mercoledì 19 maggio 2021

Non è una chat. È un'epidemia

La notizia è vecchia ma il problema resta.


Tra tanti delitti, prepotenze, corruzione, litigi e bugie che sono il pane quotidiano dell'attualità, è passata quasi inosservata una notizia che forse i TG hanno taciuto per pudore: nel Modenese, un gruppo di una sessantina di ragazze di età dai 14 ai 16 anni aveva creato una chat segreta su WhatsApp in cui si scambiavano foto molto osé, spesso completamente nude. Il “fidanzatino” di una di loro aveva scaricato e salvato le immagini sul proprio PC e da qui le foto erano finite su Internet, si può immaginare con quale costernazione e vergogna delle interessate.

Il ragazzo giura e spergiura di non essere stato lui: sostiene che un hacker avrebbe violato il suo computer e messo in rete le foto. Può anche darsi che dica la verità, ma questo episodio, boccaccesco solo in apparenza, induce a riflessioni molto serie.

In primis, il gran numero delle minorenni coinvolte. Una decina o al massimo una dozzina sarebbero già state troppe, ma sessanta non è una chat, è un'epidemia. Perché questo bisogno di mostrarsi senza veli? Per complicità femminile? Per esplorare la loro sessualità ancora acerba? Da dove viene un comportamento così sconcertante? Il milieu è quello di un ambiente completamente secolarizzato, l'opulenta provincia emiliana, tra ragazze presumibilmente “di buona famiglia” (media borghesia benestante), tutte frequentanti la scuola superiore. C'è però da chiedersi quale traccia abbiano lasciato tanta scolarizzazione e tanto benessere sulla loro mentalità e sui loro valori.

In secondo luogo, l'assoluta sventatezza dei “nativi digitali”. Non solo la perdita dei freni inibitori da parte delle ragazze di fronte all'anonimato apparente di una chat “segreta” e all'intimità altrettanto apparente di un selfie, ma anche la somma imprudenza di affidare foto così intime a un estraneo di sesso maschile, benché “fidanzato” (si sa quanto sia labile questa definizione, specialmente oggi e specialmente a quell'età). Quest'ultimo poi, anche ammesso che non sia direttamente colpevole, ha commesso a sua volta una leggerezza imperdonabile (voyeurismo a parte) conservando le foto sul PC senza proteggerlo adeguatamente. Il che smonta per l'ennesima volta il luogo comune secondo il quale i “nativi digitali”, non si sa per quale miracoloso istinto, sappiano tutto del computer e soprattutto come comportarsi, senza bisogno di guida né di sorveglianza da parte degli adulti. Se mai, è proprio questa illusione di familiarità e di padronanza del mezzo a far diminuire le cautele e abbandonare le precauzioni più elementari.

Da un punto di vista più generale, c'è molto da interrogarsi su una scienza alleata o meglio sottomessa all'istinto. Nessuna generazione nella storia ha mai avuto mezzi paragonabili ai nostri, nessuna li sta usando così male. Ma non di scienza si tratta qui bensì di tecnologia. La scienza è il contrario dell'istinto: è concentrazione, tensione verso la scoperta, interesse verso la realtà, spirito di sacrificio che taglia corto con le distrazioni; la tecnologia è la cristallizzazione della scienza in strumenti che si possono usare senza interrogarsi sulla portata delle proprie azioni. Non tanto la scienza quanto la tecnologia può essere piegata all'istinto, come abbiamo visto nel caso di Modena e in tutta la nostra modernità.

Né la scienza né la tecnologia, comunque, possono dirci qualcosa su chi siamo veramente o come dobbiamo comportarci per non venire meno a noi stessi. L'episodio di Modena dimostra, al di là di ogni altra considerazione, come queste ragazze abbiano considerato la propria immagine, il proprio “sé” più intimo, come illimitatamente disponibile, sia pure confinato nella privacy illusoria di una chat “segreta”. L'essere umano sperduto nel cyberspazio pensa di essere completamente padrone di sé; in realtà cade fin troppo spesso in preda ai capricci più momentanei. La possibilità di condividerli non è socializzare: al contrario è un moltiplicatore di solitudine e di vulnerabilità. Possiamo considerarci evoluti fin che vogliamo ma anche dietro la tastiera o davanti all'obiettivo di uno smartphone, se non ci guida niente altro che il nostro impulso, siamo solo “pecore senza pastore”.


Giovanni Romano


Nessun commento: