca.

domenica 1 gennaio 2012

Piuttosto che fare false promesse...

Da anni ormai si parla - invano - di eliminare il passaggio a livello di Via Trani e di sostituirlo con un sottopassaggio. Opera costosa, di alto impatto ambientale e di lenta realizzazione, che però indubbiamente sveltirebbe il traffico ed eliminerebbe i tempi morti dell'attesa. Tuttavia la realizzazione di quest'opera (come pure dell'ultimo tratto di doppio binario della Bari-Nord da Corato a Barletta) viene rimandata all'infinito in base al ritornello nevrotico: "Non ci sono soldi"

Ma i sottopassaggi sono l'unica soluzione? Certo sono indispensabili, ma presentano anch'essi dei difetti. Grosseto ha interamente abolito i passaggi a livello e li ha sostituiti con sottopassaggi. Va tutto benissimo... fino a quando non piove, perché con una forte pioggia si rischia l'inondazione e chi passa rischia di annegare, Ricordiamo il caso delle tre donne cinesi morte affogate a Prato.La città resta quindi praticamente tagliata in due.

Rimini invece ha preferito un criterio misto: sottopassaggi per la massima parte, ma anche qualche passaggio a livello, specialmente sulla linea secondaria per Ravenna dove il traffico ferroviario non è continuo come sulla Milano-Lecce. Il punto è che a Rimini i passaggi a livello vengono abbassati non più di tre minuti prima del passaggio del treno. La gente si ferma, nessun pedone si azzarda ad attraversare, il treno passa subito e le sbarre si alzano. Molto meno costoso che costruire un sottopassaggio.

E' un criterio, ovviamente, che va bene per le linee di non forte traffico, e a mio parere si può applicare anche sulla Corato-Barletta. Perché gli automobilisti devono aspettare a volte più di dieci minuti? E' anche l'eccessiva attesa che genera comportamenti imprudenti. Cosa costa di più, costruire un sottopassaggio o regolare i timers di abbassamento su un tempo più breve?

Giovanni Romano

N.B: Quello che ho scritto per il passaggio a livello di Corato vale anche per il passaggio a livello di Trani su Via Corato. Anche lì si parla di costruire un sottopassaggio, ancora più distruttivo per il verde e il tessuto urbano, piuttosto che abbreviare i tempi di abbassamento delle sbarre.