mercoledì 14 settembre 2011

Tu chiamale, se vuoi, perversioni

C'è un aspetto molto inquietante nel caso dell'ing. Mulé e delle due ragazze vittime di un gioco erotico estremo. Un aspetto che già emerse in occasione del caso Marrazzo. Anziché lasciarsi interrogare da queste vicende e dai loro esiti, si sta assistendo a un tentativo di “sdoganare” pratiche e perversioni che meriterebbero ben altro trattamento. Come il caso Marrazzo fu l'occasione per presentare il travestitismo in una luce positiva (di fatto ci sono andati di mezzo i Carabinieri, non lui, che ne è uscito quasi con l'aureola del martire), così in questa occasione si sono sprecate le interviste e i talk show dove hanno imperversato gli esperti: non solo gli immancabili psicologi e sessuologi, ma anche praticanti di bondage, venditori di articoli sadomaso che hanno esposto il loro autorevole parere. Poco c'è mancato, poi, che Mulé fosse stato fatto santo subito, con il suo viso dolce e vulnerabile, l'esatto contrario del sadico serial killer.

Insomma, si sarebbe trattato solo di un errore. Era un gioco erotico tra persone adulte e consenzienti, l'ing. Mulé era un dilettante incompetente che si è lasciato sfuggire di mano la situazione. Un disgraziato incidente, ma niente di più. Anzi, quelle pratiche denoterebbero anch'esse “amore”, come non si è peritato di affermare uno dei tuttologi di turno.

Che Mulé non avesse intenzione di uccidere è indubbio, altrimenti avrebbe fatto sparire i corpi. E non c'è nemmeno da dubitare che il suo dolore sia sincero. Ma il punto ovviamente non è questo. Il punto è chiedersi se sia giusto mettere tanto a rischio la vita di una persona anche consenziente. Il punto è chiedersi se rapporti come questi, basati sulla dominazione, avvicinino le persone o piuttosto le allontanino, perché non si ama né si accoglie l'altro per come è, ma per quello che si vuole fare di lui.

Qualsiasi manuale di psicologia dice che il sadomasochismo esclude la reciprocità. C'è un “dominatore” che certamente desidera il sesso ma ha una paura matta del partner, ha paura di essere visto com'è davvero nell'intimità, un povero essere umano nudo e inerme (ma al tempo stesso ricco di vera forza, se ha il coraggio di amare davvero). E allora ha bisogno di ricoprire un ruolo, di mettersi una maschera, di staccarsi dall'altro il più possibile e così facendo di dominarlo. Inversamente, chi accetta di essere dominato/a lo fa per liberarsi da ogni responsabilità. Forse si disistima così tanto, forse ha una paura così grande del rifiuto dell'altro che, paradossalmente, può avere un rapporto sono annientandosi – e scaricando tutta la colpa sul partner. Da una parte e dall'altra è la pretesa che domina.

Ora io mi chiedo: un rapporto del genere potrà forse conoscere un momentaneo appagamento, ma conoscerà mai la crescita? Potrà mai portare a un compimento umano? Si potrà mai veramente sorridere al partner, dopo essersi trattati in quel modo? Sarà forse un sorriso di complicità, di gioia non so. Anche i più laici tra gli psicologi affermano che pratiche del genere finiscono per spostare il desiderio dalla persona al corpo, e dal corpo all'oggetto. Alla fine, della persona non resta più niente. Resta la cosa, resta solo l'ossessione di procurarsi un piacere a tutti i costi con dosi sempre più massicce di sesso estremo, come per la droga.

E' giusto, allora, cercare di rendere socialmente accettabile una pratica così distruttiva? Facciamo ben più chiasso per le sigarette, i diritti degli animali, l'obesità e le balene, ma non ci accorgiamo, o non vogliamo accorgerci, di quanto si stia cercando di soffocare l'umano in noi.

Giovanni Romano

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