venerdì 21 agosto 2015

Welby e Casamonica: una ignobile strumentalizzazione

La Chiesa è dura dove gli uomini la vorrebbero tenera,
 e tenera dove gli uomini la vorrebbero dura.
 T. S. Eliot



 In queste ore i media stanno tracciando con deliberata malafede un parallelo assurdo tra due vicende che in realtà non hanno alcun collegamento: il suicidio di Piergiorgio Welby e i faraonici funerali del boss Casamonica. Come mai, ci si chiede, la stessa parrocchia che negò i funerali religiosi a un malato terminale li ha invece concessi a un boss della mala, e per giunta in una forma così ostentata da essere una beffa verso le istituzioni e una prevaricazione contro la città di Roma?

L'accostamento è assurdo e strumentale. Il suo unico scopo è di accreditare l'eutanasia e gettare ulteriormente fango contro la Chiesa . Ma vediamo di fare un po' di chiarezza. Che io sappia, Welby era un ateo convinto, e non gli venne mai in mente di chiedere i funerali religiosi. Fu la famiglia a insistere per ottenerli (probabilmente su istigazione del Partito Radicale) anche come ultimo sfregio e provocazione contro la Chiesa che si è sempre opposta all'eutanasia. Anche allora il parroco fece la figura del Don Abbondio perché dichiarò che gli era stato proibito di celebrare i funerali religiosi "su ordine del Cardinale Vicario" (a quell'epoca era Ruini). Una figura meschina la sua, perché un sacerdote cattolico dovrebbe sapere da sé che non si devono celebrare i funerali religiosi di un suicida che non si pente e per giunta rivendica il suo gesto come se fosse un valore. Non c`era bisogno di nascondersi dietro la tonaca del Cardinale!

Nel caso Welby, tutta la vicenda fu gestita da una regia accorta e orribilmente cinica. A cominciare dalla continua, insistente rivendicazione di morire, dalle interviste concesse a Welby attaccato alla macchina (Qualche lettore di Avvenire si illuse piamente che quelle interviste fossero "una richiesta di aiuto", ma lo sguardo duro e freddo di Welby esprimeva soltanto una volontà caparbia di autodistruzione, un rancore totale verso la vita), dal gesto di "disobbedienza civile" del medico che lo uccise (e che poi fu trionfalmente assolto dalla stessa magistratura che ha demolito la legge 40) fino alla data scelta per il suicidio: la vigilia di Natale, in pieno e consapevole sfregio al cristianesimo, in modo da gettare l'ombra della morte e dell'ultimo arbitrio umano sulla festa della speranza e del dono gratuito di Dio. E in effetti quello fu uno dei miei più tristi Natali, perché sentii con chiarezza (e oggi lo sento ancora di più) che da quel momento in poi noialtri esseri umani ci saremmo allontanati ulteriormente l'uno dall'altro, e che invece di aspettarci normalmente pietà e solidarietà dal prossimo ci saremmo dovuti aspettare indifferenza e abbandono.

Quanto ai funerali religiosi platealmente rivendicati quasi che Welby fosse un martire, l'unico che disse una parola chiara fu Mons. Fisichella quando rispose seccamente: "La Chiesa non è un Bancomat". Fu lui a salvare non solo la dignità della Chiesa, ma la stessa dignità del vivere e del morire. Non so, obiettivamente, se queste parole sarebbero ancora pronunciate con l'attuale andazzo ecclesiastico di una "misericordia" senza giustizia e soprattutto senza verità.

Veniamo adesso ai funerali di Casamonica. Una pacchianeria sconcertante, un'ostentazione arrogante e cafona, la più totale caricatura della solennità. Ma soprattutto (e in questo i funerali di Casamonica si sono accostati realmente a quelli laici di Welby, tenuti provocatoriamente davanti alla sua parrocchia) un atto di forza per mostrare a tutti chi comanda veramente a Roma. Il che dovrebbe suscitare domande quanto meno sulle radici del consenso popolare. Perché tanta folla? Legami tribali, che si sono dimostrati ben più solidi del nostro individualismo spappolato? Solo intimidazione e paura, oppure una sorta di ammirazione perversa verso un Capo? Che ci piaccia o no, la maggior parte di noi non segue né la ragione né le belle parole ma soltanto la forza. Uno stato che rifiuti programmaticamente di usarla contro i prepotenti si espone a queste umiliazioni. È stata la piena sconfitta del nostro buonismo.

Anche in questo caso l'atteggiamento del parroco è stato pilatesco: “Quello che avviene al di fuori della chiesa non mi riguarda”. Nemmeno quando manifesti oltraggiosi di cui alla foto sono stati appesi alle mura della sua parrocchia? È indubbiamente un momento grave per la Chiesa, che sembra incapace di dire parole chiare sul bene e sul male. Appiattirsi sui criteri del mondo le porta ancora più ostilità e disprezzo.

Detto questo, tuttavia, non si possono paragonare né accostare vicende così diverse se non per malafede. Welby si è suicidato in odium fidei, senza mostrare né tentennamenti né pentimento, rivendicando anzi il suo gesto contro tutto e tutti. Peggio ancora, ha consapevolmente aperto la strada all'abbandono terapeutico e all'eutanasia. Non sappiamo come sia morto il boss Casamonica ma data l'ostentazione di santità c'è da dubitare che si sia veramente pentito. Però il suo funerale non si è posto contro la Chiesa in quanto tale. Ne ha calpestato la dignità e ha strumentalizzato un rito che doveva essere sobrio e non sfacciato, ma non lo ha stravolto, non lo ha piegato alla causa della morte.

I moralisti a un tanto al chilo abbiano almeno il pudore di tacere.

Giovanni Romano

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