Non
ho visto il film di Scorsese e non penso che lo farò, perché le
scene di tortura mi fanno molta impressione, e in questa pellicola
certamente non mancano. Sono dunque costretto a scrivere, per così
dire, di seconda mano e per sentito dire, ma mi è parso di capire
che il film è stato salutato con grande entusiasmo dalla maggioranza
dei commentatori anche cattolici, e accolto con scetticismo da una
esigua minoranza. Per una più ampia presentazione del film e della
trama, suggerisco l'articolo di Brad Miner pubblicato l'11 gennaio
2017 sul sito La Nuova Bussola Quotidiana (www.lanuovabq.it) al link
http://tinyurl.com/hvdkzg4.
Credo
sia necessario fare tre premesse.
In
primo luogo, il film viene a colmare una secolare lacuna storica,
anzi una vera e propria congiura del silenzio sulle persecuzioni e i
massacri dei cattolici giapponesi nel secolo XVII, persecuzioni che
furono addirittura giustificate e applaudite nientemeno che
dall'Apostolo della Tolleranza, Voltaire (vedi alla voce «Giappone»
nel suo «Dizionario filosofico»). Proprio su questo punto, tra
parentesi, il titolo del film si rivela in tutta la sua pregnanza: le
persecuzioni furono così feroci da ridurre effettivamente al
silenzio la cristianità giapponese per oltre due secoli. Silenzio
poi, quando non aperta connivenza (come nel caso del sopracitato
Voltaire) degli intellettuali illuministi in Europa (e ne vedremo la
ragione più profonda che non fu certo motivata dalla paura).
Silenzio infine dalla stessa Chiesa Cattolica che forse volle
nascondere lo smacco più cocente della sua attività missionaria ed
esorcizzare la domanda posta dal film: è proprio vero che il
cristianesimo è positivo, è un bene per tutti gli uomini, per tutte
le nazioni, per tutte le culture, o è piuttosto un fattore di
divisione, di turbativa delle coscienze, di ribellione all'ordine
costituito e di infiacchimento dello stato? (Gibbon docet!).
Seconda
premessa: siamo sicuri che il film prenda realmente le parti dei
perseguitati o piuttosto giustifica indirettamente i loro persecutori
attraverso il trionfo dell'apostasia? Per meglio dire: a giudicare
dalla trama, il film sembra propendere a favore di coloro che
abiurarono sotto la tortura o la minaccia della tortura, e tratta da
fanatici irresponsabili quelli che rimasero fermi nella fede perché
attirarono l'ira delle autorità sulla loro comunità ed esposero sé stessi, le loro famiglie e i loro amici a violenze di ogni genere in
nome della loro "ostinazione".
Terza
premessa: la misericordia. In questo film, se ne ho capito bene la
trama, la misericordia e il perdono vanno non tanto ai persecutori quanto a coloro che hanno rinnegato la fede o peggio
ancora tradito i loro fratelli.
Intendiamoci:
qui non si tratta di giudicare nessuno, meno che mai gli uomini e le
donne che dovettero affrontare quelle situazioni spaventose e i
drammi di coscienza che comportavano. Si può invece, anzi si deve,
prendere posizione nei confronti di chi ha girato il film, di come
abbia letto quella vicenda storica e soprattutto di quale messaggio
ha voluto far passare.
Cominciamo
innanzitutto con il constatare che la persecuzione in Giappone fu
condotta con una determinazione assolutamente spietata e con criteri
quasi scientifici per l'epoca, e a differenza delle persecuzioni in
Occidente, ebbe un successo quasi completo. Questo per due ragioni: in
Occidente il cristianesimo riuscì a fare propria la filosofia greca
che già apparteneva al mondo classico, e si trovò a operare in una
struttura statuale ancora regolata dal diritto romano che temperava
l'assolutismo dell'imperatore (che ad esso anzi si richiamava
apertamente). Nessuno di questi due elementi esisteva in Giappone.
Sotto questo aspetto Voltaire aveva ragione, a modo suo: il
cristianesimo possiede effettivamente una carica di destabilizzazione
sociale (sarebbe più corretto dire: di rifondazione dei rapporti
umani), una carica tanto più dirompente in una società come quella
giapponese in cui l'obbedienza cieca all'imperatore e alle autorità,
il conformarsi all'armonia sociale mascherava il più crudo
dispotismo e i rapporti sociali più iniqui. Non è un caso che al
cristianesimo aderirono non solo esponenti delle classi alte ma
numerosi contadini poveri e sfruttati, che per la prima volta in vita
loro vedevano riconosciuta la loro dignità di esseri umani e figli
di Dio.
Il
cristianesimo, inoltre, desacralizzava la figura dell'imperatore (e
dunque tutta la piramide sociale che ne dipendeva) trasformandolo
agli occhi dei cristiani in un essere umano dotato certamente di
autorità ma sottoposto anch'egli alla legge e al giudizio di Dio.
Non
so se il film colga questi punti, ma a giudicare dalla trama direi
che si metta piuttosto dalla parte dell'ordine costituito. Ad
esempio, uno dei protagonisti del film è un ex cristiano o sacerdote
che non solo ha apostatato, ma si è trasformato nel più accanito e
spietato persecutore dei cattolici (il contrario di San Paolo!). Le
pressioni che costui è capace di esercitare sui fedeli sono
incredibili. Oltre alle più barbare torture fisiche, usa metodi di
pressione più raffinati, come ad esempio la tortura psicologica
contro il sacerdote che non vuole abiurare e che viene costretto ad
assistere alle sevizie e all'uccisione dei suoi parrocchiani. L'inquisitore
non esita a rinfacciargli la sua fede: «Perché ti ostini tanto
stupidamente con il tuo orgoglio? Cosa ti costa sfiorare appena
appena col piede questa immagine di Cristo?
Fallo, e noi cesseremo le torture e lasceremo andare i tuoi amici. Se
invece moriranno tra i tormenti sarà solo colpa tua!».
Un sistema degno della Gestapo e dell'NKVD, che sarebbero venute ben tre secoli dopo! Non
credo che il regista, in nessun punto del film, faccia osservare che
tanta crudeltà dipende dalla libera volontà dei persecutori, non
certo dai perseguitati, e che non si può accettare un ricatto morale
tanto grossolano. Nessuno può scaricare sugli altri la
responsabilità della sofferenza che ha scientemente deciso di
infliggere ai suoi simili.
Un
altro argomento che probabilmente compare di frequente nel film è
che il cristianesimo non sarebbe adatto alla civiltà giapponese,
sarebbe anzi un corpo estraneo, un'imposizione venuta dall'esterno e
teleguidata dal Vaticano. Questo naturalmente è un sofisma: se le
cose stessero veramente così non sarebbe stato necessario
perseguitarlo con tanta violenza, perché l'appello dei missionari
non avrebbe trovato proseliti e sarebbe caduto nel vuoto come quello
di San Paolo all'Aeropago. Ho già mostrato quale carica dirompente
avesse il cristianesimo nei confronti di una delle società più
chiuse, conformiste e repressive del mondo, una società in cui
l'individuo semplicemente non esiste come persona ed è sempre
spendibile nell'interesse della comunità (o meglio del potere). Qui
mi interessa affermare che la vulgata del film è una piena
giustificazione del relativismo e delle culture a compartimenti
stagni, senza possibilità di interazione reciproca. O meglio:
secondo questa vulgata sono sempre i cristiani che devono «aprirsi»
alle altre culture, ma il viceversa sarebbe sempre prevaricazione e
imposizione. Questo finisce per avere due conseguenze: ghettizzare il
cristianesimo entro la cultura occidentale (e sappiamo quanto questa
cultura sia capace di auto-denigrazione, come disse a Subiaco l'allora Card. Ratzinger nel settembre del 2005),
e negare che esso sia capace di parlare all'uomo in quanto tale,
sotto qualsiasi latitudine, comprendendo e abbracciando le esigenze
più fondamentali del cuore umano che è il medesimo in tutti.
In
ultimo la misericordia dei cristiani. Forse è questo il punto più toccante e umano
del film. Uno dei protagonisti è un traditore apostata che ha fatto
imprigionare e torturare un sacerdote suo amico fraterno. Continua a
tradire ma torna sempre da lui a chiedere l'assoluzione perché ogni
volta ammette la sua colpa, e ogni volta viene perdonato e assolto.
Questo è un punto importante. La misericordia opera quando c'è
almeno il riconoscimento di quello che si è e di quello che si è
fatto. La misericordia invece è vana verso chi compie il male
rivendicandolo come suo diritto o peggio ancora come suo merito. Se
poi il film volesse insinuare che l'idea che qualunque comportamento
sarà comunque perdonato, ne lascio l'eventuale responsabilità al
regista e soprattutto all'autore del libro da cui il film è tratto.
Permettetemi
dunque, alla fin dei conti, di non unirmi al coro di tante voci,
anche cattoliche, che hanno subito gridato al capolavoro. Può
esserlo quanto alla superba recitazione degli attori, ma dal punto di
vista del contenuto ne sono molto meno sicuro.
Giovanni
Romano