Ha fatto scalpore ieri la decisione dell’Università di
Milano-Bicocca di cancellare un corso di lezioni su Fëdor Dostoevskij che si
sarebbe dovuto tenere mercoledì prossimo 9 marzo a cura dello scrittore Paolo
Nori, autore di Sanguina ancora. L’incredibile
vita di Fëdor M. Dostoevskij (qui i dettagli della vicenda). La reazione è
stata immediata: due autrici, Claudia Zonghetti (cui si deve la traduzione più
recente de I Fratelli Karamazov) e
Anna Lovisolo, hanno pubblicato online le email del protettore alla didattica e
della rettrice dell’Università, invitando a inviare messaggi per esprimere il
proprio dissenso. Di fronte a una tempesta di critiche provenienti sia dalla
Rete che dai suoi stessi docenti, l’Università ha fatto quasi immediatamente marcia
indietro e ha annunciato che il corso si sarebbe tenuto (qui tutti i dettagli).
Ma era ormai troppo tardi per rimediare alla pessima figura, e l’inopportuno
consiglio dato a Nori di “aggiungere scrittori ucraini al suo corso su Dostoevskij”
ha provocato la rinuncia spazientita dell’Autore, che ha rotto i rapporti con l'Università e annunciato che il corso si terrà altrove (vedi l’articolo di Repubblica a questo link: https://tinyurl.com/3awts3ej).
A prima vista, sembra sconcertante che persino uno scrittore
morto da centoquarant’anni, e per giunta un genio universale come Dostoevskij,
sia stato coinvolto nell’attuale conflitto russo-ucraino. Si è parlato di grossolana
ignoranza storica, di una ondata di isterismo che si indirizza ciecamente contro tutto
quel che è russo, dallo sport alla musica, dal cinema alla lirica (ricordiamo
il licenziamento del direttore d’orchestra Valery Gergiev e del soprano Anna
Netrebko dal Teatro alla Scala, rei di non essersi dissociati da Putin). È di
queste ore la notizia che persino i gatti russi (razza molto pregiata, tra l’altro)
sono stati banditi dalle mostre internazionali feline. Se la notizia fosse
confermata, abbiamo toccato il fondo del grottesco politically correct.
Ma siamo sicuri che l’allontanamento di Dostoevskij
sia stato così arbitrario? Le motivazioni date dall’Università suonano
generiche e vaghe, ma avrebbero potuto essere più circostanziate. Dostoevskij,
è giusto ricordarlo, dopo la sua conversione era diventato un convinto
nazionalista grande russo e un sostenitore dello zarismo,. Chi ha letto i suoi romanzi
e i suoi saggi non può fare a meno di notare l’atteggiamento caricaturale, e
non di rado ostile, con cui rappresenta gli ebrei e i polacchi, la convinzione
che la Russia non facesse parte dell’Europa “decadente e corrotta” ma fosse diversa
dal resto del mondo perché aveva il compito messianico di redimere tutti i
popoli nel nome di Cristo. Era molto prevenuto verso i cattolici e la Chiesa di
Roma, li accusava di proselitismo, legalismo, doppiezza, sottomissione al
potere spirituale di una oligarchia clericale, crudeltà nel reprimere ogni
dissenso. A differenza di Tolstoj, non condannò la sanguinosa repressione della
rivolta polacca del 1863-64, e nei suoi romanzi i polacchi sono sempre
rappresentati come spacconi vanagloriosi, meschini furbastri che vivono di
espedienti o poco più.
Non è quel che si dice il curriculum di un impeccabile
pacifista internazionalista. Ma riversare su Dostoevskij le colpe dell’aggressione
di Putin all’Ucraina è assurdo tanto quanto sono assurde le accuse di “omofobia”,
“islamofobia”, “antisemitismo” e “razzismo” mosse a Dante e alla Divina Commedia qualche anno fa (1).
Questo pone un problema: cosa si può accettare, e cosa
rifiutare, nell’opera e nella figura di un genio universale? Altrimenti detto:
cosa ci appartiene e cosa non ci appartiene di Dostoevskij? Quello che ha dato
a tutto il mondo controbilancia gli aspetti più limitati e settari del suo
carattere e della sua opera?
Domande retoriche e
risposta scontata. C’è qualche scrittore dell’epoca moderna che possa anche
lontanamente parlare a ciascuno di noi, interrogarlo a fondo sul bene e sul
male, come ha fatto Fëdor Dostoevskij? Il suo sguardo non aveva nulla a che
vedere con l’ideologia ma partecipava in pieno del dramma dell’uomo in quanto
tale. Un genio è certamente influenzato dai suoi limiti ma li supera di
slancio, tanto che un altro genio, l’ebreo Sigmund Freud, ebbe a definire I Fratelli Karamazov "il più grande
romanzo mai scritto". Possiamo trovare in Dostoevskij delle ristrettezze mentali
e degli errori di giudizio specialmente in relazione ai suoi orientamenti
politici, ma non si può né si deve dimenticare l’immensità dei suoi
orizzonti spirituali, la straordinaria bravura di artista con cui ha dato vita
a personaggi indimenticabili, la profondità sconcertante con cui ha saputo
leggere non solo il suo tempo ma anche i tempi a venire.
È fin troppo banale
concludere che senza di lui il mondo sarebbe più povero, come è fin troppo
ovvio affermare che la pace non si costruisce mettendo al bando i grandi
artisti solo perché appartengono alla parte “sbagliata”. Dostoevskij non è
patrimonio dei soli russi ma dell’umanità intera, e dunque va letto, studiato,
approfondito anche nel bel mezzo di una guerra, anzi forse proprio nel bel mezzo di una guerra.
Qualche volta, persino nonostante lui.
Giovanni Romano
1. Vedi il mio articolo del 16 marzo 2012.
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