martedì 27 settembre 2011

Il bar dove è morta la pietà

Domenica 25 settembre il Televideo RAI ha riportato un gelido trafiletto di cronaca nera, una vicenda che sembra uscita dalle pagine da incubo di Dino Buzzati. A Torino, una donna si è chiusa nel bagno di un bar alla moda e si è sparata. Nonostante il suicidio, il proprietario ha deciso di tenere aperto il locale come se niente fosse successo. Era affollato, ha detto, c'era un centinaio di persone che avevano prenotato, non si potevano mica mandare via...

Abbiamo disceso un altro gradino verso l'inferno. Questa morte, o meglio il modo di (non) reagire a questa morte, è un regalo di Welby ed Englaro. Ce l'hanno regalata con il loro sbraitato “diritto-a-morire” che ha finito per allontanarci e renderci più indifferenti gli uni agli altri. Se morire è una scelta personale, anzi persino un “gesto-di-libertà”, perché mai ci si dovrebbe sentire interrogati dalla solitudine e dalla tristezza di un'altra persona? Perché mai dovremmo sentirci spinti ad aiutare chi ha deciso di farla finita? Forse una parola o un gesto avrebbero salvato quella donna. Ma lei non li ha avuti in vita, e nemmeno da morta ha avuto la carità di uno che si fermasse un attimo per pensare a lei. Sazi e disperati, come diceva il Cardinale Biffi.

Il lato orribile di questa vicenda non è il suicidio, ma il grado di indifferenza che questo suicidio ha rivelato. Non riusciamo più a pensare che valga la pena aiutare qualcuno a vivere. In quel bar non è solo una donna che si è uccisa. È stata assassinata la pietà.

Giovanni Romano

Nessun commento: