venerdì 27 gennaio 2012

Sessantamila persone, Dio mio, sessantamila!

Cinque anni fa, nell'ormai defunta (e rimpianta) libreria Anima Mundi qui a Corato, assistetti alla presentazione del libro della Dott.ssa Anna Zeligowsky, una farmacista ebrea i cui genitori, ebrei polacchi, furono gli unici superstiti delle rispettive famiglie durante la seconda guerra mondiale. Ciascuno dei due non sapeva nulla dell'altro. Ciascuno dei due riuscì a scampare per conto proprio allo sterminio. Si conobbero e si sposarono subito dopo la fine della guerra.
La madre e il padre lasciarono un diario della propria esperienza, e la figlia li ha uniti in modo tipograficamente molto originale: uno è capovolto rispetto all'altro, così che le narrazioni convergono anche materialmente verso il centro del libro.

Ma non fu questo che mi colpì, quella sera. Né furono le storie pur drammatiche dei suoi genitori, perché avevo ascoltato testimonianze anche più atroci. Fu un particolare apparentemente secondario, riportato quasi per inciso. Dal ghetto in cui viveva il padre della signora non si salvò quasi nessuno, furono uccise sessantamila persone.

Non so se riesco a descrivere l'effetto che mi fece quella frase. In quel momento mi si abbuiò la vista, vidi distintamente una folla che veniva verso di me e mi passava accanto senza fermarsi. Erano donne, uomini, bambini, vecchi. Nessuno parlava, nessuno correva. Tutti guardavano fisso davanti a sé, e dietro di loro c'era un'oscurità spaventosa, un buio assoluto. Sembravano emergere da quel buio per andare verso un altro buio ancora peggiore. Una folla di fantasmi condannati a morte.

Ecco, sessantamila persone è un numero che si può capire, che si può afferrare, che rende atrocemente visibile l'enormità del crimine commesso. Sessantamila persone è un paese dove ancora ci si conosce almeno di vista con tanti, un paese dove si parla col vicino, col vigile, si va a prendere il giornale dal giornalaio, si vede la madre di famiglia che batte i panni sul balcone, si guardano i bambini che tornano da scuola o il vecchio curvo con il bastone, è un paese dove si vede la gente nascere e morire e ciascuno ha un volto, fosse pure sepolto in un angolo della memoria. E tutto questo paese, tutte queste esistenze, assassinate in un colpo solo! Sessantamila persone!

Non sono mai riuscito né mai riuscirò a visualizzare sei milioni di persone. Sono una cifra troppo grande, che dà ragione al ributtante cinismo di Stalin: "La morte di un solo uomo è una tragedia. La morte di centomila persone è una statistica". Ma sessantamila è una ferita che mi brucia ancora adesso, non è possibile anestetizzarla in nessun modo. Sessantamila volti che non finiranno mai di interrogarmi.

Giovanni Romano

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