I miei genitori guardano ogni sera "Affari Tuoi", e all'ora di cena capita anche me di vederlo quasi sempre. Due o tre giorni fa il concorrente (o meglio vittima sacrificale, in cerca del suo quarto d'ora di celebrità) era un campano dall'aria mite, un po' triste, e dalla foltissima capigliatura. A renderlo quasi unico tra tutti i concorrenti che nel corso degli anni sono sfilati in questa trasmissione è il suo lavoro: becchino in un piccolo cimitero comunale.
Devo ringraziare Max Giusti perché ha nuovamente sdoganato questa parola, che l'ipocrisia "politically correct" è quasi riuscita a far sparire. E' vero che per tutta la trasmissione, e sin da quando era arrivato, ha ricoperto il pover'uomo di sfottò, ma mille volte meglio ridere goliardicamente della morte che somministrarla "per pietà", possibilmente in una clinica asettica e con premurosi volontari pronti alla bisogna. come si vuol fare per Eluana.
A un certo punto, però, è accaduto qualcosa d'imprevisto, per un istante il meccanismo ben oliato del quiz ha mostrato un lampo di autenticità. Non la lettera ormai di prammatica con la relativa effusione di buoni sentimenti, ma lo spiraglio aperto su una vita normale, sulla giornata normale di un uomo normale, di quelli che certamente non interessano a "Repubblica" o all'"Espresso".
Quando Max Giusti ha chiesto al becchino come svolgesse il suo lavoro, l'altro è rimasto un attimo interdetto, poi ha risposto con naturalezza: "Quando arrivo la mattina, prima di cominciare mi faccio un segno di Croce".
Immediatamente dal pubblico è scrosciato un applauso spontaneo, quasi liberatorio. Come se ci fossimo tutti riconosciuti in quell'uomo semplice e buono che non si è vergognato della fede e della pietas cristiana. Forse è stata la risposta migliore alla stupida e arrogante campagna dei "bus atei". Forse è stata la risposta migliore a tutti gli attacchi più o meno subdoli alle espressioni pubbliche della fede cristiana, a tutti quelli, anche all'interno della Chiesa, che si accigliano quando i cattolici non si vergognano di dire a Chi appartengono.
Quell'uomo ha avuto il suo quarto d'ora di celebrità, e prima o poi sarà dimenticato. Ma io spero di non dimenticarlo mai, anzi lo voglio ringraziare perché ha espresso una fede che troppi oggi vogliono vedere svilita e censurata.
Devo ringraziare Max Giusti perché ha nuovamente sdoganato questa parola, che l'ipocrisia "politically correct" è quasi riuscita a far sparire. E' vero che per tutta la trasmissione, e sin da quando era arrivato, ha ricoperto il pover'uomo di sfottò, ma mille volte meglio ridere goliardicamente della morte che somministrarla "per pietà", possibilmente in una clinica asettica e con premurosi volontari pronti alla bisogna. come si vuol fare per Eluana.
A un certo punto, però, è accaduto qualcosa d'imprevisto, per un istante il meccanismo ben oliato del quiz ha mostrato un lampo di autenticità. Non la lettera ormai di prammatica con la relativa effusione di buoni sentimenti, ma lo spiraglio aperto su una vita normale, sulla giornata normale di un uomo normale, di quelli che certamente non interessano a "Repubblica" o all'"Espresso".
Quando Max Giusti ha chiesto al becchino come svolgesse il suo lavoro, l'altro è rimasto un attimo interdetto, poi ha risposto con naturalezza: "Quando arrivo la mattina, prima di cominciare mi faccio un segno di Croce".
Immediatamente dal pubblico è scrosciato un applauso spontaneo, quasi liberatorio. Come se ci fossimo tutti riconosciuti in quell'uomo semplice e buono che non si è vergognato della fede e della pietas cristiana. Forse è stata la risposta migliore alla stupida e arrogante campagna dei "bus atei". Forse è stata la risposta migliore a tutti gli attacchi più o meno subdoli alle espressioni pubbliche della fede cristiana, a tutti quelli, anche all'interno della Chiesa, che si accigliano quando i cattolici non si vergognano di dire a Chi appartengono.
Quell'uomo ha avuto il suo quarto d'ora di celebrità, e prima o poi sarà dimenticato. Ma io spero di non dimenticarlo mai, anzi lo voglio ringraziare perché ha espresso una fede che troppi oggi vogliono vedere svilita e censurata.
Giovanni Romano
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