«I turbamenti e le sofferenze dovuti
all'immigrazione sono già in atto»
(Card. Giacomo Biffi, «Sulla
immigrazione», settembre 2000)
Chi avrebbe mai pensato che la trovata delle palme
in Piazza Duomo a Milano avrebbe destato tante polemiche, tanto
risentimento e tanta rabbia sfociati addirittura in un attentato
incendiario? Si noti che ho evitato di proposito le parole «odio» e
«razzismo» che sono in realtà comode scappatoie per non
comprendere il disagio che cova dietro questa vicenda assurda solo in
apparenza.
Come mai questa
installazione è stata avvertita come un'imposizione, quasi come una
violenza culturale inflitta alla città di Milano, alla sua storia e
al suo habitat?
Non è forse vero, come ha dimostrato l'amministrazione Sala, che le
palme erano state installate in quella stessa piazza già alla
fine dell’800 senza che a nessuno fosse
venuto in mente di protestare?
A parte il confronto tra le due foto, in cui la
presenza delle palme a fine ‘800 era molto più discreta di quella
odierna (a mio giudizio assai pacchiana), c’è da tenere conto che
il contesto storico-culturale è
profondamente mutato. L'Italia di allora
era un paese colonizzatore cui le palme non facevano impressione, anzi
rappresentavano una sorta di trofeo. Quel che è «esotico» e
«coloniale» è remoto per definizione,
collocato a distanza di sicurezza in un remoto spazio fisico e mentale, che desta tutt'al più curiosità se non un certo orgoglio. Oggi invece l'Italia è un paese invaso da
folle di «migranti» che vengono avvertiti come una minaccia, una
prepotenza, una prevaricazione anche culturale con particolare
riferimento all'islam.
Probabilmente nessuno dei tanti che predicano
contro l' «odio» e il «razzismo» ricorda - o vuole ricordare -
che nel novembre 2009 migliaia di islamici, in spregio ai divieti
della Prefettura, ruppero i cordoni della polizia e invasero il sagrato di Piazza Duomo per farne un luogo di preghiera musulmano. Fu un inequivocabile gesto di
sopraffazione e intimidazione verso i cristiani. Forse è proprio questa presenza sempre più ingombrante ad aver scatenato l'avversione e i
sarcasmi contro le palme. Anche
le immagini caricaturali del Duomo trasformato in moschea diventano
molto più comprensibili in questa prospettiva.
A ciò si aggiunga il fatto che a volere le palme
non è stato tanto il Comune ma la multinazionale americana Starbucks che ha
dichiarato apertamente di voler assumere solo personale straniero in
nome della
«lotta-al-razzismo-all'omofobia-al-bullismo-alla-xenofobia-e-all'intolleranza-ecc.-ecc.-ecc.».
I milanesi - o quanto meno un gran numero di loro - si sono sentiti
dunque emarginati due volte: economicamente perché una
multinazionale estera ha
imposto il proprio progetto con la sua forza economica,
e culturalmente perché sono costretti
anche a sorbirsi i fervorini politicamente
correttissimi di una cultura omologante che
li espropria della loro identità.
Bruciare le palme, però, a
parte essere un gesto tanto violento quanto stupido, è soprattutto
sintomo di debolezza, di un’impotenza sempre più diffusa che non
trova vie culturali o politiche per manifestarsi, della
perdita di controllo sul proprio destino e sulla propria economia. Un
segnale di conflitto e di disagio che non dovrebbe essere sottovalutato.
Giovanni Romano
1 commento:
Analisi lucidissima. Non sapevo del caso ottocentesco. E' sempre la solita storia: si abusa di parallelismi superficiali, calpestando il senso della storia, per forzare una interpretazione conforme...
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