A
volte non è vero che le cifre parlino da sole, anche se la vittoria
della destra alle elezioni umbre di ieri è stata netta, travolgente,
incontenibile. 57,55% dei voti, 37,48% alla sinistra, uno stacco del
20,07%. Crolla il M5S al 7,33%, Forza Italia è ormai in agonia con
il 5,50%, Fratelli d’Italia decolla col 10,40%. Contro questa
débâcle
non c’è alibi che tenga:
anche l’affluenza ha fatto registrare un’impennata, il 52,80%
contro il 39,90% delle regionali 2015, un salto del 12,90%
in più.
In
estrema sintesi, il voto rivela che:
- L’Italia non è, non è mai stato e non sarà un paese di sinistra. Una partecipazione così ampia significa una sola cosa: gli elettori hanno ritrovato speranza e determinazione;
- Il M5S si è rivelato per quello che è: uno specchietto per le allodole che per troppo tempo ha catturato, ingannato e neutralizzato la sincera volontà di cambiamento degli italiani;
- Alle urne vincono le proposte forti e non i “moderati” come FI che, come il M5S ma con successo molto minore, cercano di intercettare e vanificare la volontà popolare (lavorando sottobanco con Renzi);
Tutto
questo a dispetto di una copertura mediatica che definire
oltraggiosamente parziale è poco, a dispetto di tutto uno
schieramento cattocomunista – particolarmente consolidato in Umbria
– arrivato fino ai francescani di Assisi che hanno pregato perché
la Lega non vincesse (la prossima volta si rivolgano a Pachamama,
visto che San Francesco, a quanto pare, non gli ha dato ascolto).
Che
la Regione rossa “modello” fosse un disastro, al di là della
facciata di tranquillità e benessere, ha dovuto ammetterlo persino
un giornale schierato come Il Corriere della Sera
nella sua corrispondenza di oggi:
(…)
l'Umbria ha progressivamente smesso di essere un modello. Piuttosto:
assunzioni in cambio di voti e spartizioni, tutte interne al
centrosinistra, nelle comunità montane, nelle istituzioni pubbliche,
negli enti e ovunque ci sia possibilità di avere o gestire potere.
Con un sistema ferroviario fermo agli anni Settanta, con 3.770
aziende sparite dal 2010 ad oggi, il piI ridotto di 8 punti
percentuali, 1'80% della spesa corrente risucchiata dai costi della
sanità.
Con
una situazione del genere, ci sarebbe stato da meravigliarsi se
l’esito del voto fosse stato diverso!
Possiamo
dire dunque che “l’Umbria è libera”? No, o meglio non ancora.
l’Umbria – e con lei l’Italia intera – è da liberare, e il
cammino sarà lungo. Prima di tutto perché un sistema consolidato di
potere come quello umbro – dov’è forte anche la massoneria, non
dimentichiamolo – non si smantella dall’oggi al domani.
I
posti chiave (banche, cooperative, media, università, magistratura)
sono al di fuori della volontà degli elettori, e certamente
opporranno una lunga, sorda resistenza. Verrebbe da dire agli
elettori del centro-destra, ben più fiduciosi nelle procedure
democratiche della loro controparte: per favore non tornate a casa!
Non pensate che tutto sia finito! Non scaricate la battaglia politica
sulle spalle dei vostri rappresentanti pensando che risolveranno
tutti i problemi per voi! Cominciate a diventare popolo,
riunitevi, costituite
associazioni, leggete criticamente i giornali, intervenite
sui
media, seguite i consigli
comunali, provinciali e
regionali ogni volta che potrete, contatevi, conoscetevi, fate rete!
Solo così eviterete che si
decida nuovamente alle vostre spalle e che i vostri eletti rimangano
senza appoggio!
Cantava
Gaber: “La libertà è partecipazione”. Voi umbri
l’avete dimostrato. Avete
creduto nella democrazia, nel cambiamento pacifico e democratico,
molto di più della sinistra che ora strilla al “ritorno del
fascismo e del sovranismo”. Non
credete che col voto il vostro compito di cittadini sia finito: avete
visto quante volte ormai il voto popolare è stato tradito da governi
che nessuno ha eletto.
Abbiate
il coraggio di abrogare più che potete i provvedimenti stolti e
iniqui che la legge vi consente di abrogare: in questo momento è più
importante che accumulare nuove norme.
Buona
fortuna e buon lavoro,
per voi
e per tutti gli italiani.
Giovanni
Romano
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