La rubrica “Costume & Società” di RAI 2 ha mostrato i risultati di una ricerca canadese in base alla quale i bambini che dicono le bugie sarebbero più intelligenti di quelli abitualmente più sinceri. Questo perché inventare bugie costringe la mente a uno sforzo maggiore e a lavorare di più rispetto che attenersi “banalmente” alla verità.
La premessa ovvia è ammettere che sì, effettivamente i bambini sono dei gran bugiardi, e non solo loro. Tutti siamo stati bambini, tutti abbiamo imparato a mentire a mamma e papà per difenderci dalle punizioni, per vergogna o semplicemente per capriccio. E questa abitudine alla bugia, a quanto pare innata secondo quella stessa ricerca (che non si rende conto di aver dato in questo modo una grossa conferma al peccato originale), ce la porteremo fino alla tomba, fino all'estrema vecchiaia di chi ci arriverà. Da questo punto di vista, è inutile scandalizzarsi più di tanto. La ricerca non è contestabile a questo livello, ma nelle conclusioni che ha preteso di trarre.
La prima obiezione è relativa al milieu. “Dimmi dove fai ricerca e ti dirò chi sei”. Lo studio proviene da un ambiente assolutamente a-morale quale quello dell'empirismo anglosassone, per il quale le categorie di bene e di male, di vero e di falso non hanno né consistenza, né significato né legittimità. L'unica categoria ammessa, seguendo Popper, è quella della falsificabilità. Ma dietro questo criterio si nasconde il dogma ben più granitico del'efficacia. I bambini bugiardi “funzionano” meglio di quelli sinceri perché, evidentemente, raggiungono più facilmente i loro scopi rispetto agli altri.
C'è proprio da crederci, perché il più delle volte, per non dire tutte le volte, chi mente ha già uno scopo rispetto a chi si limita a constatare la realtà così com'è. La bugia non è tanto uno sforzo creativo quanto manipolativo dell'altro. E anche il concetto di “creatività” sbandierato con tanta soddisfazione sia dai ricercatori canadesi che dagli ingenui genitori intervistati merita di essere sottoposto a una severa critica. Cosa c'è, infatti, dietro questa “creatività”? Tramite la bugia o s'inventa qualcosa che non esiste, oppure si nega qualcosa che esiste. In entrambi i casi non si crea nulla di veramente nuovo. La bugia non arricchisce il mondo perché alla fine dei conti non ha aggiunto nulla al mondo, se mai ha nascosto qualcosa che si poteva o si doveva scoprire. Nella migliore delle ipotesi, ha fatto solo perdere tempo. Valeva la pena d'impiegare tanta intelligenza per approdare al niente?
Anche il concetto di “intelligenza” come lo intendono i ricercatori merita di essere discusso. Che cos'è un'intelligenza che non arretra di fronte al falso? Qui ovviamente non faccio una predica ai bambini ma a chi vuole dissuadere dal correggerli. Nel racconto di E. A. Poe La lettera rubata c'è un commento illuminante a questo proposito. Commentando l'acutissima intelligenza del ministro D., che ha tenuto in scacco per mesi tutta la polizia di Parigi con uno stratagemma tanto semplice quanto geniale, l'investigatore Dupin nota che “Egli è il vero monstrum horrendum, l'uomo di genio senza principi”. Un'intelligenza del genere può diventare un'arma pericolosissima contro gli altri, o semplicemente uno strumento sofisticato per giustificare il proprio cinismo o la propria vigliaccheria. Stiamo attenti a lodare chi è soltanto intelligente.
Giovanni Romano
La premessa ovvia è ammettere che sì, effettivamente i bambini sono dei gran bugiardi, e non solo loro. Tutti siamo stati bambini, tutti abbiamo imparato a mentire a mamma e papà per difenderci dalle punizioni, per vergogna o semplicemente per capriccio. E questa abitudine alla bugia, a quanto pare innata secondo quella stessa ricerca (che non si rende conto di aver dato in questo modo una grossa conferma al peccato originale), ce la porteremo fino alla tomba, fino all'estrema vecchiaia di chi ci arriverà. Da questo punto di vista, è inutile scandalizzarsi più di tanto. La ricerca non è contestabile a questo livello, ma nelle conclusioni che ha preteso di trarre.
La prima obiezione è relativa al milieu. “Dimmi dove fai ricerca e ti dirò chi sei”. Lo studio proviene da un ambiente assolutamente a-morale quale quello dell'empirismo anglosassone, per il quale le categorie di bene e di male, di vero e di falso non hanno né consistenza, né significato né legittimità. L'unica categoria ammessa, seguendo Popper, è quella della falsificabilità. Ma dietro questo criterio si nasconde il dogma ben più granitico del'efficacia. I bambini bugiardi “funzionano” meglio di quelli sinceri perché, evidentemente, raggiungono più facilmente i loro scopi rispetto agli altri.
C'è proprio da crederci, perché il più delle volte, per non dire tutte le volte, chi mente ha già uno scopo rispetto a chi si limita a constatare la realtà così com'è. La bugia non è tanto uno sforzo creativo quanto manipolativo dell'altro. E anche il concetto di “creatività” sbandierato con tanta soddisfazione sia dai ricercatori canadesi che dagli ingenui genitori intervistati merita di essere sottoposto a una severa critica. Cosa c'è, infatti, dietro questa “creatività”? Tramite la bugia o s'inventa qualcosa che non esiste, oppure si nega qualcosa che esiste. In entrambi i casi non si crea nulla di veramente nuovo. La bugia non arricchisce il mondo perché alla fine dei conti non ha aggiunto nulla al mondo, se mai ha nascosto qualcosa che si poteva o si doveva scoprire. Nella migliore delle ipotesi, ha fatto solo perdere tempo. Valeva la pena d'impiegare tanta intelligenza per approdare al niente?
Anche il concetto di “intelligenza” come lo intendono i ricercatori merita di essere discusso. Che cos'è un'intelligenza che non arretra di fronte al falso? Qui ovviamente non faccio una predica ai bambini ma a chi vuole dissuadere dal correggerli. Nel racconto di E. A. Poe La lettera rubata c'è un commento illuminante a questo proposito. Commentando l'acutissima intelligenza del ministro D., che ha tenuto in scacco per mesi tutta la polizia di Parigi con uno stratagemma tanto semplice quanto geniale, l'investigatore Dupin nota che “Egli è il vero monstrum horrendum, l'uomo di genio senza principi”. Un'intelligenza del genere può diventare un'arma pericolosissima contro gli altri, o semplicemente uno strumento sofisticato per giustificare il proprio cinismo o la propria vigliaccheria. Stiamo attenti a lodare chi è soltanto intelligente.
Giovanni Romano
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