Una mia amica è andata
dall'estetista e mi ha raccontato di aver trovato una brava titolare,
scrupolosa e preparata. Era oberata di lavoro ma non poteva assumere
nessuna collaboratrice – così ha detto – per via delle tasse
troppo alte di cui l'avrebbero caricata se avesse allargato la
propria attività (già così il suo reddito se ne andava quasi tutto
in tributi). Ha dovuto anche rimandare indietro alcune donne che si
erano offerte di lavorare in nero, perché una visita
dell'Ispettorato del lavoro l'avrebbe rovinata e costretta a
chiudere.
Una storia banale, si
dirà. In giro c'è molto di peggio, storie di disperazione che
arrivano fino al suicidio, esempi rivoltanti di meschinità
burocratica e rapacità delle banche e del fisco. Come pure sono
banali le conclusioni che se ne possono trarre: la paranoia fiscale
del governo (e del vero padrone, la UE) è la prima causa della
disoccupazione e della mancata crescita invocata solo a parole
proprio da chi ci ha mandati alla rovina.
Ma il lato peggiore di
questa storia, quello che lascia l'amaro in bocca, è che sia
considerato normale che una
donna laboriosa e intraprendente sia costretta a faticare da sola
senza poter né allargare né migliorare la propria attività; che
sia considerato normale
impedire di assumere
grazie ad assurde barriere fiscali (che si traducono in una perdita
secca per lo stato, dal momento che i disoccupati non pagano le
tasse, o pagano molto meno di quello che pagherebbero se venissero
assunti); che sia considerato normale
considerare il lavoratore indipendente solo come un ladro, un
potenziale evasore da braccare con
i cani e spremere come un
limone anziché un produttore di lavoro e di ricchezza.
Si
dice che ogni popolo ha il governo che si merita. Sarebbe vero se
avessimo il potere di eleggere il governo che ci meritiamo, ma siamo
già al terzo esecutivo che non risponde al popolo sovrano. Forse
lavoratrici come lei meritano un governo migliore, molto migliore.
Giovanni Romano
Nessun commento:
Posta un commento