martedì 8 marzo 2011

"Chi entra Papa esce cardinale" (anche a Milano)

Così recita un ironico proverbio romanesco, e i romani di Papi se ne intendono. A quanto pare, forse a Milano se ne intendono un po' meno, specialmente al Corriere della Sera. Un articolo del 4 marzo riportava come requisito indispensabile per il futuro cardinale arcivescovo di Milano (e
secondo la non modesta opinione del Corriere, anche futuro Papa) la capacità di essere “un grande interlocutore per il mondo laico”, e non esitava a fare il nome del neo-porporato Gianfranco Ravasi, o in seconda battuta del Patriarca di Venezia Mons. Angelo Scola.


In teoria non c'è nulla da eccepire a un requisito del genere. E' chiaro che un pastore, e non soltanto il pastore una diocesi come Milano, deve sapere interloquire con tutti, intellettuali o incolti, atei o credenti. Ma deve interloquire con ciascuno in quanto persona, incontrandolo nel suo bisogno più vero e lasciando alla porta etichette e paludamenti. L'equivoco -voluto- del Corriere è far credere che in una diocesi (e a Milano, poi!) siano solo gli intellettuali ad avere importanza, con il resto del popolo di Dio ridotto a una massa d'ignoranti degni al massimo di ironico compatimento da parte delle intelligenze superiori, quelle che disquisiscono dalla cattedra dei non credenti.


C'è veramente da stupirsi di tanto provincialismo e di tanta immodestia. Con Papa Giovanni Paolo II e Papa Benedetto XVI, la Chiesa ha dilatato il suo respiro a una dimensione mondiale. Nulla garantisce che il futuro Papa sia italiano. E nemmeno, come scrive il Corriere, Milano può essere considerata “la diocesi più importante del mondo”. La più importante d'Italia certamente sì, ma su che cosa si misura la sua importanza su scala mondiale? Probabilmente il Corriere avrà adottato un criterio economico-aziendale, perché, se dovesse basarsi sulla percentuale dei frequentanti la Messa, si accorgerebbe che diocesi come Manila, Seul, tutte quelle africane, persino quelle nei paesi islamici la battono di gran lunga. E sulle cause di questa desertificazione è meglio tacere.


Un altro rilievo che si può muovere all'articolo è la sufficienza verso i movimenti ecclesiali, specialmente Comunione e Liberazione, da cui il Cardinale Scola a detta del Corriere si sarebbe quasi emancipato. Chi scrive ha avuto la fortuna di conoscerlo di persona abbastanza a lungo quando era Vescovo di Grosseto, e può testimoniare che proprio l'appartenenza al Movimento è stato lo spunto per aprirsi a tutti, non un limite da superare.


Cosa dire, in conclusione? A voler essere polemici, ci sarebbe da sorridere di fronte all'autoreferenzialità laica del Corriere. Ma alle tre somme autorità interpellate nell'articolo (Alberto Melloni, Benny Lai e Giancarlo Zizola) vorrei sommessamente ricordare che Nostro Signore venne da dove nessuno se l'aspettava. Venne da una periferia dimenticata e da una stirpe dimenticata ma non decaduta. E i primi che volle incontrare furono i pastori e la gente semplice, non gli intellettuali. E forse l'attuale Papa se ne ricorderà molto più di loro nella scelta del futuro pastore.


Giovanni Romano

1 commento:

FLG ha detto...

Concordo, ma quando si dice che la diocesi di Milano è grossa, s'intende che è effettivamente la più grande del mondo per estensione. Che poi ci ricamino su...beh.
In quanto al detto milanese, si dice invece che "chi entra cardinale esce Papa". Le qualità, poi, che un cardinale milanese dovrebbe avere - a dispetto del Corriere - sono politiche. O meglio, avere quelle capacità che faceva di Sant'Ambrogio un vescovo sapiente pur restando fedele a Cristo.