Nel mio paese, almeno fino a qualche tempo fa, chi era tornato dall'emigrazione in un altro paese diceva spesso: "Ah, ma in Svizzera ti arrestano, se solo butti una carta per terra!". Agli occhi della buona gente questo rigore, evidentemente, era una grande prova di civiltà.
Questo non è un blog trasgressivo. E' contro i trasgressivi a buon mercato. Questo non è un blog onesto o politicamente corretto. E' contro gli onesti e i politicamente corretti di professione. Questo non è un blog fuori dal coro, perché al suo autore piace la musica corale e l'unità tra le persone che essa crea.
domenica 11 giugno 2006
Carte sporche e coscienze pulite
venerdì 2 giugno 2006
Abbiamo la Repubblica, ma non abbiamo le navi...
Approfittando della ricorrenza del 2 giugno, e lasciando perdere il modo in cui l'hanno celebrata, vorrei riflettere su una questione apparentemente marginale: la mancanza d’identità repubblicana delle nostre navi militari.
Il ruggito del coniglio
Sarebbe facile lamentarsi del chiassone, del disturbatore, chiedere l’intervento della PS, dei Carabinieri, dei Vigili Urbani, dell’esercito e dei paracadutisti. Ma chi c’è sopra quella moto, e cosa vuole dire con quei ruggiti notturni? Provocazione, solitudine, sfida, rabbia, bravata, senso di vuoto? Perché logorare un bel motore accelerando e decelerando all’impazzata? Perché non andare fuori città, e scatenare lì la moto in tutta la sua potenza?
Che domanda ingenua! Il Nostro forse non è un vero centauro. Non ama la moto, ma l’effetto che produce attraverso la moto. Fuori città non c’è nessuno, tutti quei ruggiti si perderebbero nel vuoto indifferente della notte deserta. Lui ha bisogno di noi, di un pubblico che deve ascoltarlo per forza. Ha bisogno di farsi sentire, di sentire lui quanto è bello e grosso e potente il suo giocattolo. Perché senza il suo giocattolo, chissà, nessuno si accorgerebbe che esiste. E’ sulla moto che si sente forte, forse perché il suo io è debole. Debole da far pietà, e lo dico senza disprezzo. Provo pietà per quelle bravate sempre uguali a se stesse, per quella moto che gira in tondo senza scopo, e per una vita che –s’intuisce- al di là del rumore con cui si tenta di soffocare l’inquietudine, si condanna anch’essa a girare in tondo senza scopo.
Giovanni Romano