Voglio subito sgombrare il campo da un equivoco, a costo di deludere e irritare alcuni amici che – già lo so - mi leggeranno. Sono andato a votare i referendum, e ne ho votati tre su quattro. Ho rifiutato di votare solo quello sul legittimo impedimento perché l'intento fazioso e persecutorio era troppo sguaiatamente evidente (non “la-legge-è-uguale-per-tutti”, bensì “la forca è uguale per tutti”).
Ma ho votato tre SI per motivi che poco o nulla hanno a che vedere con l'accanimento sconcertante, ai limiti del fanatismo, con cui tanti, troppi ambienti cattolici forse, incluse non di rado le gerarchie, hanno promosso in particolare il referendum sull'acqua, e che mi ha procurato un senso di disagio sempre più forte man mano che si avvicinava la data delle consultazioni.
Cominciamo però dal quesito più semplice e meno controverso, quello sull'energia atomica. Qui non ho avuto dubbi. Fukushima mi ha fatto completamente ricredere sulla sicurezza delle centrali nucleari e sulla credibilità dei governi quando sono in ballo interessi economici di fronte ai quali il valore della vita umana si riduce a zero. Fukushima è la prova provata dell'impossibilità di prevedere ogni possibile incidente e di farvi fronte. Ma soprattutto è la prova provata di una disinformazione deliberata e allucinante. Per giorni si è cercato di minimizzare la gravità di quello che era accaduto, anche a rischio di lasciare che la popolazione venisse contaminata in maniera sempre più grave, e si è stati costretti ad ammettere la verità solo quando i danni erano diventati troppo evidenti, con la centrale sventrata come quella di Chernobyl.
Fukushima mi ha trasformato in un nuclearista pentito, e nessun discorso potrà più persuadermi del contrario. A coloro che continuano a sostenere la causa del nucleare faccio una proposta: benissimo, costruiamo pure le centrali anche in Italia, ma con l'obbligo per voi e per le vostre famiglie di andare a vivere entro un raggio massimo di 30 km da una centrale o da un sito di stoccaggio di combustibile nucleare. Vi offriamo anche la casa gratis se volete; se l'energia nucleare è così sicura come sostenete, non penso che qualcuno di voi farebbe obiezione.
Veniamo però ai referendum più scottanti, quelli sui quali i cattolici – o almeno una parte consistente, dirò poi quale – si sono esposti più vocalmente, anche se l'opinione pubblica laica non sembra essersene accorta più di tanto. Mi prenderò la libertà di citare ampiamente l'eccellente articolo di Stefano Fontana dal sito Labussolaquotidiana.it (“I cattolici hanno vinto i cattolici hanno perso”) ma prima di tutto devo dare ragione dei miei due SI.
Ho votato SI perché condivido la concezione cattolica della proprietà privata come responsabilità sociale, non solo come mero accumulo. Dai sostenitori del NO o dell'astensione ci è stato detto e ripetuto che non si trattava di “privatizzare” l'acqua ma semplicemente di affidarne la gestione ai privati in modo da rendere più efficiente il servizio, limitare gli sprechi e favorire la distribuzione. Ma è un argomento solo giuridico-formale, che non tiene conto del fatto che la gestione dell'acqua passerebbe in pratica da un monopolio pubblico a uno privato. Una vera privatizzazione avrebbe prodotto effetti positivi solo in regime di concorrenza, cosa impraticabile nel caso degli acquedotti. E i monopoli privati si sono sempre rivelati più esosi nei confronti dell'utenza, più riluttanti a investire per modernizzare gli impianti, più trascurati sotto l'aspetto della sicurezza. Non dimentichiamo che fu l'ENEL, non le compagnie elettriche private, a portare la corrente a 220V in tutta Italia: prima al Sud la corrente era di soli 125V. E fu una compagnia elettrica privata a provocare il disastro del Vajont, scaricandone poi ogni conseguenza sulle spalle della collettività.
Se avessero vinto il NO o l'astensione, avremmo assistito probabilmente all'ennesima stangata sulle tariffe e le bollette senza alcun vantaggio apprezzabile, per giunta con la scusa della “lotta agli sprechi”, o avremmo assistito al solito gioco del “privatizzare i profitti e socializzare le perdite”. E questo, per le finanze massacrate di moltissime famiglie, è veramente troppo. Si è detto anche che con questo voto i cittadini hanno confermato l'andazzo dell'inefficienza e dello spreco, perché i comuni non hanno soldi per provvedere alle riparazioni e alla manutenzione. Ma allora i soldi delle nostre (esose) tasse dove vanno a finire? L'esito di questo referendum non può in nessun modo essere invocato come alibi dagli enti locali e dai servizi pubblici, se mai il contrario: è un severo richiamo alle loro responsabilità.
Queste laicissime considerazioni mi hanno persuaso a votare SI. Ma con disagio, lo ripeto, e ora vengo al punto. Tanto mondo cattolico ha fatto del referendum sull'acqua una inopportuna ed enfatica crociata tra il Bene e il Male, sull'onda della scomunica dossettiana contro Berlusconi e chi la pensa come lui (1).
Come fa notare giustamente Fontana, “si è notata una mobilitazione particolare del mondo cattolico, probabilmente superiore a quella contro il divorzio e l'aborto. (…) Non ci sono dati certi a questo proposito, ma tutti abbiamo assistito alle catene di sms, ai pronunciamenti delle associazioni, prima tra tutte l’Azione cattolica, ai volantinaggi davanti alle chiese, alle dichiarazioni di vescovi e uffici stampa delle diocesi, all’impegno propagandistico degli ordini religiosi, alle dichiarazioni di moltissimi teologi moralisti”. Attenzione a una particolarità che emerge da queste parole: tra i cattolici si è trattato in gran parte di una mobilitazione clericale (quella parte del mondo cattolico cui accennavo prima), per molti versi speculare e opposta a una mobilitazione ben più popolare e massiccia, quella sì nata veramente dal basso: la mobilitazione per il Family Day che partì in massima parte dai laici, dalle famiglie stesse, e che una parte purtroppo non trascurabile del clero seguì o con indifferenza o addirittura con fastidio.
Non è mancato nemmeno il classico terzomondismo d'accatto, segno dell'incapacità di guardare la questione in termini di realismo e non di utopia. Ancora Fontana: “Una diocesi ha detto: 'Andare a votare è un gesto per la vita, per la vita di tanti che ancora nel mondo non hanno il diritto più elementare, quello dell’acqua'. Cosa c’entri il referendum in Italia con la mancanza di acqua in Africa non ci è dato di sapere. Se analizziamo la gran parte dei settimanali diocesani troviamo questo livello di ragionamento. Ma quando si sbandierano ragioni di questo genere si cade nel moralismo inefficace e servizievole. Si crede di aver contribuito a far andare avanti la storia ed invece ci si è accodati ad altri”.
Ho messo in neretto queste parole perché mi sembra che centrino perfettamente il nocciolo della questione. I fedeli sono stati gravemente ammoniti a recarsi alle urne perché “il voto è dovere civico”. Ci siamo già dimenticati che fu proprio l'astensione dei cattolici a far saltare il referendum sulla legge 40? I cattolici erano eversivi allora, o era eversivo e inumano il tentativo di affondare una legge già ingiusta di per sé, per sostituirla con un'anarchia molto peggiore? Direi dunque che per un cattolico il dovere del voto viene dopo un doveroso discernimento sulle questioni oggetto del voto stesso, dunque non può mai essere uno scontato automatismo. In questa occasione, invece, troppi cattolici hanno fatto la figura dei volenterosi barellieri della storia.
Ieri il sito della Tiscali sbandierava la foto di due suore che entravano sollecitamente in un seggio, certificato elettorale e rosario in mano. Molti cartelloni per il SI avevano una scritta a caratteri cubitali: “METTICI SOPRA UNA CROCE”. Quando ho visto queste cose non ho potuto fare a meno di sorridere amaramente. Ma come, ci si ricorda della Croce solo quando fa comodo per votare, mentre si fa di tutto per toglierla dai luoghi dove la gente vive? Ci si ricorda che esistono le suore solo quando vanno a votare allineate e coperte dove vuole l'estrema sinistra? C'è stato uno, uno solo dei cattolici che sono arrivati a “digiunare per l'acqua” in Piazza San Pietro che abbia protestato contro l'europride, che inquina le acque dei rapporti umani molto più radicalmente di qualsiasi referendum? Il potere mediatico laicista ha forse paura di cattolici così omologati, il cui “profetismo” (termine più che mai abusato in questo caso) si è “appiattito sul rubinetto” secondo l'efficace espressione di Fontana?
A giusto titolo l'autore osserva che da parte cattolica si è trascurato il principio della sussidiarietà a favore dell'attuale gestione statalista, anche se non ha spiegato in che modo si sarebbe potuto provvedere in questo senso. Risparmio al lettore le citazioni bibliche stravolte oltre i limiti del grottesco pur di trovare argomenti “evangelici” per appoggiare la campagna referendaria. Gli risparmio anche i fraintendimenti (voluti?) della Dottrina Sociale della Chiesa. Chi vuole può andare a leggerli nell'articolo citato. Una affermazione di Fontana suona paradossale, apparentemente come uno spauracchio agitato per rivalsa: “Credevo di votare per l'acqua, ho votato per il divorzio breve”, ma considerando l'appiattimento sui “valori comuni”, la quasi sacralizzazione di un argomento che poteva e doveva essere affrontato con criteri razionali, l'inconsistenza o i troppi distinguo sui valori non negoziabili, non è poi tanto peregrina. Mi trova invece completamente d'accordo la preoccupata chiusa dell'articolo: “Si dovrebbe analizzare a fondo, nel prossimo futuro, l’atteggiamento mentale e operativo dei cattolici in occasione di questo referendum, ben oltre le poche riflessioni condotte in queste righe. Credo che ne emergerebbero significative incertezze culturali e i segni di alcune crepe considerevoli nel tessuto ecclesiale”.
Posso confermarlo. Ho votato SI, ma che di certi compagni di strada avrei fatto volentieri a meno. E probabilmente, come l'asino di Buridano, finirò per buscarle da tutte e due le parti.
Giovanni Romano
(1) Vedi il libro di G. BAGET BOZZO e PIER PAOLO SALERI “Giuseppe Dossetti – La costituzione come ideologia politica”, Ares, Milano 2009.