sabato 10 ottobre 2009

Beati i parlatori di pace... o no? - La sindrome di Felsemburgh


Se qualcuno fosse rimasto sorpreso del confermimento del Premio Nobel per la pace a Barack Obama, può stare tranquillo. Se è vero che il più delle volte il Comitato ha saputo premiare dei veri giganti nel loro campo (Camus, Einstein, Fermi, i coniugi Curie, Solzenicyn, Golgi, Tagore, Pasternak, per citare solo alcuni) altre volte ha premiato dei perfetti sconosciuti che tali sono rimasti anche dopo il premio (quanti sanno, ad esempio, che tanto Giosuè Carducci quanto Grazia Deledda furono premi Nobel per la letteratura? In Italia pochissimi e all'estero nessuno), oppure delle mediocrità presuntuose come Dario Fo, o persino degli scrittori che hanno inneggiato alla dittatura e al totalitarismo come Knut Hamsun o Mikhail Sholochov.

Non deve dunque sorprendere la nomina di Obama in sé. Sorprende invece il dichiarato carattere "d'incoraggiamento" del premio conferito a un presidente che, per obiettive difficoltà e mancanza di tempo, non ha ancora messo termine a nessuna guerra, non ha riconciliato ebrei e palestinesi, non ha fermato il riarmo nucleare iraniano e si è mostrato molto accondiscendente verso regimi totalitari come la Cina e Cuba.

Lo stesso Obama, a onor del vero, ha dichiarato onestamente di essere rimasto sorpreso da un premio che quasi certamente non si aspettava, o non si aspettava tanto presto. La Commissione, a sua volta, ha dichiarato di avergli conferito il Nobel per la nuova impostazione che ha portato nei rapporti internazionali. Finita l'epoca delle decisioni unilaterali e degli atti di forza à la Bush, è l'ora del dialogo e della concertazione.

Sulla carta il ragionamento non fa una grinza. Finché si ragiona non ci si bastona, dice il proverbio, e secondo la massima di Cicerone: "Niente è perduto con la pace, tutto può esserlo con la guerra". Il guaio è che, piaccia o non piaccia, il mondo non è un giardino di rose, e se si vuole dialogare anche con dittatori, fanatici e terroristi bisogna farlo da una posizione di forza, e soprattutto non bisogna mai rinunciare a usarla se necessario.

Obama invece, e ancor più coloro che gli hanno voluto conferire il Nobel, sono forse convinti che la conflittualità mondiale sia stata causata da un atteggiamento troppo aggressivo e arrogante da parte degli USA e dell'Europa. Che sinistra miopia! Come faceva notare Roberto De Mattei nel suo libro Guerra Santa guerra giusta (Piemme 2002), spesso non siamo noi che scegliamo il nemico, ma è il nemico che sceglie noi, anche se non l'abbiamo provocato in alcun modo. L'11 settembre 2001 gli USA non occupavano un solo metro quadrato di terra musulmana, né avevano intenzione di farlo. Eppure furono aggrediti in maniera atroce e senza motivo.

Questo errore di prospettiva -illudersi che il male passi se ci limitiamo a non reagire- sarebbe già grave di suo, ma nel Nobel a Obama è entrato probabilmente in gioco anche un secondo fattore, più rozzo per alcuni aspetti e più sottille per altri. Un fattore che chiamerei "La sindrome di Felsemburgh", dal nome del protagonista del romanzo Il padrone del mondo di Robert Hugh Benson. Come romanzo è un disastro, scritto in modo approssimativo e quasi infantile, ma è straordinariamente penetrante nell'aver intuito le mostruosità che abbiamo ora sotto gli occhi: l'apostasia di massa e lo svuotamento della fede, il controllo totale dello stato sulle menti dei cittadini, le manipolazioni genetiche, la persecuzione dei cristiani e dei cattolici in particolare, perfino l'eutanasia quasi obbligatoria per legge. E pensare che il romanzo fu scritto nel 1907, ben prima di Noi di Zamjatin, di Brave New World di Huxley e di Nineteen Eighty-Four di Orwell!

Giuliano Felsemburgh è il giovane ed energico presidente dell'Umanità Unita a cui vengono conferiti poteri illimitati per creare finalmente un mondo giusto, pacifico, onesto, senza guerre e senza sofferenza. E soprattutto senza Dio. Con lo Stato Mondiale, col potere affidato al superuomo Felsemburgh, l'Umanità Unita spera finalmente di diventare padrona del proprio destino. Più nessun tabù, più nessun limite morale o materiale. Ma la liberazione è illusoria, Felsemburgh si rivela sempre più un dittatore crudele e senza scrupoli, anche perché assolutamente convinto di essere "l'eletto della Storia". L'unico ostacolo che ancora gli sbarra il passo verso il potere definitivo e senza limiti sono la Chiesa e i cattolici, perché gli ricordano che l'uomo è limitato, debole, pieno di errori e non può diventare Dio. Da qui una persecuzione senza tregua contro un numero sempre più piccolo di fedeli, fino a una conclusione assolutamente a sorpresa che qui non è il caso di rivelare.

E' ovvio che Obama non è certo un Felsemburgh, ma su di lui l'umanità ha appuntato delle speranze non dissimili. Il lato più rozzo della "sindrome di Felsemburgh" è appunto considerarlo un Messia che dovrebbe mettere magicamente le cose a posto. Ma questa è un'ingiustizia anche nei suoi confronti, perché Obama si è certo presentato come un presidente dalle idee chiare, ma non ha mai preteso di avere la bacchetta magica per risolvere tutti i problemi. Dal versante più sottile -e più inquietante- Obama viene visto come il presidente dell'umanità autosufficiente, la giovane promessa che finalmente dimostrerà che l'umanità può farcela da sola, senza chiedere nulla a nessuna entità superiore e senza sentirsi limitata da nulla. Lo dimostra il fatto che Obama ha rimosso le barriere alla sperimentazione genetica sugli embrioni umani e voglia togliere qualsiasi limitazione all'aborto, anche a sviluppo quasi completo del bambino. La più grande guerra che sia mai stata dichiarata alla vita umana.

Questo, a mio parere, è il significato del Nobel per la Pace che gli è stato conferito. Una "pace" che si fa mettendo a tacere molte domande, rinunciando a dire e a sostenere la verità (come nel caso di Cuba e della Cina). Un premio Nobel che un po' s'inserisce nel filone degli ultimi che l'hanno preceduto, come quello a Wangari Maathai, che si è occupata solo di piante, o agli allarmismi isterici sul clima di Al Gore. Ma la pace si fa tra gli uomini, e solo in secondo luogo con le piante o col clima. Da questo punto di vista, non vorrei che il Nobel a Obama fosse un premio dove l'uomo è diminuito per l'ennesima volta.

Giovanni Romano

P.S. N.1: Ma non era stato Nostro Signore a dire "Beati gli
operatori di pace", non semplicemente beati i parlatori di pace?

P.S. N.2: Avreste conferito il premio Nobel per la Pace a Neville Chamberlain, che per "dialogare" con Hitler distrusse la Cecoslovacchia e contribuì a scatenare la Seconda Guerra Mondiale?

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