lunedì 24 marzo 2014

Dante, gli ignavi e il paradosso del Limbo



Agli occhi di un lettore del XXI° secolo l'Inferno di Dante presenta aspetti decisamente strani, per non dire paradossali. Ad esempio gli assassini sono puniti meno severamente degli usurai, degli sfruttatori di prostitute, degli indovini, dei ladri e dei falsari. Alcuni di questi paradossi possono essere spiegati con la fede nell'immortalità dell'anima e la concezione organica e comunitaria della società medievale: togliere la vita fisica a una persona (destinata comunque alla vita eterna) era meno grave che corromperle l'anima e destinarla all'eterna dannazione, oppure rovinarle la vita terrena con l'usura e il furto.

C'è tuttavia un paradosso più sottile, più profondo, che non riesco tuttora a spiegarmi: come mai Dante ha collocato nell'Antinferno le anime degli ignavi mentre quelle dei pagani meritevoli e giusti, e quelle dei bambini incolpevoli morti senza battesimo, si trovano nel Limbo, che pur essendo un luogo senza pene è un girone infernale a tutti gli effetti, collocato al di là dell'Acheronte? Tra gli ignavi ci saranno indubbiamente dei battezzati, specie se s'identifica con Papa Celestino V “colui che fece per viltade il gran rifiuto”. Inoltre, il comportamento indifferente verso Dio costituisce di per sé un'offesa a Lui, e non può certo essere attribuito a ignoranza incolpevole. Le anime di chi ha agito rettamente secondo la legge morale non dovrebbero essere dunque collocate più in alto di quelle degli ignavi?

Vorrei che qualche esperto di filosofia tomistica medievale mi chiarisse le idee, per farmi capire la scelta di Dante in base ai criteri del suo tempo.

Giovanni Romano

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