Caro Don Corinno,
non so se il mio intervento sia opportuno in un momento terribile come questo. Lei ha dovuto condividere, e sta condividendo, l'immenso dolore dei genitori di Yara. Lei ha pianto con loro ed è rimasto in silenzio con loro, perché in un'occasione come questa non c'è nulla che si possa dire, solo portare insieme il lutto con la propria presenza, per quello che si può.
Lei ha avuto il grande coraggio di proclamare a viso aperto l'orribile verità che il mostro potrebbe essere nel paese, tra i conoscenti della famiglia e della ragazzina. E allora perché, di fronte a questo dolore che richiederebbe riflessione e silenzio da parte di ognuno di noi, ha deciso di suonare ogni ora le campane a festa e non a lutto? Sì, Yara è un angelo e la morte non deve avere l'ultima parola, ma quel suono gioioso stride troppo con un dolore umano che chiede ragione. Non sono io che Le devo ricordare le parole dell'Ecclesiaste: c'è un tempo per ogni cosa, tempo per ridere e tempo per piangere. E questo non è il momento della gioia, o non lo è ancora. Ci lasci per favore le nostre lacrime che sono anch'esse una domanda a Dio prima di ogni risposta. Suoni piuttosto le campane a morto, come si faceva una volta. Con quei rintocchi lenti e terribili ci richiami alla brevità della vita e al mistero del dolore, così che ognuno sia interpellato e che soprattutto l'assassino, se è tra i Suoi parrocchiani, si senta sconvolgere e mordere senza sentirsi prematuramente assolto.
Lei ha avuto il grande coraggio di proclamare a viso aperto l'orribile verità che il mostro potrebbe essere nel paese, tra i conoscenti della famiglia e della ragazzina. E allora perché, di fronte a questo dolore che richiederebbe riflessione e silenzio da parte di ognuno di noi, ha deciso di suonare ogni ora le campane a festa e non a lutto? Sì, Yara è un angelo e la morte non deve avere l'ultima parola, ma quel suono gioioso stride troppo con un dolore umano che chiede ragione. Non sono io che Le devo ricordare le parole dell'Ecclesiaste: c'è un tempo per ogni cosa, tempo per ridere e tempo per piangere. E questo non è il momento della gioia, o non lo è ancora. Ci lasci per favore le nostre lacrime che sono anch'esse una domanda a Dio prima di ogni risposta. Suoni piuttosto le campane a morto, come si faceva una volta. Con quei rintocchi lenti e terribili ci richiami alla brevità della vita e al mistero del dolore, così che ognuno sia interpellato e che soprattutto l'assassino, se è tra i Suoi parrocchiani, si senta sconvolgere e mordere senza sentirsi prematuramente assolto.
Mi scusi lo sfogo, Don Corinno. Ho la disgrazia di avere un carattere triste e permaloso. Ma l'allegria delle campane a festa oggi, proprio oggi, non la capisco.
Giovanni Romano