Spett.le Redazione,
ho letto con interesse il pezzo di Gilio Rancilio datato sabato 19 novembre, e devo dire di avere alcune riserve tanto sul merito quanto sul metodo. I contenuti sono ovviamente inoppugnabili, ma il tono generale dell’articolo sembra insinuare che Trump sia stato eletto in buona misura grazie alla diffusione di menzogne propalate ad arte contro la Clinton. Peccato che anche l’ex presidente Obama abbia fatto un uso intensivo dei social networks in occasione di entrambe le sue campagne elettorali senza che nessuno abbia trovato nulla da eccepire.
Ancora meno condivisibile, secondo me, è l’aver accennato senza apparenti obiezioni ai “poliziotti del web”. Ma chi controlla i controllori? Chi garantisce che questo controllo non diventi una psicopolizia per imporre il pensiero unico “politically correct”? Quanto sono realmente imparziali strumenti come il software elaborato in 36 ore dai quattro studenti di Princeton o la “mappa contro l’intolleranza” di cui parlò La Stampa del 15 gennaio 2014 che in realtà può trasformarsi in un pericoloso strumento di schedatura? (ne ho scritto sul mio blog, questo è il link abbreviato: http://tinyurl.com/hmztccd). Come mai su Facebook o Twitter si viene immediatamente bannati se si critica l’omosessualismo, ma le bestemmie “rispettano gli standard della comunità”? Come mai la Apple ha tolto dal proprio store la Dichiarazione di Manhattan dove le confessioni cristiane difendevano il matrimonio tra l’uomo e la donna? Sarebbero questi i poliziotti del Web o piuttosto i suoi carcerieri?
Purtroppo condivido in pieno la conclusione: ormai la verità non interessa più anche quando viene conosciuta. Ma mi chiedo se un articolo come quello di Rancilio sarebbe stato pubblicato se avesse vinto la Clinton. Consentitemi di dubitarne.
Distinti saluti,
Giovanni Romano
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