sabato 18 ottobre 2008

I confessori degli esiliati


Ai miei baristi ed edicolanti

Che hanno la bontà di sopportarmi ogni giorno


Mi sono sempre chiesto perché i baristi e gli edicolanti non scrivano libri. Spesso si mostrano stanchi e annoiati da una vita apparentemente monotona, ma col campionario di caratteri che gli passa davanti, con l'esperienza di tante vite ascoltate, forse avrebbero da raccontare più di molti romanzieri.


Lasciamo perdere i clienti occasionali, quelli che si vedono una volta sola, pagano e vanno via. Lasciamo perdere anche le comitive e le gite scolastiche, causa di fatiche improvvise e nevrotiche. Quelli che forniscono il vero materiale da osservazione siamo noi, i clienti abituali, noialtri fissi -e qualche volta anche fissati.


Tante volte entriamo per trovare un po' di quell'amicizia e di quella compagnia che spesso ci manca altrove. Un'amicizia un po' mercenaria, un momento di sfogo pagato a prezzi tutto sommato modici: un quotidiano, o un espressino e un cornetto (quando capita).


Ma non è quello che in fondo c'interessa. E' la possibilità di incontrare, anche se per pochi minuti, qualcuno che s'interessi a noi. Perché il tempo che si trascorre a ciondolare in un'edicola o in un bar è un buon indice della solitudine che si vive.


La solitudine, però, è un serpente che si morde la coda. Parliamo, sfogandoci, ci aspettiamo che loro s'interessino a noi, siamo molto attenti all'impressione che facciamo, ma quasi mai li guardiamo e li consideriamo veramente. Esiliati da noi stessi,in fondo non ci aspettiamo più di trovarci davanti a delle persone in carne e ossa.


Forse l'edicola o il bar sono luoghi dove non è possibile fare diversamente, e dobbiamo accontentarci di questo contatto fugace, fatto troppo spesso di parole da una parte sola. Ma dovremmo avere almeno un pensiero di gratitudine e un grande rispetto per chi pazientemente ci sta a sentire.


Giovanni Romano

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