Tempo fa, ho trovato su Facebook questo intervento di Corrado Guzzanti che riporto di seguito. Mi sembra lo spunto per discutere di cosa sia oggi l'offesa al senso religioso, e di come rispondere a certe provocazioni.
In merito all'offesa confesso di non capire esattamente cosa sia il "sentimento religioso" perché sfortunatamente non ne sono dotato. Ho sempre pensato che essere intimamente credenti non possa essere troppo diverso dall'essere intimamente liberali, o socialisti, o vegani. Si tratta di amare e riconoscersi in delle idee, in una visione della società e del mondo, e le idee non sono sacre e intoccabili solo perché noi crediamo così fortemente in esse; vivono nel dibattito pubblico, confrontandosi e dovendo convivere con idee diverse e a volte opposte. Spero di non offendere nessuno se affermo che l'esistenza di un creatore, l'inferno, il paradiso, l'immortalità dell'anima, il giorno del giudizio ecc. siano, fino a spettacolare prova contraria, soltanto delle idee, delle opinioni che si è liberissimi di sostenere purché non si tenti di imporle agli altri come un tabù inviolabile. Che il sentimento religioso non possa reclamare una superiore legittimità, perché supportato, mi dicono, da pervasiva e speciale intuizione, appare evidente dal fatto che le credenze religiose sono tante, più di quelle da cucina dell'Ikea, e producono purtroppo affermazioni contrastanti. Un buddista e un cattolico, egualmente persuasi della loro fede, saranno certi di saperla molto lunga sull'origine e il senso dell'uomo e dell'universo, ma almeno uno di loro, al momento del trapasso, avrà una sorpresa. Ciò dovrebbe suggerire che convinzione "sentimentale" profonda e verità siano sostanzialmente due cose diverse.
(Corrado Guzzanti)
“L'ateo è colui che
non crede a nulla
e pretende che gli altri
credano a lui”
Non
riconosco a Corrado Guzzanti alcun coraggio morale, ma una notevole
dote di furbizia sì. Con il brano che ho citato mette
sapientemente le mani avanti per proteggersi dall'accusa di “offesa
al sentimento religioso” (e specialmente al sentimento religioso
cristiano, anche se non lo afferma esplicitamente. Offendere
altri sentimenti religiosi come ad esempio quello islamico può
costare molto, molto di più). E non fa queste dichiarazioni soltanto
per sé: la sua è una vera e propria teorizzazione del disprezzo
antireligioso che prima o poi dovrebbe diventare – anzi sta già
diventando – dottrina politica fino a istituzionalizzarsi in norma
giuridica, in modo da mettere al riparo chiunque, à la
Odifreddi, affermi che il cristiano è un imbecille tout court.
Andiamo
però a vedere cosa c'è dietro le sue affermazioni, esaminandole una
per una.
In merito all'offesa
confesso di non capire esattamente cosa sia il "sentimento
religioso" perché sfortunatamente non ne sono dotato.
Prima
di tutto si parte da un equivoco, certo deliberato: che la religione
sia soltanto sentimento, o peggio ancora sentimentalismo. Lui afferma
di esserne “sfortunatamente” privo, ma non si evince che ne senta
la mancanza, anzi piuttosto il contrario. Un po' come essere privi di
orecchio musicale o di sensibilità per la poesia: un piccolo difetto
forse, ma si vive benissimo lo stesso.
Ho sempre pensato che
essere intimamente credenti non possa essere troppo diverso
dall'essere intimamente liberali, o socialisti, o vegani. Si tratta
di amare e riconoscersi in delle idee, in una visione della società
e del mondo, e le idee non sono sacre e intoccabili solo perché noi
crediamo così fortemente in esse(...) Ciò dovrebbe suggerire che
convinzione "sentimentale" profonda e verità siano
sostanzialmente due cose diverse.
Il
sentimento religioso, come lui lo intende, è qualcosa che ci si
forma da sé a forza di autosuggestione, così che tanto più è
fermamente creduto tanto maggiore è la prova della sua falsità. Un
bel sofisma, ma non è niente altro che il vecchio giochetto laicista
del “testa vinco io, croce perdi tu”: se non si crede abbastanza
si è ipocriti, e se si convinti si è fanatici. In ogni caso quel
che interessa al laico è affermare spocchiosamente la propria
“superiorità”.
Ma il
“sentimento” religioso è tutto qui, una convinzione totalmente
irrazionale e arbitraria? E se per assurdo lo fosse, bisognerebbe
almeno chiedersi da cosa nasce e perché. Nemmeno le peggiori crisi
di follia nascono totalmente nel vuoto, alla base c'è pur sempre un
motivo reale, e ad essere aberrante è la risposta, non la domanda.
Qui è in gioco la spinta irresistibile, costitutiva dell'uomo a chiedersi
perché, a porsi domande, a interrogarsi sul significato di ogni
cosa. Anziché banalizzare la questione a “sentimento religioso”
come fa Guzzanti, sarebbe più corretto parlare di senso
religioso come fa Don Giussani: il bisogno che ha ciascuno di trovare
un significato, anche inconscio, per cui valga la pena vivere i
cinque minuti successivi della propria vita. In questo senso, come
Giussani nota acutamente, l'ateismo in senso etimologico è
impossibile.
Che il sentimento
religioso non possa reclamare una superiore legittimità, perché
supportato, mi dicono, da pervasiva e speciale intuizione, appare
evidente dal fatto che le credenze religiose sono tante, più di
quelle da cucina dell'Ikea, e producono purtroppo affermazioni
contrastanti.
Qui
siamo ancora sul terreno di Guzzanti che usa un argomento tipico
dell'illuminismo: la varietà delle credenze religiose, molte delle
quali si contraddicono a vicenda, non è forse una prova ulteriore
della loro falsità, o quanto meno della loro soggettività? Osservo
di passaggio che paragonare il numero delle credenze religiose a
quelle dell'IKEA non è tolleranza, è disprezzo, più o meno come
quello di Anatole France quando scrisse che “chiunque è libero di
inginocchiarsi davanti a una cipolla alle quattro del mattino e
chiamarla il suo dio”. Come se il senso religioso non avesse nulla
a che vedere con la ragione in quanto tale! In questo modo si liquida
sbrigativamente tutto il patrimonio di riflessione filosofica, di
poesia, di arte, di preghiera che esso ha generato ovunque, anche se
sarebbe probabilmente troppo pretendere da Guzzanti un
approfondimento culturale in questo senso.
Ci
sono due risposte al suo argomento. La prima è: quale religione, o
meglio quale atteggiamento di fronte all'esistenza corrisponde di più
ai bisogni fondamentali dell'uomo? Una religione che dà per scontato
che alcuni esseri umani, bambini compresi, debbano essere sacrificati
per placare l'ira degli dei, oppure una religione che li mette
addirittura al primo posto? (“Se non ritornerete come bambini...”).
Una religione che predica l'odio e la sottomissione contro gli
“infedeli” kafir oppure una religione che ingiunge di
amare anche il nemico (Guzzanti compreso)? Un modo di pensare
laicista che considera “altruista” e “pietoso” dare la morte
ai malati oppure una religione che non li abbandona e cerca di
alleviare le loro sofferenze?
La
seconda risposta è che il cristianesimo, prima ancora di essere una
teoria, è un avvenimento storicamente verificabile. Non sto qui a
riassumere le testimonianze degli storici, numerose e inconfutabili
(i primi vangeli risalgono ad appena trent'anni
dopo la crocifissione, mentre per la vita di Alessandro Magno scritta
da Plutarco bisognò attendere oltre 400 anni). Basta anche chiedere
a qualunque docente di antropologia culturale o di storia delle
religioni quanto sia fondamentalmente inspiegabile la nascita e
soprattutto la diffusione del cristianesimo nel mondo antico. Ida
Magli scrisse che qualunque personaggio storico si può comprendere con
le categorie del proprio tempo, tranne Cristo. Il suo messaggio è
assolutamente nuovo e diverso rispetto a tutte le idee correnti nel
mondo giudaico e pagano, è imparagonabile con qualsiasi altra
dottrina insegnata prima, eppure si diffuse con una rapidità
stupefacente, e non soltanto tra gli schiavi. E qui si trova
implicitamente la risposta a un'altra osservazione di Guzzanti:
le idee non sono sacre
e intoccabili solo perché noi crediamo così fortemente in esse;
vivono nel dibattito pubblico, confrontandosi e dovendo convivere con
idee diverse e a volte opposte.
Appunto.
Il cristianesimo visse e si confrontò nel dibattito pubblico, un
dibattito pubblico che cercò di emarginarlo o con lo scherno
indifferente (come capitò a San Paolo nell'Aeropago) oppure con la
violenza delle persecuzioni. Tuttavia, senza appoggiarsi ad alcun
potere, almeno nei primi secoli, il cristianesimo conquistò i cuori,
le menti, le intelligenze di popolazioni sempre più vaste, fu trovato più umano e persuasivo, più vero
della selva di religioni che popolavano il mondo pagano. Mi viene il
sospetto che quando Guzzanti invoca rumore di fondo del dibattito
pubblico lo faccia in realtà per non ascoltare, per non sentirsi
interrogato da quel che non vuole sentire, per non essere costretto a
porsi la domanda: “E se avessero ragione?” e dunque per non
cambiare vita di conseguenza, in quanto nel cristianesimo dottrina e
vita sono tutt'uno. È questo, in fondo, quel che dà fastidio a chi
non crede: dover prendere posizione, non poter scegliere a proprio
comodo e secondo la propria personale convenienza, doversi
confrontare – questo sì, e non teoricamente – con il
Realmente-Altro.
Spero di non offendere
nessuno se affermo che l'esistenza di un creatore, l'inferno, il
paradiso, l'immortalità dell'anima, il giorno del giudizio ecc.
siano, fino a spettacolare prova contraria, soltanto delle idee,
delle opinioni che si è liberissimi di sostenere purché non si
tenti di imporle agli altri come un tabù inviolabile. (…) Un
buddista e un cattolico, egualmente persuasi della loro fede, saranno
certi di saperla molto lunga sull'origine e il senso dell'uomo e
dell'universo, ma almeno uno di loro, al momento del trapasso, avrà
una sorpresa.
Se
Guzzanti avesse letto il Card. Biffi si sarebbe probabilmente
risparmiato questa osservazione, perché è stato proprio questi a
scrivere: “Il credente è uno che si aspetta molte sorprese”.
Bisogna vedere però quali sorprese. Se ha ragione il
buddista, nella migliore delle ipotesi ci aspetta il Nirvana, cioè
un indeterminato Nulla o un Tutto ugualmente indeterminato: in
entrambi i casi, però, l'io non c'entra più nulla con l'essere. Se
ha ragione il cattolico, troverà un mondo notevolmente più vario,
animato e gioioso (se va in paradiso) oppure molto, ma molto
doloroso (se va all'inferno). In ogni caso un mondo nel quale la sua
individualità non scomparirà, ma conoscerà la verità.
E se
fossi in Guzzanti starei attento a chiedere “spettacolari prove
contrarie”. Primo perché mi ricorda sgradevolmente quel che i
farisei dissero a Cristo sulla croce (“Avanti, scendi che ti
crediamo!”, e l'avevano visto risuscitare Lazzaro!). Secondo,
perché Cristo stesso rifiutò di dare spettacolo dei propri poteri
(“Se sei figlio di Dio, buttati giù che verranno gli angeli a
sorreggerti”). Terzo, infine, perché se proprio si insiste Dio
potrebbe mandarci una “spettacolare prova contraria” come quella
che capitò a Sodoma e Gomorra...
Giovanni Romano
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