Non avrei voluto scrivere questo articolo, perché sulla strage di Parigi si sta scrivendo tutto e il contrario di tutto. C'è chi l'ha presa a pretesto per attaccare la società multirazziale, chi ha incitato allo scontro di civiltà, chi ha ricordato che nelle stesse ore della strage di Parigi Boko Haram ammazzava duemila cristiani in Nigeria (nella completa indifferenza dei nostri media), chi ha colto l'ennesima occasione per attaccare Papa Bergoglio, chi ha parificato scelleratamente Cristo e Maometto accusandoli di fomentare il fondamentalismo, chi come Salman Rushdie ha auspicato un "intrepido disprezzo" verso la religione.
Lascio ad altri la cura di sviscerare tutto questo, io mi limito a un titolo di giornale che mi ha particolarmente colpito perché rappresenta il peggiore epitaffio possibile per un uomo che meritava ben altro rispetto. Si tratta del poliziotto magrebino Hamed Merabet, finito dai terroristi in fuga mentre giaceva agonizzante sul marciapiede.
Il Daily Mail di ieri è infatti uscito con questo titolo a dir poco sconcertante:
"È morto difendendo il diritto
di ridicolizzare la sua fede"
Non è una boutade, l'hanno scritto sul serio, riprendendo un tweet apparso in rete e che in pochi minuti è diventato virale.
Il solo fatto che una frase come questa sia stata scritta, sia stata immediatamente ripresa dal Web e sia diventata il titolo di un giornale a diffusione mondiale dovrebbe farci riflettere. Prima di tutto, c'è da chiedersi se sia stata dettata da una intempestiva emotività. Non sappiamo se Merabet fosse stato espressamente distaccato a protezione del settimanale Charlie Hebdo, a differenza di Franck Brisolaro. Probabilmente, sentendo gli spari e vedendo due uomini armati la sua reazione più logica e immediata è stata quella di affrontarli. Non sapremo mai se si fosse reso conto che quei due uomini avevano attaccato proprio quel giornale. In ogni caso è stato davvero un eroe perché non ha esitato a ingaggiare un combattimento impari contro avversari ben più armati. Ma da qui a dire che è morto per autorizzare altri a mettere in ridicolo la sua fede, perdonatemi, ce ne corre, e molto.
Questo vuol dire che se Merabet si fosse reso conto che stavano sterminando la redazione del Charlie Hebdo avrebbe dovuto guardare dall'altra parte? Certamente no, ed è qui che si tocca il cuore del problema, il motivo vero per cui i giornalisti del settimanale andavano protetti anche a costo della vita.
Immaginiamo che al posto di quel poliziotto fossi stato io, cristiano cattolico, perfettamente al corrente delle sconcezze, delle bestemmie e delle volgarità contro la Madonna, Cristo e la mia religione, spesso senza un briciolo di intelligenza o di vero humor, che erano il pane quotidiano di quei giornalisti "illuminati". Non avrei difeso il loro diritto di bestemmiare, da cristiano li avrei difesi semplicemente perché erano esseri umani, creature come me, in cui Dio spera fino all'ultimo istante della vita come mi auguro speri nella mia.
Questo, e non altro, era il motivo per difenderli. Custodire la loro vita, non la loro libertà di bestemmiare. Che tollerare le beffe alla propria fede sia considerato una virtù è il peggior sintomo del relativismo in cui siamo caduti, insulto grave alla memoria di un poliziotto valoroso come Hamed Merabet.
Giovanni Romano
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