lunedì 29 gennaio 2007

Olocausto a rischio banalizzazione


Quest'anno la mia preside mi ha incaricato di tenere la commemorazione della Shoah. E' stato un onore, ma anche una grande responsabilità, perché ogni anniversario porta in sé il rischio della retorica.

Per fortuna due cose mi hanno aiutato: l'amicizia con una signora ebrea, i cui genitori sono sopravvissuti alla strage, che mi ha fatto toccare con mano, dal vivo, l'orrore di quanto è accaduto (è molto peggio pensare a 60.000 persone uccise in un remoto circondario della Polonia piuttosto che a 6 milioni: 60.000 è un numero che si vede, 6 milioni non si riescono ad afferrare con la mente), e l'idea di citare qualche passo dello straordinario commento di Vasilij Grossman al quadro di Raffaello La Madonna sistina.

Vasilij Grossman (vedi foto) era uno scrittore ebreo sovietico degli anni '50-'60, da non confondere con il più noto David Grossman. Ufficiale dell'Armata Rossa, combatté a Stalingrado e giunse al liberare il campo di sterminio di Treblinka. Uomo profondamente amante della libertà, intuì il parallelo tra il totalitarismo nazista e quello comunista. Nel suo romanzo principale, Vita e Destino (pubblicato dalla Jaca Book) è espresso tutto il dramma del popolo russo a Stalingrado, che dovette battersi contro il nazismo mentre era prigioniero di un'ideologia altrettanto disumana come il comunismo. Fu anche l'autore, assieme a Ilija Ehremburg, di un documentatissimo studio sullo sterminio degli ebrei in URSS e nei paesi dell'Europa orientale a opera dei nazisti. Sia il romanzo che lo studio furono proibiti dale autorità comuniste per le complicità che denunciavano. Grossman morì di crepacuore per le censure e le minacce nei suoi confronti.

Che cosa ha di particolare la riflessione di Grossman, e perché l'ho scelta? Perché, a differenza di molti altri autori, Grossman non ridusse la sua denuncia ai soli lager nazisti, ma attraverso la storia del quadro di Raffaello mostra che i lager comunisti avevano ben poco da invidiare a quelli nazisti. In secondo luogo, proprio attraverso le sofferenze degli ebrei Grossman arriva a comprendere la sofferenza dell'uomo come tale, quando è oppresso da regimi violenti che usano la menzogna come prima arma per anestetizzare la coscienza.

Non mi facevo molte illusioni, a dire il vero, che questo discorso sarebbe passato con ragazzi di 15-16 anni, e purtroppo avevo ragione. Le classi sono state introdotte nella sala di proiezione quasi come in una catena di montaggio, una classe dopo l'altra e via. I ragazzi e le ragazze ridacchiavano quasi fosse uno spettacolo, un benvenuto diversivo dopo la noia delle lezioni.

Ancora peggio è stato quando si è proiettato un cortometraggio realizzato dagli stessi alunni sull'Olocausto. L'idea era ottima in sé, molto buona la ricerca di filmati d'archivio e il collegamento con alcune scene di Schindler's List, grande è stato l'impegno dei ragazzi che hanno recitato. Ma la conseguenza imprevista e non voluta è stata che gli spettatori, più che fare attenzione al contenuto, si additavano l'un l'altro questo o quel ragazzo/a che conoscevano, e giù commenti, sghignazzate, grida. Quando poi si è visto un ragazzo che tutto curvo cercava d'interpretare una vecchia ebrea sono scoppiate risate sgangherate e inopportune. Che impressione potevano fare quelle scene artigianali a chi ha scaricato sul suo cellulare l'impiccagione di Saddam Hussein o il taglio della gola di un ostaggio a Baghdad?

Meno male che uno dei ragazzi protagonisti (veramente bravo nell'interpretare un povero ritardato mentale, l'ultima sequenza era insopportabile per il dolore infinito che esprimeva il suo volto) è saltato su e ha rimproverato gli altri dicendo che da quando aveva interpretato quella parte aveva capito cos'era il bullismo, aveva capito cosa significava prendersela con uno solo perché era più debole, solo, "diverso", e se ne vergognava. Su una sola cosa non ero d'accordo con lui: ha accusato i ricchi, i potenti, chi sta in alto di aver fomentato la violenza e il razzismo. Questo è certamente vero. Ma non possiamo dimenticare che il nazismo, o qualsiasi forma di tirannia, è fatto anche di persone "normali", che è troppo "politicamente corretto" scaricare le colpe sempre sugli altri. Ce lo hanno ricordato Hannah Arendt con La banalità del male, Daniel Goldhagen con I volenterosi carnefici di Hitler, e per l'Italia Mimmo Franzinelli con il suo scomodo, bruciante Delatori.

Qual'è stata poi la reazione quando sono tornati in classe? Simile a quella di George Orwell nel racconto A Hanging: una voglia di gridare, scherzare, parlare ad alta voce, darsi a una scomposta allegria per reazione all'uomo impiccato a meno di cento metri di distanza. Così ho trovato i miei ragazzi.

Forse qualcuno avrà riflettuto, ma ho veramente paura che di questa ricorrenza sia passato ben poco, e che con l'andare del tempo si rischierà la retorica e la banalizzazione. Ho fatto, e farò, quanto è in mio potere per impedire che questo avvenga, per rispetto ai morti e soprattutto per rispetto alla mia amica ebrea. Ma Eduardo De Filippo purtroppo si sbagliava, in Napoli milionaria!: non ci sono guerre che rendono gli uomini più buoni, e dalla storia non impariamo niente.

Giovanni Romano

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