giovedì 31 agosto 2006

domenica 27 agosto 2006

Lettera postuma ad Angelo Frammartino


Caro Angelo,

ora che finalmente tacciono le voci dei politici, dei giornalisti, dei pacifisti e anche dei chierici, lascia che ti ricordi con alcune povere parole, perché la tua morte, e le circostanze efferate in cui è avvenuta, mi ha colpito davvero molto. E soprattutto mi ha colpito, e fatto tenerezza, la tua faccia, l’espressione di timidezza indifesa di un giovane non apatico né protervo. Sarà una frase fatta, ma avresti davvero l’età per essere mio figlio, e questo ti rende caro, nonostante io abbia idee radicalmente contrarie alle tue.

Al di là di tutta la retorica della tua morte come “seme di pace”, il tuo assassinio è stato particolarmente brutale e vigliacco. Il figlio di Allah che ti ha ucciso ha manifestato un solo rimorso: di aver sbagliato persona, di non avere assassinato un ebreo. Era venuto a Gerusalemme apposta per questo. Non ha avuto nemmeno il coraggio di affrontarti da uomo a uomo. Ha colpito alle spalle come un rettile velenoso, da quel rettile velenoso che era.

Cos’avrai pensato in quel momento, oltre al dolore improvviso, oltre alla scoperta inorridita che la vita ti stava sfuggendo, che ancora pochi attimi e tutto sarebbe stato buio, senza respiro, senza voce, senza udire più niente? Hai capito almeno perché ti hanno colpito? Hai capito perché hanno scelto proprio te? Con quella barba e quei capelli ricci potevi veramente sembrare un ebreo. Ma c’era qualcosa di peggio. Per chi ti ha ucciso non faceva forse nessuna differenza; ti hanno scelto semplicemente perché eri un “occidentale”. Uno spregevole kafir, un infedele che meritavo solo la schiavitù o la morte.

Forse tu eri andato in Israele già sicuro di dove fossero le ragioni e i torti. La ragione era tutta dei palestinesi, il torto tutto d’Israele. Non so se questa sicurezza ti sia rimasta fino all’ultimo istante, quando ti hanno pugnalato. Ma certo in quel momento avrai capito da dove veniva veramente l’odio.

In un suo bellissimo e polemico saggio su Ghandi, George Orwell poneva due domande inquietanti. Primo: è possibile che una cultura possa essere giudicata pazza alla luce dei criteri di un’altra? Secondo: esiste sempre una correlazione necessaria tra un’azione generosa e una risposta amichevole? Alla luce di quanto è ti è successo (e quanto è successo a tanti ebrei, di cui la stampa non ha parlato), direi che la risposta è nel primo caso, no nel secondo. La lama che ti ha colpito è solo la conseguenza di una cultura che alimenta un odio impermeabile a qualunque confronto, a qualunque apertura, persino a qualunque gesto generoso dell’altro. L’odio non passa a colpi di volontariato.

Parlando della tua morte, un tuo amico anche in quel momento ha velatamente accusato gli israeliani, quando ha detto che “abbiamo seguito tutte le procedure di sicurezza, non ci siamo avventurati in vicoli o zone a rischio”. Come se non fosse il mestiere del terrorista colpire dove la gente si sente più sicura! Come se non fosse evidente che nessuno può fermare una mano omicida, quando ha deciso di colpire, e specialmente a tradimento!

Non ho da dirti altro, ragazzo mio. Mi dispiace davvero che i tuoi sogni si siano infranti tanto brutalmente. Ma si sono infranti perché erano sogni, perché non tenevano conto di quanto possa essere profondo e pericoloso l’odio, quando è fomentato da una religione che predica il disprezzo e l’annientamento dell’altro.

Spero solo che ti lascino riposare in pace. Fare retorica su di te, non lasciasi interrogare da quel che ti è accaduto, come forse si è fatto anche ieri ad Assisi, sarebbe tradirti.

Addio,

Giovanni Romano

I due scudetti della Juventus

Non è ancora iniziato il campionato, e la Juventus ha già vinto incontestabilmente due scudetti: quello dell’antipatia e quello dell’arroganza.

Giovanni Romano