La
cosiddetta "legge sulla buona scuola" ha riportato alla
ribalta, e anzi aggravato, un fenomeno sul quale bisognerebbe
riflettere seriamente, un male endemico del nostro paese, quella che
io chiamo la cattiva divisione del lavoro tra un Nord
"produttivo" e un Sud "impiegatizio".
Questo
divario e` venuto fuori con particolare crudezza nel momento in cui,
con l'inizio del corrente anno scolastico, in forza della legge di
cui sopra centinaia di insegnanti meridionali sono stati costretti a
scegliere se trasferirsi al Nord per ottenere il tanto sospirato
posto di ruolo o finire definitivamente per strada dopo anni di
precariato.
Non
e` mia intenzione esporre qui l'ennesimo cahier
des doléances
di una categoria fin troppo bistrattata, i giornali e i social
networks ne sono gia` pieni. Quello che mi interessa sono alcune
reazioni che denotano assoluta incomprensione del problema in se` e
nelle sue conseguenze a lungo termine.
Ho
sentito pronunciare da una dirigente scolastica un
discorso piu` o meno di questo tenore: "Ma che volete che sia,
quando eravamo supplenti tutti abbiamo dovuto viaggiare, adattarci,
arrangiarci... E adesso cosa pretendiamo, che il lavoro venga a casa
nostra? Siamo noi che dobbiamo andarlo a cercare, non viceversa! Io
stessa non esiterei a trasferirmi se fosse necessario. Non fanno
cosi` gia` i docenti universitari?".
Proprio
vero che il sazio non crede al digiuno! Fuor di metafora, e`
preoccupante il gap
che si sta creando tra una classe dirigente sempre piu` ristretta e
autoreferenziale e una moltitudine di esecutori sempre piu`
espropriati di ogni potere. Innanzituto, il paragone coi docenti
universitari o coi presidi e` fuorviante: a parte la vistosa
differenza di reddito in favore di queste due categorie, i primi non
di rado alloggiano spesati. Un insegnante deve pagarsi tutto di tasca
propria in localita` dove il costo della vita e` ben maggiore che al
Sud, con uno stipendio fermo da tempo immemorabile. Anche nella
migliore delle ipotesi, che speranze ha di mettere da parte qualcosa
per il futuro?
Veniamo
pero` al secondo e piu` grave aspetto del problema: la cattiva
divisione del lavoro. E` una categoria interpretativa fin
troppo rozza, sono il primo ad ammetterlo. Il Nord ha numerose
eccellenze di alta
cultura (il Salone del Libro, la Biennale a Venezia, il Politecnico
di Torino solo per fare qualche esempio), cosi` come il Sud,
specialmente negli ultimi anni, ha sviluppato sacche di imprenditoria
dinamica e innovatrice. Tuttavia qui si discute dell'istruzione media
che
viene impartita dalla scuola di stato, e della media
imprenditoria diffusa sul territorio. Prima ancora che recriminare
sulla "deportazione" degli insegnanti (fenomeno comunque
traumatico e negativo) dovremmo chiederci perche`
la maggioranza assoluta degli insegnanti proviene dal Sud, e perche`
al Nord sono scarsissimi gli autoctoni che decidono di intraprendere
questo lavoro.
Il
motivo e` crudamente economico: perche` mai il figlio o la figlia di
un imprenditore quantomeno benestante dovrebbero scegliere
l'insegnamento con la sua snervante trafila di precariato,
subordinazione e trasferimenti se possiedono gia` un lavoro che li
rendera` indipendenti e ben remunerati senza bisogno di spostarsi da casa propria? E`
vero che la crisi e la dissennata politica fiscale dei nostri governi
hanno in parte distrutto questo modello, ma al Nord l'idea di
imtraprendere, di farcela da soli, di non mendicare un
posto
ma trovarsi un
lavoro
resta ancora valida.
Quale
sfogo occupazionale puo` invece trovare la piccola borghesia
meridionale, dal momento che ancora adesso, al netto delle eccezioni
di cui sopra, le attivita` imprenditoriali sono monopolizzate da
pochi potenti, ostacolate in ogni modo dalla burocrazia, non di rado
possedute da imprese estere che nulla curano dell'occupazione o del
futuro dei propri lavoratori? Per i piu` restano soltanto la carriera
militare, le forze dell'ordine e il pubblico impiego, ivi compresa la
scuola.
Questo
ha portato a una colonizzazione incrociata in cui le due parti del
paese parlano linguaggi diversi e si sopportano malvolentieri: il Sud
si sente economicamente colonizzato e sfruttato dal Nord, il Nord si
sente soffocato e incompreso da una burocrazia importata dal Sud.
Il
problema e` particolarmente delicato nella scuola: quale
istruzione va a impartire, sia pure con tutta la sua buona volonta`,
chi non conosce il territorio e la sua storia, chi incolpevolmente ne
ignora la mentalita`, le tradizioni, le sfumature? E` un problema
strutturale, non di cultura e nemmeno di bravura. In una scuola cosi`
impostata si finisce inevitabilmente per parlare un linguaggio
standardizzato, astratto, lontano dalla vita reale, un discorso,
piu` che un insegnamento.
Ed e` questo probabilmente il risultato che lo stato cerca
deliberatamente di ottenere: l'omologazione del modo di pensare,
l'imposizione di un pensiero unico. Lo ottiene, ma a prezzo della
sterilita` e dell'incomunicabilita`tra il popolo e l'istituzione, tra
un discorso ufficiale in cui nessuno realmente crede e una vita che
non trova strumenti culturali per esprimersi.
Chi
scrive queste righe ha vissuto sulla propria pelle questa esperienza.
Per sei indimenticabili anni ho vissuto in Maremma e l'ho dovuta
lasciare, con rimpianto infinito, proprio quando avevo iniziato ad
assimilare una cultura, una storia, un modo di pensare costruito da
innumerevoli generazioni di cui nemmeno immaginavo l'esistenza e di
fronte alle quali ero semplicemente un ospite temporaneo. Me ne sono
dovuto andare proprio quando anche le buche per la strada
cominciavano a diventare un problema mio.
Se
questo modello di scuola continuera` (e non c'e` nessun segno che
mostri un'inversione di tendenza, anzi!) ne pagheremo il prezzo non
solo coi disagi dei docenti che dovranno trasferirsi - cosa di cui
allo stato non importa nulla - ma ben piu` gravemente col distacco
tra un "paese legale" autoreferenziale e autoritario e un
"paese reale" sempre piu` apatico o peggio ancora risentito
senza sbocchi.
Giovanni
Romano
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