Ascoltavo alla radio, verso mezzogiorno, in macchina, una trasmissione piuttosto interessante dedicata ai rapporti tra gastronomia e potere. L'esempio scelto era particolarmente calzante: i famosi cannoli di Totò Cuffaro, che gli costarono la carica di governatore della Regione Sicilia. Probabilmente Cuffaro ha ragione quando dice che dal punto di vista mediatico la sua foto coi cannoli in mano è stata devastante più che la sua condanna per associazione a delinquere semplice (non mafiosa, il che a quanto pare, data la mentalità corrente da certe parti, vale quanto un'assoluzione).
Quello che mi ha colpito è stato però l'intervento di un intellettuale -farei meglio a dire "il solito tuttologo"- di cui purtroppo non ricordo il nome, il quale faceva un paragone un po' a sproposito tra il profeta, "che scende dalla montagna con le tavole della Legge che nessuno può discutere", e il filosofo "che mette le sue idee a confronto con le altre e le discute sulla pubblica piazza" ovviamente senza-pretendere-di-possedere-la-verità, come va di moda dire oggi.
Ma il profeta, a differenza dell'opinionista alla moda, spesso si accorge che la gente sta adorando il vitello d'oro. Ed è questa la sua missione: richiamare la gente alla realtà e alle implicazioni di quanto sta facendo. Il discorso è un po' più complesso dal punto di vista del filosofo, ma anche qui si può facilmente notare che l'intellettuale disposto a "dialogare" all'infinito, ma senza mai riconoscere la verità, non è il filosofo ma il sofista, disposto a piegare ogni volta le sue idee a vantaggio del potere.
Ci fu un filosofo che scese, anzi visse, sulla pubblica piazza, confrontò le proprie idee con quelle degli altri, non si sottrasse alla discussione. Ma aveva il "vizio" di cercare qualcosa che non dipendeva dalle opinioni o dalle chiacchiere oziose: la verità. Per questo fu arrestato, processato e avvelenato.
Il suo nome era Socrate.
Giovanni Romano
Quello che mi ha colpito è stato però l'intervento di un intellettuale -farei meglio a dire "il solito tuttologo"- di cui purtroppo non ricordo il nome, il quale faceva un paragone un po' a sproposito tra il profeta, "che scende dalla montagna con le tavole della Legge che nessuno può discutere", e il filosofo "che mette le sue idee a confronto con le altre e le discute sulla pubblica piazza" ovviamente senza-pretendere-di-possedere-la-verità, come va di moda dire oggi.
Ma il profeta, a differenza dell'opinionista alla moda, spesso si accorge che la gente sta adorando il vitello d'oro. Ed è questa la sua missione: richiamare la gente alla realtà e alle implicazioni di quanto sta facendo. Il discorso è un po' più complesso dal punto di vista del filosofo, ma anche qui si può facilmente notare che l'intellettuale disposto a "dialogare" all'infinito, ma senza mai riconoscere la verità, non è il filosofo ma il sofista, disposto a piegare ogni volta le sue idee a vantaggio del potere.
Ci fu un filosofo che scese, anzi visse, sulla pubblica piazza, confrontò le proprie idee con quelle degli altri, non si sottrasse alla discussione. Ma aveva il "vizio" di cercare qualcosa che non dipendeva dalle opinioni o dalle chiacchiere oziose: la verità. Per questo fu arrestato, processato e avvelenato.
Il suo nome era Socrate.
Giovanni Romano