sabato 24 marzo 2007

Cattolici, non barellieri della storia

Pubblico qui l'estratto di una lettera inviata a un mio amico a proposito della scuola di formazione all'impegno politico che lui mi proponeva. Un progetto bello sulla carta ma con qualche vistosa ambiguità. E questa, tra parentesi, può essere una risposta a Luigi Bobba e al suo libro "Il posto dei cattolici".

Giovanni Romano

Per quanto riguarda la scuola diocesana d'impegno politico, vorrei esprimerti una mia perplessità. Si accusano i cittadini di apatia, qualunquismo, menefreghismo, opportunismo, e in gran parte tali accuse sono vere. Ma anche la classe politica non è esente da colpe. Prendi l'esempio di tanti referendum sistematicamente stravolti e ignorati (compresa la minaccia tutt'altro che vana di cambiare surrettiziamente la legge 40 e di abolire il Concordato).

Partecipare significa avere la disponibilità di esercitare un potere di cambiare le cose a vantaggio proprio o per il bene comune. Se invece il cittadino è chiamato a "partecipare" a decisioni già prese altrove, o a riti che per lui non hanno alcun significato, e non migliorano in nulla la sua situazione reale, è chiaro che alla fine nasce disgusto e avversione per la politica. E di ciò i politici possono ringraziare soltanto se stessi.

Questa apatia, ovviamente, non scoraggia per nulla i furbi e i prepotenti, anzi è per loro garanzia d'impunità. Sarebbe bene che una scuola di formazione politica mettesse a tema soprattutto questo: più che parlare astrattamente di "legalità", si dovrebbe partire dalla situazione attuale di totale *impotenza* dei cittadini verso istituzioni e organi d'informazione autoreferenziali, e studiare come è possibile ricostruire un tessuto sociale dal basso, partecipando non da cittadini anonimi ma da cristiani con una precisa identità e precise, non negoziabili appartenenze.

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