martedì 27 settembre 2011

Il bar dove è morta la pietà

Domenica 25 settembre il Televideo RAI ha riportato un gelido trafiletto di cronaca nera, una vicenda che sembra uscita dalle pagine da incubo di Dino Buzzati. A Torino, una donna si è chiusa nel bagno di un bar alla moda e si è sparata. Nonostante il suicidio, il proprietario ha deciso di tenere aperto il locale come se niente fosse successo. Era affollato, ha detto, c'era un centinaio di persone che avevano prenotato, non si potevano mica mandare via...

Abbiamo disceso un altro gradino verso l'inferno. Questa morte, o meglio il modo di (non) reagire a questa morte, è un regalo di Welby ed Englaro. Ce l'hanno regalata con il loro sbraitato “diritto-a-morire” che ha finito per allontanarci e renderci più indifferenti gli uni agli altri. Se morire è una scelta personale, anzi persino un “gesto-di-libertà”, perché mai ci si dovrebbe sentire interrogati dalla solitudine e dalla tristezza di un'altra persona? Perché mai dovremmo sentirci spinti ad aiutare chi ha deciso di farla finita? Forse una parola o un gesto avrebbero salvato quella donna. Ma lei non li ha avuti in vita, e nemmeno da morta ha avuto la carità di uno che si fermasse un attimo per pensare a lei. Sazi e disperati, come diceva il Cardinale Biffi.

Il lato orribile di questa vicenda non è il suicidio, ma il grado di indifferenza che questo suicidio ha rivelato. Non riusciamo più a pensare che valga la pena aiutare qualcuno a vivere. In quel bar non è solo una donna che si è uccisa. È stata assassinata la pietà.

Giovanni Romano

venerdì 23 settembre 2011

Sud Sudan: ricordo di un vescovo realista e coraggioso

Rileggendo vecchi post dell'agenzia ZENIT (www.zenit.org) mi sono imbattuto in un necrologio di Mons. Cesare Mazzolari, vescovo di Rumbek, nell'attuale stato indipendente del Sud Sudan, deceduto il 16 luglio scorso. “La morte del vescovo è avvenuta appena una settimana dopo la solenne cerimonia di proclamazione dell'indipendenza del Sud Sudan, alla quale aveva partecipato attivamente”, riferiva ZENIT.

È stato un vescovo di frontiera in tutti i sensi, perché ha vissuto di prima mano le angherie e le violenze praticate dal Nord islamico contro la comunità cristiane e animiste del Sud, fino al punto di ridurre interi villaggi in schiavitù. Proprio alcuni suoi giudizi sull'islam mi hanno particolarmente colpito, alla luce di quanto sta avvenendo a Lampedusa, con una “immigrazione” che, data la crisi, nulla ha ormai a che vedere con reali prospettive per chi arriva, e che ogni giorno di più svela il suo vero volto di invasione e di conquista. Ma lascio la parola a Mons. Mazzolari e ai suoi ammonimenti tanto lucidi quanto inascoltati:

Noto anche per aver ridonato la libertà a 150 schiavi - una coraggiosa iniziativa che non ha voluto continuare perché si era accorto che poteva diventare un circolo vizioso -, mons. Mazzolari "non era assolutamente un buonista, ma era una persona che aveva anche la capacità di saper leggere la realtà con molto realismo", come ha sottolineato padre Albanese nella sua intervista con la Radio Vaticana.

(...)

In tutti questi anni, mons. Mazzolari non ha smesso di richiamare l'attenzione sui rischi legati all'immigrazione di musulmani verso l'Europa. "Ovunque s'insediano, prima o poi diventano una forza politica egemone. Gli italiani intendono l'accoglienza da bonaccioni. Presto si accorgeranno che i musulmani hanno abusato di questa bontà, facendo arrivare un numero di persone dieci volte più alto di quello che gli era stato concesso. Sono molto più furbi di noi. A me buttano giù le scuole e voi gli spalancate le porte delle chiese", aveva detto il presule sempre nel 2004. (1)

Secondo Mazzolari, non ha alcun senso esportare il sistema occidentale in società agropastorali dominate dall'islam, che non fanno alcuna distinzione fra politica e religione. "E' da ignoranti", aveva avvertito nella stessa intervista. "Gli islamici basano le loro decisioni solo ed esclusivamente sulla umma. I diritti dell'individuo non sanno neppure che cosa siano. E' assurdo pretendere di inculcargli il primo emendamento della Costituzione americana, nel quale è previsto che il Congresso non potrà fare alcuna legge per proibire il libero culto, o per limitare la libertà di parola o di stampa. Non lo capiscono proprio".

In realtà siamo noi occidentali a non capire e a non voler capire. Altrimenti gli USA non avrebbero permesso mai di costruire un maxi centro islamico a pochi metri di distanza da Ground Zero.

Giovanni Romano

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(1) Il neretto è mio, N.d.R.

mercoledì 21 settembre 2011

Contro l'ONU, difendere la dignità di anziani e malati

Ginevra, Svizzera, 17 settembre 2001 / 04:40pm – La delegazione della Chiesa cattolica presso la sede delle Nazioni Unite di Ginevra ha espresso “forti obiezioni” a un riferimento al suicidio assistito comparso in un rapporto speciale sul ruolo degli anziani nella società, nonostante si sia dichiarato d'accordo su altri aspetti del documento.

“Crediamo fortemente che la vita sia un dono che nessuna persona abbia il cosiddetto 'diritto' di terminare, che la morte sia il punto di arrivo di un processo naturale e che nessuna persona, nemmeno gli stessi anziani e sofferenti, abbia titolo per causare o affrettare il processo naturale del morire attraverso mezzi biomedici o di qualsiasi altro tipo”, ha spiegato l'Arcivescovo Silvano M. Tomasi, capo della missione permanente della Santa Sede come osservatore presso le Nazioni Unite e le sue agenzie specializzate a Ginevra.

Il 16 settembre ha parlato alla diciottesima sessione del Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite a proposito del suo studio sul diritto alla salute degli anziani.

La critica dell'Arcivescovo Tomasi si è appuntata su un riferimento alla “questione dell'autonomia del paziente rispetto alla decisione di terminare la propria vita”, anche se ha riconosciuto che l'autore del rapporto non ha trattato tali questioni “nel contesto del presente documento”.

L'Arcivescovo ha detto che la Chiesa esorta gli scienziati e i medici a ricercare la prevenzione e il trattamento delle malattie collegate alla vecchiaia senza mai cedere alla “tentazione di far ricorso a pratiche che abbrevino la vita degli anziani e dei malati, pratiche che si rivelerebbero, di fatto, forme di eutanasia”.

Ha affermato che la Chiesa Cattolica vede il numero crescente di persone anziane come “una benedizione” piuttosto che “un fardello per la società”. La Chiesa gestisce in tutto il mondo 15.448 case per anziani, malati cronici e persone handicappate.

L'Arcivescovo ha citato il discorso che Papa Benedetto XVI ha tenuto in una casa di riposo a Londra nel settembre del 2010. Il Papa disse che ogni generazione può imparare dall'”esperienza e dalla saggezza della generazione che l'ha preceduta”.

“In verità, il fornire cure agli anziani non dovrebbe essere considerato tanto un atto di generosità quanto il pagamento di un debito di gratitudine”, disse il Papa.

Nonostante le sue obiezioni al riferimento nel rapporto alla “decisione di mettere fine alla vita”, l'Arcivescovo Tomasi ha espresso il suo accordo con molti aspetti del rapporto. Si è dichiarato d'accordo a che gli stati dovrebbero allocare più risorse per le cure geriatriche e dovrebbero addestrare il personale sanitario a interagire con i pazienti anziani “in modo appropriato, rispettoso e non discriminatorio”. L'Arcivescovo ha messo anche in rilievo il bisogno speciale di proteggere le persone anziane deboli contro gli abusi fisici e morali da parte del personale di assistenza o dei membri della famiglia.

L'accrescimento della proporzione degli anziani è “interculturale” e l'autore del rapporto è stato stringente nell'affermare che proteggere i diritti umani degli anziani dovrebbe essere la preoccupazione di ciascuno, perché ciascuno invecchia.

L'autore del rapporto ha esortato a un cambiamento di prospettiva rispetto all'attuale considerazione biomedica della vecchiaia che viene vista come “un fenomeno patologico o abnorme” e “parifica l'età avanzata alla malattia”.

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Giovanni Romano

mercoledì 14 settembre 2011

Tu chiamale, se vuoi, perversioni

C'è un aspetto molto inquietante nel caso dell'ing. Mulé e delle due ragazze vittime di un gioco erotico estremo. Un aspetto che già emerse in occasione del caso Marrazzo. Anziché lasciarsi interrogare da queste vicende e dai loro esiti, si sta assistendo a un tentativo di “sdoganare” pratiche e perversioni che meriterebbero ben altro trattamento. Come il caso Marrazzo fu l'occasione per presentare il travestitismo in una luce positiva (di fatto ci sono andati di mezzo i Carabinieri, non lui, che ne è uscito quasi con l'aureola del martire), così in questa occasione si sono sprecate le interviste e i talk show dove hanno imperversato gli esperti: non solo gli immancabili psicologi e sessuologi, ma anche praticanti di bondage, venditori di articoli sadomaso che hanno esposto il loro autorevole parere. Poco c'è mancato, poi, che Mulé fosse stato fatto santo subito, con il suo viso dolce e vulnerabile, l'esatto contrario del sadico serial killer.

Insomma, si sarebbe trattato solo di un errore. Era un gioco erotico tra persone adulte e consenzienti, l'ing. Mulé era un dilettante incompetente che si è lasciato sfuggire di mano la situazione. Un disgraziato incidente, ma niente di più. Anzi, quelle pratiche denoterebbero anch'esse “amore”, come non si è peritato di affermare uno dei tuttologi di turno.

Che Mulé non avesse intenzione di uccidere è indubbio, altrimenti avrebbe fatto sparire i corpi. E non c'è nemmeno da dubitare che il suo dolore sia sincero. Ma il punto ovviamente non è questo. Il punto è chiedersi se sia giusto mettere tanto a rischio la vita di una persona anche consenziente. Il punto è chiedersi se rapporti come questi, basati sulla dominazione, avvicinino le persone o piuttosto le allontanino, perché non si ama né si accoglie l'altro per come è, ma per quello che si vuole fare di lui.

Qualsiasi manuale di psicologia dice che il sadomasochismo esclude la reciprocità. C'è un “dominatore” che certamente desidera il sesso ma ha una paura matta del partner, ha paura di essere visto com'è davvero nell'intimità, un povero essere umano nudo e inerme (ma al tempo stesso ricco di vera forza, se ha il coraggio di amare davvero). E allora ha bisogno di ricoprire un ruolo, di mettersi una maschera, di staccarsi dall'altro il più possibile e così facendo di dominarlo. Inversamente, chi accetta di essere dominato/a lo fa per liberarsi da ogni responsabilità. Forse si disistima così tanto, forse ha una paura così grande del rifiuto dell'altro che, paradossalmente, può avere un rapporto sono annientandosi – e scaricando tutta la colpa sul partner. Da una parte e dall'altra è la pretesa che domina.

Ora io mi chiedo: un rapporto del genere potrà forse conoscere un momentaneo appagamento, ma conoscerà mai la crescita? Potrà mai portare a un compimento umano? Si potrà mai veramente sorridere al partner, dopo essersi trattati in quel modo? Sarà forse un sorriso di complicità, di gioia non so. Anche i più laici tra gli psicologi affermano che pratiche del genere finiscono per spostare il desiderio dalla persona al corpo, e dal corpo all'oggetto. Alla fine, della persona non resta più niente. Resta la cosa, resta solo l'ossessione di procurarsi un piacere a tutti i costi con dosi sempre più massicce di sesso estremo, come per la droga.

E' giusto, allora, cercare di rendere socialmente accettabile una pratica così distruttiva? Facciamo ben più chiasso per le sigarette, i diritti degli animali, l'obesità e le balene, ma non ci accorgiamo, o non vogliamo accorgerci, di quanto si stia cercando di soffocare l'umano in noi.

Giovanni Romano

domenica 11 settembre 2011

L'Arcivescovo e le lampadine a basso consumo

Le scuole – purtroppo – stanno per riaprire, ed è il momento degli auguri più o meno di prammatica. Presidenti, sindacalisti, ministri, autorità sono estremamente prodighi di esortazioni, tanto non costa niente e non saranno loro a dover tirare la carretta. A questo coro si è unito il messaggio dell'Arcivescovo di una diocesi abbastanza importante, ma preferisco tacere il nome dell'uno e dell'altra per carità di patria, o forse per semplice carità cristiana.

Il messaggio, infatti, comincia col citare opportunamente l'affermazione più significativa del documento pastorale della CEI “Educare alla vita buona del Vangelo”:

“Un’autentica educazione deve essere in grado di parlare di significato e di felicità delle persone. Il messaggio cristiano pone l’accento sulla forza e sulla pienezza di gioia (cfr. Gv 17,13).

Si notino l'importanza e l'incisività delle parole “significato” e “felicità” che sfidano la nostra società “sazia e disperata”. Ma subito dopo l'Arcivescovo introduce un discorso un po' più sfumato, un po' più astratto:

Ebbene, l’augurio che rivolgo al mondo della Scuola è che diventi sempre più palestra del sapere e del volere. Il “sapere” di una vita buona e il “volere” della virtù che forma una personalità capace di contribuire al bene comune che deve essere al fondamento di una autentica società aperta alla trascendenza.

Di Cristo non si parla, quasi si avesse timore di menzionarlo in rapporto a una realtà quale quella della scuola e dell'educazione. Ma questo è ancora niente. Immediatamente dopo viene un'incredibile virata a 180°, un salto logico sconcertante dove tutte le attese di significato e di felicità fanno miseramente naufragio davanti al conformismo “politicamente corretto”:

Desidero mettermi in sintonia con la proposta dell’Onu di dedicare il 2012 “all’energia sostenibile”. Si tratta di un’indicazione molto utile da valorizzare sul piano educativo in vista di un’ecologia umana, di cui oggi si ha tanto bisogno, e in cui possa avere spazio anche la dimensione trascendente dell’uomo.

Che ci sia bisogno di un'ecologia umana nessuno dubita, ma davvero pretendiamo che il cuore dei ragazzi si metta a palpitare per una lampadina a basso consumo? Se c'è una cosa che i ragazzi vogliono è sentirsi coinvolti in cose grandi, in un'avventura che gli riempia la vita. La loro insofferenza in classe, la noia e il bullismo di cui danno prova tante volte, nascono dalla povertà delle nostre proposte educative, dalla nostra pusillanimità nel proporgli un orizzonte grande e generoso dove impegnare le loro forze e diventare davvero adulti. Paradossalmente, ce l'hanno con noi perché non gli chiediamo abbastanza, li lasciamo vegetare in un'eterna adolescenza senza mai renderli responsabili di niente.

Questo avviene anche perché i cattolici stessi sembrano aver perso stima e fiducia nella loro fede, annacquandola nei “valori comuni”. La dimensione trascendente dell'uomo non è una categoria residuale, ma l'inizio di ogni vera “ecologia umana”. Altrimenti avremo solo le “istruzioni per l'uso”, discorsi corretti e puliti che non hanno la forza di muovere nessuno. Stupisce, poi, il riferimento alla burocrazia laicista dell'ONU, che più di una volta ha attaccato duramente la Chiesa, ha promosso l'aborto e la sterilizzazione di massa, sta cercando di distruggere la famiglia in nome di fantomatici “nuovi diritti”. Torna alla mente la mordace osservazione del Cardinale Biffi: “Oggi nella Chiesa parlare di Cristo diventa spesso il pretesto per parlare di qualcos'altro”.

Anziché preoccuparsi tanto di risparmiare energia, noi cattolici dovremmo preoccuparci di impiegare tutte le energie spirituali di cui disponiamo per ricordare al mondo qual'è la vera “fonte di energia”: “Deus, rerum tenax vigor”: Dio, tenace vigore degli esseri.

Giovanni Romano

mercoledì 7 settembre 2011

TG2: manipolato il discorso del Card. Bagnasco

Il TG2 delle ore 13 di domenica 4 settembre scorso si è reso colpevole di una grave manipolazione delle parole che il Card. Bagnasco ha pronunciato alla Summer School della fondazione Magna Charta e dell'associazione Italia protagonista. Sono state riportate alcune frasi della sua “lectio magistralis”, ma in maniera gravemente mutilata e fuorviante. Il servizio del TG2 ha trasmesso queste parole del Cardinale:

Qualcuno, oggi, vorrebbe che la Chiesa tacesse perché ogni sua parola viene giudicata come un’ingerenza nelle questioni pubbliche e politiche. Vorrebbe che rimanesse in sacrestia. La preghiera – si pensa - in fondo non fa male a nessuno e la carità fa bene a tutti. Francamente, mi sembra che si usino due pesi e due misure.

Detto così, il discorso suona un po' strano. L'ultimo periodo pare scollegato rispetto a quelli che lo precedono. E infatti, leggendo il testo scritto dell'intervento, mi sono accorto della sconcertante manipolazione operata dal Telegiornale, che ha brutalmente tagliato le frasi più significative e “scomode” del passaggio. Le riporto in neretto:

Qualcuno, oggi, vorrebbe che la Chiesa tacesse perché ogni sua parola viene giudicata come un’ingerenza nelle questioni pubbliche e politiche. Vorrebbe che rimanesse in sacrestia. La preghiera – si pensa - in fondo non fa male a nessuno e la carità fa bene a tutti. In altri termini, si vorrebbe negare la dimensione pubblica della fede concedendole la sfera del privato. E’ singolare , però, che a tutti si riconosca come sacra la libertà di coscienza, mentre dai cattolici si pretenda che prescindano dalla fede che forma la loro coscienza. I Pastori, poi, si vorrebbe che tacessero salvo che dicano cose gradite alla cultura che appare dominante perché ha potere di parola; in caso diverso, spesso si grida all’ingerenza. Francamente, mi sembra che si usino due pesi e due misure.

È stato un episodio gravissimo, non si è esitato ma manipolare l'audio e il video con un taglio arbitrario che ha completamente stravolto il discorso del Cardinale. Cosa possiamo aspettarci noi cattolici da un servizio “pubblico” degno dei peggiori aspetti di 1984?

Giovanni Romano

Obesi sani e magri malati


Era più sano un obeso come San Tommaso D'Aquino che si occupava dell'immortalità dell'anima piuttosto che della propria linea.

È più sano Giuliano Ferrara che difende i bambini abortiti piuttosto che le balene, i gatti e la foresta amazzonica.

Meglio avere l'adipe nella pancia che nel cervello.

Giovanni Romano

Spiacenti, non è un avvocato di Berlusconi...

“Se questa riforma dell'ordinamento non sopravviene rapidamente il nuovo processo è destinato a fallire. Un sistema accusatorio parte dal presupposto di un pubblico ministero che raccoglie e coordina gli elementi della prova da raggiungersi nel corso del dibattimento, dove egli rappresenta una parte in causa. Gli occorrono, quindi, esperienze, competenze, capacità, preparazione anche tecnica per perseguire l'obbiettivo. E nel dibattimento non deve avere nessun tipo di parentela col giudice e non essere, come invece oggi è, una specie di para-giudice. Il giudice, in questo quadro, si staglia come figura neutrale, non coinvolta, al di sopra delle parti. Contraddice tutto ciò il fatto che, avendo formazioni e carriere unificate, con destinazioni e ruoli intercambiabili, giudici e pm siano, in realtà, indistinguibili gli uni dagli altri. Chi, come me, richiede che siano, invece, due figure strutturalmente differenziate nelle competenze e nella carriera, viene bollato come nemico dell'indipendenza del magistrato, un nostalgico della discrezionalità dell'azione penale, desideroso di porre il pm sotto controllo dell'Esecutivo. È veramente singolare che si voglia confondere la differenziazione dei ruolo e la specializzazione del pm con questioni istituzionali totalmente distinte”.

Giovanni Falcone
“Ma contro Cosa Nostra occorrono superuomini”, intervista di Mario Pirani, Repubblica, 3 ottobre 1991