venerdì 28 marzo 2014

Miopia fiscale e disoccupazione

Una mia amica è andata dall'estetista e mi ha raccontato di aver trovato una brava titolare, scrupolosa e preparata. Era oberata di lavoro ma non poteva assumere nessuna collaboratrice – così ha detto – per via delle tasse troppo alte di cui l'avrebbero caricata se avesse allargato la propria attività (già così il suo reddito se ne andava quasi tutto in tributi). Ha dovuto anche rimandare indietro alcune donne che si erano offerte di lavorare in nero, perché una visita dell'Ispettorato del lavoro l'avrebbe rovinata e costretta a chiudere.

Una storia banale, si dirà. In giro c'è molto di peggio, storie di disperazione che arrivano fino al suicidio, esempi rivoltanti di meschinità burocratica e rapacità delle banche e del fisco. Come pure sono banali le conclusioni che se ne possono trarre: la paranoia fiscale del governo (e del vero padrone, la UE) è la prima causa della disoccupazione e della mancata crescita invocata solo a parole proprio da chi ci ha mandati alla rovina.

Ma il lato peggiore di questa storia, quello che lascia l'amaro in bocca, è che sia considerato normale che una donna laboriosa e intraprendente sia costretta a faticare da sola senza poter né allargare né migliorare la propria attività; che sia considerato normale impedire di assumere grazie ad assurde barriere fiscali (che si traducono in una perdita secca per lo stato, dal momento che i disoccupati non pagano le tasse, o pagano molto meno di quello che pagherebbero se venissero assunti); che sia considerato normale considerare il lavoratore indipendente solo come un ladro, un potenziale evasore da braccare con i cani e spremere come un limone anziché un produttore di lavoro e di ricchezza.

Si dice che ogni popolo ha il governo che si merita. Sarebbe vero se avessimo il potere di eleggere il governo che ci meritiamo, ma siamo già al terzo esecutivo che non risponde al popolo sovrano. Forse lavoratrici come lei meritano un governo migliore, molto migliore.

Giovanni Romano

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