Nel suo ultimo grande saggio, “Reflections on Gandhi”, scritto nel 1948, George Orwell osservava che la non-violenza di Gandhi aveva avuto successo non per una qualche “superiorità morale”, ma perché gli inglesi condividevano almeno in parte alcuni dei valori propugnati dal Mahatma. Ma cosa sarebbe successo se Gandhi si fosse trovato di fronte a un nemico culturalmente alieno, insensibile o sprezzante della resistenza disarmata, come Hitler o i giapponesi? Orwell concludeva il ragionamento con una domanda inquietante: “E’ possibile, per una cultura, essere giudicata pazza alla luce dei criteri di un’altra”?
Di fronte a ciò che sta succedendo in queste ore nel mondo islamico, e non solo, sento di affermare che la risposta è SI. E’ anzi una conclusione scontata, che solo i più ciechi e irriducibili profeti del “dialogo” si ostinano ancora a negare. Come pure l’altra conclusione che scaturisce necessariamente dalla vicenda: lo scontro di civiltà è già in atto, ben prima dell'11 settembre. A negarlo contro ogni evidenza siamo noi occidentali. Psicologicamente, ci troviamo nella stessa condizione di una popolazione che abita da secoli sulle pendici di un vulcano. Quando la montagna si risveglia, brontola, scuote la terra, manda boati e lapilli, proprio quelli che vivono più vicino trovano mille modi per esorcizzare, minimizzare, negare il risveglio del mostro. La realtà è troppo penosa e terrificante, richiede decisioni drastiche e uno strappo radicale che nessuno ha il coraggio di affrontare. Fino al momento in cui il vulcano erutta, e non lascia scampo a nessuno.
Segnali più pericolosi il vulcano islamico non li potrebbe mandare. E’ notizia di queste ore che a Damasco le ambasciate danesi e norvegesi sono state date alle fiamme. Si è dimostrato ancora una volta che l’islam non riconosce l’immunità diplomatica (avremmo dovuto saperlo fin dal sequestro degli americani all’ambasciata di Teheran), dunque non accorda alcuna considerazione agli “infedeli”. Una violazione enorme e scandalosa del diritto internazionale, un atto di guerra di cui ogni buon musulmano, ovviamente, si guarda bene dal chiedere scusa.
Più che la reazione musulmana, tutto sommato prevedibile, quel che interessa prendere in esame qui sono due aspetti: le vignette in sé, e la reazione dell’Occidente. Cos’hanno di blasfemo queste vignette? Direi che forse due lo sono: quella che rappresenta Maometto con una bomba nel turbante (ma non dimentichiamo che fu proprio lui a scatenare la guerra santa, mai cessata, contro i popoli di religione diversa), e un’altra che lo rappresenta come uno straccione, un solitario dagli occhi spiritati perduto nel deserto. Ma nel complesso le vignette non sono un attacco gratuito alla religione islamica, come sostengono i musulmani, né sono una caricatura della religione islamica in quanto tale. Piaccia loro o no, queste vignette non sono nate gratuitamente, dal capriccio di alcuni giornalisti in vena di provocazioni (come si vuol dare a intendere in queste ore). Sono nate come reazione a una storia sanguinosa e ormai troppo lunga di attentati, stragi, minacce, infiltrazioni terroristiche, prepotenze quotidiane piccole e grandi perpetrate dai musulmani sia nei paesi islamici che in quelli europei dove la loro penetrazione è già massiccia.
Quelle vignette sono dunque solo la proiezione dei nostri pregiudizi verso l’islam, o piuttosto rivelano delle verità scomode, che gli islamici vorrebbero mettere a tacere con l’intimidazione e la brutalità? Una religione che reagisce tanto violentemente alla minima critica può essere solo accettata o rifiutata in blocco, e la sua reazione esasperata rischia di generare contraccolpi altrettanto esasperati. Questo pone il problema del nostro atteggiamento di fronte a questa sfida inedita solo quanto alla scala globale, non alla sua natura.
Questa vicenda ha almeno avuto il merito di mettere sul tappeto un problema che si credeva rimosso o superato: dove finisce la satira e dove comincia il vilipendio alla religione. Bene hanno fatto il governo danese e quello tedesco a non piegarsi alla richiesta di scuse, senz’altro. Ma in nome di che cosa affermiamo la libertà? Il contenuto della libertà può forse essere il vuoto, il potere di irridere tutto e tutti, Dio compreso? Anche se, lo ribadisco, le vignette erano tutt’altro che gratuite provocazioni, la violenza della reazione musulmana ci fa ri-scoprire che nell’animo umano ci sono delle corde che non si possono toccare impunemente, che non si vive in un vuoto di valori nel quale l’unico criterio dominante è il proprio arbitrio a spese degli altri.
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