Con l'arrivo della cattiva stagione si tirano fuori gli ombrelli, e prima o poi si presenta la necessità di ripararli. Qualche folata di vento che lascia una stecca deformata, il puntale che si piega, un fermo della tela che si stacca, ed ecco che l'ombrello diventa quasi inutilizzabile se non interviene una riparazione.
Il problema è trovare dove ripararli. Gli ombrellai sono praticamente spariti, e solo rarissimamente, non più di una volta all'anno, passa dalle mie parti un ambulante in macchina, che chiama i clienti col megafono. Ma come fa uno che abita al quinto o al settimo piano a precipitarsi in strada nei trenta secondi scarsi che quello resta ad aspettare? Non può certo mettersi a inseguirlo! Va a finire invariabilmente così: l'ambulante passa oltre perché non dà a nessuno il tempo di rispondere, e torna sempre meno perché crede che nessuno abbia bisogno di lui. Un circolo vizioso che ha fatto sparire un mestiere.
Quali possono essere le cause? Probabilmente la nostra abitudine allo spreco e gli affitti troppo alti dei locali che hanno costretto gli ombrellai a diventare girovaghi. Ci potrebbero essere dei rimedi? Forse uno o due: l'ambulante potrebbe usare il megafono per dare un numero di cellulare dove raggiungerlo, o meglio ancora potrebbe lasciare dei volantini con le indicazioni su come contattarlo.
Perché mi occupo di un problema in apparenza tanto marginale? Perché l'ombrello, almeno per me, è un oggetto che ci appartiene più profondamente di molti altri. Quando piove lo sentiamo protettivo più di un impermeabile o di un cappuccio. Ci appartiene anche perché, volenti o nolenti, dobbiamo averne cura e siamo costretti a non dimenticarlo. Il suo aspetto e il suo stile sono un messaggio anche nei confronti degli altri, comunicano a distanza quello che siamo. Quando si guasta o lo dobbiamo buttare, credo che nessuno lo faccia con l'indifferenza con cui si butta via uno stuzzicadenti.
Non dobbiamo infine dimenticare che con la crisi diventa più conveniente ripare che buttare. Del beneficio ambientale, e del cambiamento positivo di mentalità che viene dal rifiutare l'usa-e-getta, non è nemmeno il caso di parlare tanto la cosa è evidente.
Giovanni Romano
Il problema è trovare dove ripararli. Gli ombrellai sono praticamente spariti, e solo rarissimamente, non più di una volta all'anno, passa dalle mie parti un ambulante in macchina, che chiama i clienti col megafono. Ma come fa uno che abita al quinto o al settimo piano a precipitarsi in strada nei trenta secondi scarsi che quello resta ad aspettare? Non può certo mettersi a inseguirlo! Va a finire invariabilmente così: l'ambulante passa oltre perché non dà a nessuno il tempo di rispondere, e torna sempre meno perché crede che nessuno abbia bisogno di lui. Un circolo vizioso che ha fatto sparire un mestiere.
Quali possono essere le cause? Probabilmente la nostra abitudine allo spreco e gli affitti troppo alti dei locali che hanno costretto gli ombrellai a diventare girovaghi. Ci potrebbero essere dei rimedi? Forse uno o due: l'ambulante potrebbe usare il megafono per dare un numero di cellulare dove raggiungerlo, o meglio ancora potrebbe lasciare dei volantini con le indicazioni su come contattarlo.
Perché mi occupo di un problema in apparenza tanto marginale? Perché l'ombrello, almeno per me, è un oggetto che ci appartiene più profondamente di molti altri. Quando piove lo sentiamo protettivo più di un impermeabile o di un cappuccio. Ci appartiene anche perché, volenti o nolenti, dobbiamo averne cura e siamo costretti a non dimenticarlo. Il suo aspetto e il suo stile sono un messaggio anche nei confronti degli altri, comunicano a distanza quello che siamo. Quando si guasta o lo dobbiamo buttare, credo che nessuno lo faccia con l'indifferenza con cui si butta via uno stuzzicadenti.
Non dobbiamo infine dimenticare che con la crisi diventa più conveniente ripare che buttare. Del beneficio ambientale, e del cambiamento positivo di mentalità che viene dal rifiutare l'usa-e-getta, non è nemmeno il caso di parlare tanto la cosa è evidente.
Giovanni Romano
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