E' difficile giudicare la ritirata di Papa Benedetto XVI. Dico subito che non mi colloco tra coloro che lo hanno lodato, né tantomeno tra quelli che sostengono come la sua rinuncia sia stata una "vittoria" contro il fanatismo e l'intolleranza che gli hanno impedito di parlare. Le condanne -tutte tardive- non modificano di una linea il fatto crudo che in una università statale, quindi pagata anche coi soldi dei cattolici, i fanatici antireligiosi hanno riportato una vittoria completa. Non solo dal punto di vista dell'ordine pubblico bensì, molto più a fondo, anche da quello culturale e dell'immagine.
Ma la mia, lo ammetto, può essere un'accusa più che temeraria. Cercherò allora di spiegarmi il più a fondo e il più obiettivamente possibile.
Direi che la virulenza della contestazione di un gruppo anche numericamente insignificante ma molto agguerrito, sia di docenti che di studenti, ha spiazzato tutti. E soprattutto ha dimostrato quanto sia radicato e paralizzante il complesso d'inferiorità dei cattolici nei confronti della pseudo-cultura laicista.
Che gli anticristiani e gli atei abbiano cercato d'impedire al Papa di parlare non fa meraviglia. E' il loro sporco mestiere. Quello che fa meraviglia però è la passività assoluta, la mancanza totale di reazione tempestiva ed efficace da parte dei tanti gruppi cattolici pur presenti in Università.
E' vero però che, mentre gli autonomi, i collettivi, i disobbedienti e compagnia bella sono militarmente organizzati in proporzione inversa alla diffusione e alla popolarità delle loro idee, i cattolici, almeno sinora, si sono sempre sentiti maggioranza, e non hanno mai sentito il bisogno di darsi un'organizzazione quasi paramilitare. Per questo, anche la forza cattolica più attivamente presente in Università -Comunione e Liberazione- è stata probabilmente colta di sorpresa e non è riuscita a organizzare una contro-mobilitazione che però avrebbe portato certamente allo scontro fisico (cosa che il Papa avrà voluto evitare).
Questo però non toglie nulla alla gravità del sopruso che hanno subito tanto il Papa quanto tutti i cattolici. Al momento della sua elezione. Papa Benedetto XVI, con grande umiltà, aveva invitato i fedeli a pregare perché non si lasciasse prendere dalla paura e non fuggisse davanti ai lupi. Purtroppo è successo precisamente questo. Il pastore è fuggito.
Possiamo fargliene una colpa? No e si. No, perché Cristo stesso più di una volta fuggì di fronte ai suoi nemici, quando però non era ancora giunta la sua ora, e nessuno, credo, pretenderebbe da un vecchio ultraottantenne il coraggio spaccone da Braccio di Ferro. O di San Pietro, per restare in argomento.
Sì, invece, se si guardano le conseguenze più ampie del suo ritiro. A ragione o torto, il Papa ha dato l'idea non solo di essere fisicamente vulnerabile, ma soprattutto di non saper opporre la sua testimonianza e i suoi argomenti di fronte all'odio e all'intolleranza cieca. Di fatto, è come aver nuovamente accettato la separazione tra fede e ragione contro la quale il Papa si è tanto tenacemente battuto. E se qualcuno pensa che alla politica o ai media verrà un soprassalto di dignità e comprensione, si sbagliano di grosso. Al contrario: interpreteranno la rinuncia all'invito come un segno di debolezza non solo del Papa in quanto individuo, ma dello stesso pensiero cattolico, che corre a rinchiudersi in Piazza San Pietro e in sacrestia perché ha paura del confronto con il mondo esterno. Al mondo piace chi vince, purtroppo, anche se Cristo stesso non ebbe paura di fare la figura del perdente.
Ma quei quattro scalzacani che si gloriano di aver fermato il Papa si limiteranno forse a questo? No, gli attacchi alla Chiesa e al cristianesimo diventeranno sempre più pesanti, dato che la Chiesa manca del coraggio di reagire. Già in queste ore il Parlamento porta avanti caparbiamente l'ideologia del "gender". E se il Papa non ha il coraggio di sostenere pubblicamente la propria posizione, con quale autorità la Chiesa potrà dire no a questa manipolazione idologica, come pure ai matrimoni gay, all'eugenetica, all'aborto? E come potrà il Papa chiedere rinunce e sacrifici dai cristiani in un mondo tanto ostile, se lui per primo si è eclissato?
I commentatori dicano quello che vogliono e cerchino di girare la frittata quanto gli pare. All'Università di Roma ha vinto una cultura che ormai scopertamente vuole sbarazzarsi di Dio e di Cristo. Ha vinto la cultura dell'uomo autosufficiente, che esclude dal suo orizzonte Dio e chiunque fa riferimento a Dio. A questa cultura andava data una risposta fermissima e personale, una testimonianza pubblica che purtroppo non c'è stata. Ora i credenti si sentiranno più soli, anche moralmente più in balia del politicamente corretto e di un sentimento sempre più paralizzante d'inferiorità verso chi li sta relegando con disprezzo nelle sacrestie.
Che gli anticristiani e gli atei abbiano cercato d'impedire al Papa di parlare non fa meraviglia. E' il loro sporco mestiere. Quello che fa meraviglia però è la passività assoluta, la mancanza totale di reazione tempestiva ed efficace da parte dei tanti gruppi cattolici pur presenti in Università.
E' vero però che, mentre gli autonomi, i collettivi, i disobbedienti e compagnia bella sono militarmente organizzati in proporzione inversa alla diffusione e alla popolarità delle loro idee, i cattolici, almeno sinora, si sono sempre sentiti maggioranza, e non hanno mai sentito il bisogno di darsi un'organizzazione quasi paramilitare. Per questo, anche la forza cattolica più attivamente presente in Università -Comunione e Liberazione- è stata probabilmente colta di sorpresa e non è riuscita a organizzare una contro-mobilitazione che però avrebbe portato certamente allo scontro fisico (cosa che il Papa avrà voluto evitare).
Questo però non toglie nulla alla gravità del sopruso che hanno subito tanto il Papa quanto tutti i cattolici. Al momento della sua elezione. Papa Benedetto XVI, con grande umiltà, aveva invitato i fedeli a pregare perché non si lasciasse prendere dalla paura e non fuggisse davanti ai lupi. Purtroppo è successo precisamente questo. Il pastore è fuggito.
Possiamo fargliene una colpa? No e si. No, perché Cristo stesso più di una volta fuggì di fronte ai suoi nemici, quando però non era ancora giunta la sua ora, e nessuno, credo, pretenderebbe da un vecchio ultraottantenne il coraggio spaccone da Braccio di Ferro. O di San Pietro, per restare in argomento.
Sì, invece, se si guardano le conseguenze più ampie del suo ritiro. A ragione o torto, il Papa ha dato l'idea non solo di essere fisicamente vulnerabile, ma soprattutto di non saper opporre la sua testimonianza e i suoi argomenti di fronte all'odio e all'intolleranza cieca. Di fatto, è come aver nuovamente accettato la separazione tra fede e ragione contro la quale il Papa si è tanto tenacemente battuto. E se qualcuno pensa che alla politica o ai media verrà un soprassalto di dignità e comprensione, si sbagliano di grosso. Al contrario: interpreteranno la rinuncia all'invito come un segno di debolezza non solo del Papa in quanto individuo, ma dello stesso pensiero cattolico, che corre a rinchiudersi in Piazza San Pietro e in sacrestia perché ha paura del confronto con il mondo esterno. Al mondo piace chi vince, purtroppo, anche se Cristo stesso non ebbe paura di fare la figura del perdente.
Ma quei quattro scalzacani che si gloriano di aver fermato il Papa si limiteranno forse a questo? No, gli attacchi alla Chiesa e al cristianesimo diventeranno sempre più pesanti, dato che la Chiesa manca del coraggio di reagire. Già in queste ore il Parlamento porta avanti caparbiamente l'ideologia del "gender". E se il Papa non ha il coraggio di sostenere pubblicamente la propria posizione, con quale autorità la Chiesa potrà dire no a questa manipolazione idologica, come pure ai matrimoni gay, all'eugenetica, all'aborto? E come potrà il Papa chiedere rinunce e sacrifici dai cristiani in un mondo tanto ostile, se lui per primo si è eclissato?
I commentatori dicano quello che vogliono e cerchino di girare la frittata quanto gli pare. All'Università di Roma ha vinto una cultura che ormai scopertamente vuole sbarazzarsi di Dio e di Cristo. Ha vinto la cultura dell'uomo autosufficiente, che esclude dal suo orizzonte Dio e chiunque fa riferimento a Dio. A questa cultura andava data una risposta fermissima e personale, una testimonianza pubblica che purtroppo non c'è stata. Ora i credenti si sentiranno più soli, anche moralmente più in balia del politicamente corretto e di un sentimento sempre più paralizzante d'inferiorità verso chi li sta relegando con disprezzo nelle sacrestie.
Giovanni Romano
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