venerdì 11 gennaio 2008

Eva Braun: quando il candore non è innocenza


Complice un'influenza, sono rimasto chiuso in casa per qualche giorno, e ho avuto modo di guardarmi dei DVD arretrati. Tra questi c'era un cofanetto doppio, con i filmini girati da Eva Braun nei suoi momenti privati e familiari, sia con Hitler che con altre personalità del Terzo Reich.

Confesso di essere rimasto assolutamente sconcertato. Questi filmati stanno al Terzo Reich come l'aneddotica alla storia. Non rivelano assolutamente niente, non spiegano niente, non dicono niente. Chi volesse capire qualcosa del nazismo farebbe meglio a guardare persino i cinegiornali del regime.

Quello che sconcerta in questi filmati è appunto la loro banalità. Nonostante Eva Braun avesse ambizioni di attrice e regista, ha un occhio curioso ma non profondo. Leni Reifenstahl seppe fare molto meglio. Se non fosse che nelle sue riprese al Berghof compaiono Hitler e un sacco di personaggi che hanno lasciato un (cattivo) segno nella storia, i suoi filmini sarebbero quelli, tutto sommato banali e ripetitivi, di qualsiasi famiglia della media borghesia: festicciole, bambini, scampagnate, crociere e gite in montagna. Le inquadrature veramente pacchiane sono per fortuna molto rare, ma lo sono anche quelle che si potrebbero definire "poetiche". Nella maggior parte dei casi, domina la convenzione, la scontatezza, della scena si coglie il particolare più appariscente e non quello più significativo, oppure compaiono dei dettagli irrilevanti che sciupano l'insieme.

Mi ha colpito in particolare la mancanza di due cose: non si vede mai nessuno con un libro in mano, e nei suoi viaggi Eva non riprese mai nessuna chiesa. Tutta borghesia benestante e appagata, completamente laica: le gite, i cani e i conigli, le piccole buffonerie tra amici davanti alla macchina da presa. Il culto della fisicità e del salutismo, anche. L'obiettivo di Eva indugia un po' troppo sui bambini nudi (è significativo che in Italia a quell'epoca non se ne vedevano), sulle gambe nude e sui corpi seminudi delle amiche, e lei stessa non sottrae all'obiettivo il suo notevole fisico. Non è propaganda nazista, in un certo senso è peggio: è la dimostrazione di quanto il nazismo fosse ormai diventato mentalità corrente.

La storia in pantofole, si dirà. Ma quella, appunto, non è storia. Anzi rischia di essere una forma nemmeno mascherata di apologia. "Hitler in pantofole" diventa un comodo paravento per attutire l'orrore dei suoi delitti. A questo proposito, un mio amico mi ha fatto osservare molto acutamente che un tiranno veramente diabolico deve avere necessariamente qualche lato simpatico e umano, altrimenti nessuno lo seguirebbe. E' un'osservazione profondamente giusta. Se è vero che "piccoli difetti fanno dimenticare grandi virtù", è purtroppo vero anche l'inverso: grandi difetti, o addirittura tendenze criminali come in questo caso, vengono messi in ombra da piccole insulse virtù.

Un altro aspetto degno di considerazione è l'effetto che la vicinanza col potere fece su tutta la famiglia Braun. La madre, fervente cattolica (e dispiace dirlo) fin dall'inizio fu conquistata e aderì senza riserve al nazismo. Il padre, maestro elementare, aveva avuto addirittura dei trascorsi di antinazista, ma la sua conversione fu addirittura più impressionante di quella della moglie. Si trovò ben presto a suo agio nei privilegi e nell'agiatezza economica che gli dava una simile vicinanza all'uomo più potente d'Europa. Non dimentichiamo che nella Germania degli anni '20-'30 i viaggi, specialmente quelli in aereo, le crociere, le boutiques di alta moda, erano appannaggio esclusivo di una cerchia molto ristretta dell'alta borghesia. I Braun se ne servirono largamente e senza alcun imbarazzo, e per tutta la durata della guerra, tanto che alla fine si resta nauseati, oltreché annoiati, dalle continue immagini di festicciole e gite mentre intorno la Germania finiva in cenere sotto i bombardamenti. Una parabola esemplare sulla corruzione che il potere è capace di produrre.

E poi il paradosso dei bambini. I nazisti avevano un vero culto delle nascite, del numero (previo screening eugenetico, ovviamente). Ma nessuna cultura, nessuna civiltà è buona solo perché è prolifica. Fa male vedere quelle creature in mezzo ai gerarchi; sconcertano i padri in feldgrau che scherzano coi loro piccoli -tutti biondi, per carità!- vestiti di bianco. Mi è venuto in mente il Vangelo, che a questo proposito è il massimo del realismo: anche gli uomini cattivi sanno dare cose buone ai loro figli. Gesù cercava di prendere gli uomini sulle cose che loro stessi potevano capire.

Fa male pensare ai bambini atrocemente sacrificati della famiglia Goebbels, o al peso di coscienza che più d'un figlio di gerarchi ha dovuto portare dopo la guerra.

Sconcerta ancora di più che in fondo la stessa Eva fosse una bambina, quanto accettasse l'ambiente senza domande e senza discussioni. La sua però era, mi si passi il paradosso, un'ingenuità non innocente. Il DVD non riporta le opinioni di Eva a proposito degli ebrei o della politica hitleriana: probabilmente accettava con la massima naturalezza quello che diceva la propaganda. Traudl Junge, segretaria privata di Hitler, più fortunata e forse più assennata della Braun, racconta che per molto tempo dopo la guerra si giustificò pensando che a quell'epoca era giovane, che era rimasta abbagliata dal potere e dal prestigio di Hitler... Finché un giorno non passò davanti a un monumento in memoria di Sophie Scholl e scoprì che avevano la stessa età. "Da allora in poi non ho avuto più scuse", scrisse. "Lei era giovane come me, ma aveva visto. Io non avevo voluto vedere".

Così anche Eva Braun. Era talmente candida da non essere innocente. I suoi filmati non solo non danno alcun contributo a spiegare il mistero Hitler, ma lo rendono, se mai, ancora più fitto.


Giovanni Romano

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