Molti
poeti odierni (o molti che si credono tali) non hanno idea della
tortura alla quale sottopongono i lettori, un po' come i giacobini
che ghigliottinavano la gente con la coscienza perfettamente
tranquilla perche` "era per il loro bene". Accumulano
immagini astruse, accostando acrobaticamente allusioni note solo a
loro, saltano di palo in frasca spezzando il filo logico della poesia
e costringono il lettore allo sforzo snervante di scervellarsi a
rincorrere verso per verso quello che avranno voluto dire nonche`
collegarlo ai versi precedenti. Il tutto nell'illusione di essere
"originali".
Ma
la grande poesia non cerca di essere "originale" a ogni
costo, cerca di partecipare nel modo piu` autentico possibile a
un'esperienza del mondo, e solo in questo modo incontra il lettore e
riesce a catturarlo. Non importa quanto sia interiore questa
esperienza, l'importante e` che attinga a quello che Hannah Arendt
chiamava "mondo comune", un mondo di immagini, esperienze e
pensieri che il poeta prova prima di tutti ma che il lettore si
sorprende di avere anch`egli dentro di se`. Sotto questo aspetto
Emily Dickinson, Baudelaire o Quasimodo sono perfettamente
comprensibili.
La
mia, pero`, non vuole essere l'ennesima, scontata presa in giro dei
poeti mediocri: sarebbe come sparare alla Croce Rossa. In realta`,
sto parlando di un dramma. Anche il poeta "mediocre" si
sente colpito e interrogato da quello che vede e da quello che gli
accade. Anche il poeta "mediocre" sente il richiamo e
l'urgenza di rispondere con un verso, con un canto, con la sua
sensibilita`, insomma con tutto quello che fa di lui una creatura
umana tanto quanto Shakespeare. Il guaio e` che le intenzioni non
bastano, la spinta c`e` ma non il risultato.
Non
si tratta di una maggiore quantita` di esperienze del "grande"
poeta rispetto agli altri. Ciascuno di noi, anche il piu` negato alla
scrittura, nella sua vita apparentemente banale accumula esperienze e
sentimenti che basterebbero per un'intera epica (come ha dimostrato
Joyce nell'Ulisse).
Ma le grandi opere epiche si contano sulle dita di una mano.
Non
si tratta di un diverso modo di vivere o di una diversa, piu` elevata
moralita`. Tra i grandi poeti abbiamo avuto assassini e ladri come
Villon e individui assolutamente miti e inoffensivi come Virgilio.
Non
si tratta nemmeno (o si tratta soltanto in parte) di "ispirazione"
o di maggiore capacita` tecnica. Umberto Eco ha correttamente osservato ne Il
nome della rosa
che anche le grandi poesie uscite apparentemente piu` di getto dalla
penna dell'autore, sono state in realta` lavorate, riviste
innumerevoli volte, tormentosamente rielaborate fino a trovare la
forma definitiva. A mio parere Eco da` un'importanza eccessiva
all'aspetto tecnico, ma la sua osservazione resta
valida. Un'intuizione, per raggiungere la sua piena grandezza, ha
bisogno di molto lavoro. Ed e` qui che il dramma cui accennavo
raggiunge il suo acme. Al poeta mediocre non manca affatto la
capacita` di lavoro, ma la sua spesso e` una fatica di Sisifo. Crea,
corregge, elabora e pubblica per una vita intera senza mai
raggiungere quella densita`, quella intensita` bruciante, quel
fulmine di immedesimazione che scatta quando leggiamo un grande
autore. Supremo paradosso: il genio in poesia e` capace di
raggiungermi con una tale immediatezza da farmi sentire che alcuni
versi avrei potuto scriverli io. Da qui la sua apparente, ingannevole
"semplicita`".
The
Fool Rushes In Where Angels Fear to Tread,
scriveva Alexander Pope con pesante disprezzo verso i meno dotati di
lui. A me personalmente dispiace per il destino di tante persone in
buona fede, tuttavia non posso fare a meno di osservare che le
lettere sono si` una repubblica, ma fortunatamente non una
democrazia.
Giovanni
Romano
Nessun commento:
Posta un commento