sabato 29 marzo 2014

Anche le famiglie sanno leggere (mi spiace per Scalfarotto)

L'intervento di Ivan Scalfarotto, sottosegretario alle riforme, diffuso dall'Agenzia ANSA il 24 marzo scorso, ribatteva al collega Gabriele Toccafondi che in un'intervista al settimanale TEMPI aveva espresso gravi perplessità per una sictcom gay destinata alle scuole, e protestava perché Vladimir Luxuria era stato invitato a un'assemblea scolastica a Modena senza che i genitori dei ragazzi fossero informati e senza alcun contraddittorio.

Vale la pena commentare per esteso la dichiarazione di Scalfarotto perché mostra molto bene le bugie e i sofismi con cui si cerca di far passare l'ideologia del gender e l'imbavagliamento di chi la pensa diversamente. Tanto per cominciare, l'intervento si apre con un tono di supponente ironia verso il collega che viene trattato da irredimibile troglodita: Se avesse letto il testo licenziato dalla Camera, il sottosegretario Toccafondi saprebbe che la legge protegge espressamente il diritto di opinione, che del resto è protetto dall’articolo 21 della Carta fondamentale.”

Effettivamente il testo licenziato dalla Camera e presentato al Senato è piuttosto annacquato rispetto al disegno di legge originalmente presentato dallo stesso Scalfarotto il 13 marzo 2013 (vale la pena leggerlo qui). Ma il merito non è certamente di Scalfarotto, che nella stesura originale e nella sua relazione di accompagnamento al disegno di legge non accennava minimamente alla libertà di opinione. Alcune delle sue affermazioni, al contrario, erano decisamente inquietanti. Ad esempio, il disegno di legge proponeva di sostituire all'espressione propaganda di idee discriminanti (di cui al decreto legge 26 aprile 1993 n.122) la mera diffusione. Chiunque può vedere che questo è un concetto interpretabile con larghissimo arbitrio: sotto questa mannaia l'omelia di un sacerdote, la citazione di un versetto biblico, il rifiuto di partecipare a una festa di matrimonio gay o la semplice espressione del proprio disagio di fronte a una coppia omoparentale sarebbero tutti da considerare “diffusione di idee discriminanti” e come tali da punire con la reclusione fino a un anno e sei mesi? Altrettanto dicasi per la sostituzione della parola finalità con la ben più vaga motivi, e istigazione (comportamento definito con molta precisione dal Codice Penale, ad esempio nell'art.414) con incitamento. Inoltre l'art. 5 del disegno di legge stabiliva che la circostanza aggravante dell'”omofobia” “è sempre considerata prevalente sulle ritenute circostanze attenuanti”. Come difesa della libertà di espressione non c'è male.

L'ironia si fa sofisma quando Scalfarotto nega che ci fosse bisogno di un contraddittorio per Luxuria: “Quanto alla partecipazione di Vladimir Luxuria a un’assemblea scolastica – aggiunge – il segretario Toccafondi dice che in questi casi ci sarebbe bisogno di contraddittorio. Questo e’ un concetto che fa a pugni con il buon senso. Forse che quando invitiamo nelle scuole altre minoranze c’e’ bisogno di contraddittorio? Toccafondi suggerisce forse di invitare i negazionisti quando si parla di antisemitismo o il Ku Klux Klan quando si parla di razzismo? E, infatti, a questo serve l’Unar: a combattere tutte le discriminazioni, secondo le innumerevoli raccomandazioni di Unione Europea e Consiglio d’Europa sull’argomento.”

Se c'è qualcosa che fa a pugni col buon senso sono proprio argomentazioni come queste. Paragonare le famiglie ai negazionisti dell'Olocausto o al Ku Klux Klan è oltraggioso a dir poco. È una tattica ben collaudata: soffocare un dibattito minimizzando la posta in gioco (ma se si trattasse semplicemente di buon senso, perché chiamare in causa l'UE e il Consiglio d'Europa, due organizzazioni che da sempre spalleggiano gli attacchi alla famiglia?). Il risultato pratico è che i genitori non c'entrano più niente con l'educazione dei propri figli.

Di particolare interesse la conclusione di Scalfarotto, che rivela forse involontariamente i retroscena del suo modo di pensare: vergogna per la propria cultura di appartenenza, complesso di inferiorità verso il Nordeuropa, supino adeguamento agli stereotipi imposti dall'UE, fino a una conclusione imprevista che mette davvero a disagio:

E’ piuttosto l’Italia ad essere in una posizione pochissimo invidiabile di fanalino d’Europa sul tema dei diritti e delle libertà della persona: parlo di diritti Lgbt, ma penso anche alla vicenda delle carceri e al recente richiamo del Capo dello Stato sul fine vita”.

Vi sembra normale che un discorso partito da tutt'altre premesse debba concludersi con un accenno così funereo al fine vita? E come mai, nella cultura politica della sinistra, le rivendicazioni sulla parità vanno sempre insieme con quelle sulla morte?

Giovanni Romano

venerdì 28 marzo 2014

Miopia fiscale e disoccupazione

Una mia amica è andata dall'estetista e mi ha raccontato di aver trovato una brava titolare, scrupolosa e preparata. Era oberata di lavoro ma non poteva assumere nessuna collaboratrice – così ha detto – per via delle tasse troppo alte di cui l'avrebbero caricata se avesse allargato la propria attività (già così il suo reddito se ne andava quasi tutto in tributi). Ha dovuto anche rimandare indietro alcune donne che si erano offerte di lavorare in nero, perché una visita dell'Ispettorato del lavoro l'avrebbe rovinata e costretta a chiudere.

Una storia banale, si dirà. In giro c'è molto di peggio, storie di disperazione che arrivano fino al suicidio, esempi rivoltanti di meschinità burocratica e rapacità delle banche e del fisco. Come pure sono banali le conclusioni che se ne possono trarre: la paranoia fiscale del governo (e del vero padrone, la UE) è la prima causa della disoccupazione e della mancata crescita invocata solo a parole proprio da chi ci ha mandati alla rovina.

Ma il lato peggiore di questa storia, quello che lascia l'amaro in bocca, è che sia considerato normale che una donna laboriosa e intraprendente sia costretta a faticare da sola senza poter né allargare né migliorare la propria attività; che sia considerato normale impedire di assumere grazie ad assurde barriere fiscali (che si traducono in una perdita secca per lo stato, dal momento che i disoccupati non pagano le tasse, o pagano molto meno di quello che pagherebbero se venissero assunti); che sia considerato normale considerare il lavoratore indipendente solo come un ladro, un potenziale evasore da braccare con i cani e spremere come un limone anziché un produttore di lavoro e di ricchezza.

Si dice che ogni popolo ha il governo che si merita. Sarebbe vero se avessimo il potere di eleggere il governo che ci meritiamo, ma siamo già al terzo esecutivo che non risponde al popolo sovrano. Forse lavoratrici come lei meritano un governo migliore, molto migliore.

Giovanni Romano

lunedì 24 marzo 2014

Dante, gli ignavi e il paradosso del Limbo



Agli occhi di un lettore del XXI° secolo l'Inferno di Dante presenta aspetti decisamente strani, per non dire paradossali. Ad esempio gli assassini sono puniti meno severamente degli usurai, degli sfruttatori di prostitute, degli indovini, dei ladri e dei falsari. Alcuni di questi paradossi possono essere spiegati con la fede nell'immortalità dell'anima e la concezione organica e comunitaria della società medievale: togliere la vita fisica a una persona (destinata comunque alla vita eterna) era meno grave che corromperle l'anima e destinarla all'eterna dannazione, oppure rovinarle la vita terrena con l'usura e il furto.

C'è tuttavia un paradosso più sottile, più profondo, che non riesco tuttora a spiegarmi: come mai Dante ha collocato nell'Antinferno le anime degli ignavi mentre quelle dei pagani meritevoli e giusti, e quelle dei bambini incolpevoli morti senza battesimo, si trovano nel Limbo, che pur essendo un luogo senza pene è un girone infernale a tutti gli effetti, collocato al di là dell'Acheronte? Tra gli ignavi ci saranno indubbiamente dei battezzati, specie se s'identifica con Papa Celestino V “colui che fece per viltade il gran rifiuto”. Inoltre, il comportamento indifferente verso Dio costituisce di per sé un'offesa a Lui, e non può certo essere attribuito a ignoranza incolpevole. Le anime di chi ha agito rettamente secondo la legge morale non dovrebbero essere dunque collocate più in alto di quelle degli ignavi?

Vorrei che qualche esperto di filosofia tomistica medievale mi chiarisse le idee, per farmi capire la scelta di Dante in base ai criteri del suo tempo.

Giovanni Romano

lunedì 10 marzo 2014

Quando vi chiederanno cosa significa "morire con dignità"...

... pensate a Mario Palmaro (nella foto), insegnante, giornalista, cattolico di grande e limpida fede. Uno dei pochi che non si sono mai arresi al politicamente corretto e al buonismo bugiardo che stanno prendendo sempre più piede nella Chiesa.

Non l'ho mai conosciuto di persona ma ho letto con passione i suoi libri e i suoi interventi sempre coraggiosi e controcorrente. Il suo era "Sì, sì, no, no", senza ambiguità e cedimenti o compromessi con le mode del pensiero dominante. È come se avessi perso un amico, anche se sono sicuro che da dove è ora pregherà per noi, per le nostre difficoltà e per il nostro mondo che corre ciecamente alla rovina.

Mi permetto di riportare la sua ultima testimonianza, scritta poco tempo prima della morte avvenuta ieri. Spero che di fronte a parole così vere e profonde chi blatera di eutanasia e di "morte dignitosa" sosti almeno per un attimo in rispettoso silenzio.

"Con la malattia capisci per la prima volta che il tempo della vita quaggiù è un soffio, avverti tutta l’amarezza di non averne fatto quel capolavoro di santità che Dio aveva desiderato, provi una profonda nostalgia per il bene che avresti potuto fare e per il male che avresti potuto evitare. Guardi il crocifisso e capisci che quello è il cuore della fede: senza il Sacrificio il cattolicesimo non esiste. Allora ringrazi Dio di averti fatto cattolico, un cattolico “piccolo piccolo”, un peccatore, ma che ha nella Chiesa una madre premurosa.

Dunque, la malattia è un tempo di grazia, ma spesso i vizi e le miserie che ci hanno accompagnato durante la vita rimangono, o addirittura si acuiscono. È come se l’agonia fosse già iniziata, e si combattesse il destino della mia anima, perché nessuno è sicuro della propria salvezza.

D’altra parte, la malattia mi ha fatto anche scoprire una quantità impressionante di persone che mi vogliono bene e che pregano per me, di famiglie che la sera recitano il rosario con i bambini per la mia guarigione, e non ho parole per descrivere la bellezza di questa esperienza, che è un anticipo dell’amore di Dio nell’eternità. Il dolore più grande che provo è l’idea di dover lasciare questo mondo che mi piace così tanto, che è così bello anche se così tragico; dover lasciare tanti amici, i parenti; ma soprattutto di dover lasciare mia moglie e i miei figli che sono ancora in tenera età. Alle volte mi immagino la mia casa, il mio studio vuoto, e la vita che in essa continua anche se io non ci sono più. È una scena che fa male, ma estremamente realistica: mi fa capire che sono, e sono stato, un servo inutile, e che tutti i libri che ho scritto, le conferenze, gli articoli, non sono che paglia.

Ma spero nella misericordia del Signore, e nel fatto che altri raccoglieranno parte delle mie aspirazioni e delle mie battaglie, per continuare l’antico duello". (Mario Palmaro, 5 giugno 1968 - 09 marzo 2014)